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Le Guide di Salehi Consulting - Guida al Risparmio
Guida al Risparmio
Come Risparmiare e Vivere Meglio

First Published: Mon, 1 Nov 2004 10:00:00 GMT

ATTENZIONE! Il contenuto di questa documentazione è IN CORSO DI DEFINIZIONE!

La sua struttura e i suoi contenuti sono in corso di definizione.
Al momento viene utilizzata come contenitore di notizie, spunti, idee e dati sul risparmio.

Tutte le fonti, quando presenti, vengono riportate in fondo, nei paragrafi: Link Esterni e Riferimenti.

La riduzione dei costi, il risparmio, le emissioni nocive, il consumo energetico e la devastazione ambientale sono tematiche quanto mai di attualità che accompagneranno noi e le generazioni future per tutta la vita.

Dai motivi economici a quelli ambientali qualche consiglio per iniziare a ridurre i costi e le emissioni.

Questa documentazione è realizzata nell’interesse di chi vi accede con finalità di interesse generale per il nostro Paese e per il mondo intero.

Le tesi svolte non si richiamano ad alcun partito politico, ma forniscono solo contributi di tipo scientifico, culturale, economico e sociale.

A chi è rivolta:

      agli Operatori economici e culturali: (Aziende in generale e PMI in particolare, Enti, Istituti, Studi Professionali, Esercizi Commerciali, Pubblica Amministrazione, ecc.)

      alle Famiglie

      ai giovani ed al loro futuro.

Come ci proponiamo:

      con un linguaggio semplice, accessibile a tutti

      con l’obiettivo di creare una base di informazioni, capace di attrarre un sano interesse da parte di tutti, senza preconcetti o false illusioni

      selezionando l’informazione da fonti qualificate

      aggiungendo del nostro, con modestia e professionalità (è meglio mantenere un onesto grado di incertezza piuttosto che urlare concetti ancora non acquisiti a livello scientifico)

Alcune considerazioni di base:

      le fonti energetiche fossili sono destinate ad esaurirsi

      sono diverse le teorie in materia, spesso soggette ai diversi interessi, ma per ora la precedente riflessione è ineludibile

      sono enormi gli interessi in gioco e le tensioni che provocano

      l’Italia non dispone di significative risorse in questo settore

      la bilancia dei pagamenti del nostro Paese in materia energetica è fortemente in rosso

      malgrado ciò non abbiamo sviluppato una sufficiente attività nel campo delle energie alternative come altri Paesi (ad esempio, la Germania, che non è “o Pese do sole”, produce energia dal solare per ……….. Twattora, 50 (???) volte in più rispetto all’Italia)

      risparmiare energia è conveniente per:

       tutto il Paese (importeremmo meno energia e ciò costituirebbe una minore uscita, da ridistribuire ad esempio in minori tasse o meglio in maggiori opportunità di lavoro in ambito nazionale)

       i singoli soggetti che effettuano il risparmio

       le comunità che subirebbero un minore inquinamento (con vantaggi per la salute ed anche economici, stanti le normative nazionale e internazionali in materia di crediti e debiti ambientali)

      le fonti rinnovabili costituiscono una valida alternativa, anche se con dei limiti

      la ricerca scientifica è severamente impegnata nel settore e potrebbe aprire nuove frontiere nel campo del nucleare, delle nanotecnologie, ecc.

      i nostri scienziati e molti giovani ricercatori, come nella tradizione, potrebbero dare un importante contributo in questo settore altamente strategico, facendo più attenzione alla ricerca scientifica


COME RISPARMIARE E VIVERE MEGLIO
Campagne informative sul risparmio energetico.
Uso razionale dell’energia nelle abitazioni.
Risparmi nei consumi.

Sommario
  1. Sviluppo Sotenibile
    1. Crescita dei Consumi
      1. Consumi in Italia
    2. Modello di Consumo Sostenibile
    3. 1 Clima e cambiamenti climatici
      1. Clima o “tempo meteorologico”
        1. ii I principali tipi di clima: varietà e caratteristiche principali
        2. ii Le componenti dell’equilibrio energetico
      2. Le oscillazioni storiche del clima
        1. ii Storia dello studio del clima
      3. 2 Le attività umane come causa dei cambiamenti climatici
        1. l’effetto serra naturale
          1. ii Effetto serra su base 100
        2. l’effetto serra antropogenico
      4. 3 Effetti dei cambiamenti climatici a livello globale
        1. Gli scenari futuri
        2. Sui sistemi naturali
        3. Sull’agricoltura
        4. Sulla salute umana
        5. Sulla risorsa acqua
        6. Sulle zone costiere
        7. In Italia
      5. 4 Gli effetti dei cambiamenti climatici
    4. UNO SGUARDO AL FUTURO, verso lo sviluppo sostenibile
    5. Consumi e Ambiente
    6. Deterioramento delle Risorse Naturali
    7. Rifiuti
    8. I rifiuti: cosa si può fare?
    9. i I limiti dello sviluppo
    10. i La crescita del consumo nel XX secolo
    11. i l’aumento della popolazione mondiale
    12. Inquinamento Atmosferico
    13. Piogge Acide
    14. Smog Fotochimico
    15. Effetto Serra
    16. Danni alla Salute
    17. Ozono
    18. 5 Cosa si fa a livello mondiale e nazionale
      1. La Convenzione Quadro, il Protocollo di Kyoto, la Cooperazione Internazionale
      2. Le misure nazionali di riduzione delle emissioni di gas serra
    19. 6 La ricerca e le nuove tecnologie
      1. Le fonti di energia rinnovabili
      2. l’idrogeno
    20. 7 Cosa si può fare?
      1. In casa
      2. Nei trasporti
      3. l’industria
    21. Le Attività Umane Possono Cambiare il Clima del Pianeta
    22. Cosa si Prevede per la Terra?
    23. E in Italia?
    24. Cosa Propongono le Associazioni Ambientaliste
    25. Gli Impegni Internazionali
    26. I Percorsi dello Sviluppo Sostenibile
    27. La Conferenza di Rio
    28. Le Agende 21 Locali: Il Ruolo delle Città
    29. La Conferenza di Kyoto
    30. Percentuale di Riduzione di Gas Serra entro il 2012 Rispetto ai Livelli del 1990
    31. 2002 Johannesburg: a 10 anni da Rio
    32. Bilancio degli ultimi 10 anni
    33. Gli Impegni dell’Italia
    34. Quadro Legislativo Energetico Ambientale in Italia
  2. Acqua
  3. Energia
    1. Energia e Ambiente
    2. Elettricità
      1. Produzione
      2. Fonti di Energia non Rinnovabili: i combustibili fossili
      3. Fonti di Energia Rinnovabili
    3. Gas
    4. l’uso dell’energia in casa
      1. Efficienza Energetica nelle Abitazioni
      2. Isolamento Termico degli Edifici
      3. Regolazione dell’Impianto di Riscaldamento
    5. Illuminazione
      1. Lampade a Incandescenza
      2. Lampade Alogene
      3. Lampadine a Fluorescenza
    6. Elettrodomestici
      1. Etichetta Energetica
      2. Frigorifero e Congelatore
      3. Scaldabagno
      4. Lavatrice
      5. Lavastoviglie
      6. Forno Elettrico
    7. Glossario Energia
  4. I trasporti: verso una mobilità sostenibile
  5. Trasporti
    1. Autoveicoli
    2. Viaggi
  6. Telecomunicazioni
    1. Telefonia
    2. Collegamento a Internet
    3. Telelavoro
  7. Economia e Finanza
    1. Banche
    2. Assicurazioni
    3. Acquisti
    4. Segreteria
  8. Vedi anche
  9. Link Esterni
  10. Riferimenti
  11. Note
Sviluppo Sostenibile

Lo Sviluppo Sostenibile è quello sviluppo che consente alla generazione presente di soddisfare i propri bisogni senza compromettere la capacità delle future generazioni di soddisfare i loro propri bisogni.
(Rapporto Brundtland 1987)

Lo sviluppo economico e l’aumento dei consumi che si sono avuti nel XX secolo, se da una parte hanno portato benessere per larghi strati della popolazione, dall’altra hanno creato e stanno creando pressioni sull’ambiente.
Il deterioramento delle risorse, la perdita della biodiversità, la produzione di rifiuti, l’inquinamento prodotto dall’impiego dei combustibili fossili portano la questione ambientale ad una dimensione planetaria.
È proprio per garantire la sopravvivenza del pianeta, assieme alla necessità di assicurare un più equo sviluppo sociale ed economico, che gli stati si devono impegnare a perseguire un modello di sviluppo sostenibile.

l’attuale modello di sviluppo deve essere cambiato. Le diverse emergenze ambientali chiedono più di un intervento. I governi ne devono essere consapevoli e dovranno necessariamente andare in questa direzione.
Negli ultimi anni qualcosa è stata fatta o si è cominciato a fare per fronteggiare i deiversi problemi ambientali. Dall’impegno a perseguire un modello di sviluppo sostenibile alla ricerca degli strumenti più adeguati per conciliare la crescente domanda di energia con la salvaguardia dell’ambiente.
Perseguire un modello di sviluppo sostenibile non è solo compito dei governi, è indispensabile il contributo di tutti.
Molte delle azioni che ognuno di noi, fortunatamente, ripete quotidianamente come accendere le luci o l’impianto di riscaldamento, far funzionare gli elettrodomestici, prendere la macchina o il motorino, gettare i rifiuti, lavarsi, hanno delle ricadute ambientali che non possono più essere trascurate.
Tutti possiamo e “dobbiamo” contribuire a migliorare la qualità della vita. Lo dobbiamo fare per noi, per gli altri, per le generazioni future e per tutto l’ambiente che ci circonda.

Le possibilità di risparmiare energia, tanto in casa che a lavoro, sono tantissime e molte di queste sono semplici, convenienti e sotto gli occhi di tutti.
Basta fare un po’ più d’attenzione tenendo presente che ridurre i consumi irrazionali significa pensare tanto al presente quanto al futuro. Il risparmio energetico è una risorsa indispensabile per ridurre l’impatto ambientale e le spese. Infatti un uso più razionale delle risorse energetiche ci permette di avere diversi risultati positivi. Si spende di meno, si riducono i consumi di combustibili, si inquina di meno, si vive meglio!


Oggi sul pianeta vivono circa 6 miliardi di persone e poco meno di 3 miliardi di queste vivono in aree urbane quando, all’inizio del secolo, erano appena il 3%. Un dato che è destinato ad aumentare con lo sviluppo dei paesi emergenti ch stanno vivendo adesso quel fenomeno industriale e di sviluppo che abbiamo vissuto noi sin dai primi dell’800. Questo comporterà un progressivo abbandono delle campagne per le aree cittadine e industriali. Si pensi a zone di sviluppo come la Cina, l’India o il Brasile, tutte nazioni che hanno popolazioni formate da centinaia di milioni di persone e che stanno vivendo crescite dell’ordine del 10% all’anno oppure all’intero continente africano che, prima o poi, sperando e lavorando perché questo accada il prima possibile, dovrà avere, anche esso, il suo sviluppo.
Già oggi poco meno della metà dell’umanità vive in città o nelle sue immediate vicinanze. Anche se il tasso di crescita della popolazione mondiale continua a rallentare, (in cifre assolute la popolazione umana aumenta in media di 86 milioni di persone ogni anno), la popolazione urbana cresce più rapidamente della popolazione globale e quasi tutta la crescita prevista della popolazione urbana (il 92%) avverrà nei paesi in via di sviluppo.
Nel 2050 si stimano 9.5 miliardi, di cui più di 8 nei paesi in via di sviluppo.
Soddisfare le esigenze di tutti significa, necessariamente e allo stato attuale, aumentare ulteriormente i consumi, non farlo è un reato.


Di seguito una notizia di agenzia dell’8 gennaio 2007. Il Papa….

http://it.news.yahoo.com/08012007/201/papa-inaccettabile-scandalo-fame.html

Il Pontefice ha incontrato il corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede

ADN Kronos - Lun 8 Gen 2007
Papa: ''Inaccettabile lo scandalo della fame''
Da Ratzinger l'invito a ''cambiare i nostri modi di vita'', ''eliminare le cause strutturali delle disfunzioni dell'economia mondiale'' e ''correggere i modelli di crescita''
Città del Vaticano, 8 gen. (Adnkronos/Ign) - E' inaccettabile lo scandalo della fame che colpisce milioni di persone in tutto il mondo in un'epoca che non manca di risorse. E' questa una sfida prioritaria che riguarda la comunità internazionale. E' quanto ha detto questa mattina Benedetto XVI nel discorso rivolto al corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede. Come ogni inizio di nuovo anno il Pontefice ha incontrato gli ambasciatori dei 175 Paesi che hanno una loro rappresentanza presso il Vaticano, nella Sala Regia del Palazzo Apostolico.
''Tra le questioni essenziali - ha esordito il Pontefice - come non pensare ai milioni di persone, specialmente alle donne e ai bambini, che mancano di acqua, di cibo, di un tetto?''. ''Lo scandalo della fame - ha aggiunto - che tende ad aggravarsi, è inaccettabile in un mondo che dispone dei beni, delle conoscenze e dei mezzi per porvi fine''. ''Esso ci spinge a cambiare i nostri modi di vita - ha spiegato ancora il Pontefice - ci richiama l'urgenza di eliminare le cause strutturali delle disfunzioni dell'economia mondiale e di correggere i modelli di crescita che sembrano incapaci di garantire il rispetto dell'ambiente e uno sviluppo umano integrale per oggi e soprattutto per domani''.
Povertà e corruzione - ''Un altro elemento importante nello sforzo comune per l'eliminazione della miseria - ha spiegato il Pontefice - richiede non solamente un'assistenza, della quale non si può non desiderare l'espansione, ma anche la presa di coscienza dell'importanza della lotta alla corruzione e la promozione del buon governo''.

L'Africa - ''Non dimentichiamo l'Africa e le sue numerose situazioni di guerra e di tensione'', ha ammonito il Papa. ''La comunità internazionale - ha aggiunto Ratzinger - sembra impotente da ormai quattro anni, malgrado le iniziative destinate ad alleviare le popolazioni provate e a dare una soluzione politica. E' solamente attraverso una collaborazione attiva tra le Nazioni Unite, l'Unione Africana, i governi interessati e altri protagonisti che questi mezzi potranno divenire efficaci. Invito tutti ad agire con determinazione: non possiamo accettare che tanti innocenti continuino a soffrire e a morire''.

Crescita dei Consumi

A partire dal XX secolo, il consumo mondiale è aumentato ad una velocità senza precedenti. Nel 2003 il livello di spese e di consumo pubbliche e private è stato di 28 mila miliardi di dollari. Una cifra con undici zeri, di sei volte superiore a quella che si spendeva nel 1950. A partire dal 1970 la spesa globale è cresciuta del 3% ogni anno.
l’impiego di combustibili fossili è pressoché quintuplicato dal 1950. Il consumo di acqua è quasi raddoppiato dal 1960, e la pesca è quadruplicata. Il consumo di legname come combustibile, sia per l’industria che in casa, è del 40% più elevato rispetto a 25 anni fa. Di conseguenza, negli ultimi 50 anni sono quadruplicate le emissioni di anidride carbonica e, nei paesi industrializzati, la produzione di rifiuti, sia tossici che non, è pressoché triplicata negli ultimi 20 anni.

Consumi in Italia

Le famiglie italiane consumano annualmente circa il 60% della ricchezza nazionale, e più del 30% dei consumi energetici totali.
Una famiglia composta da 4 persone spende mediamente 1,700.00 euro al mese di cui il 17.26% viene destinato ai consumi alimentari, l’8.65% all’acquisto di vestiario e calzature, il 18% per le spese di manutenzione delle abitazioni e per i consumi di combustibili e di energia, l’8.9% per l’acquisto di mobili e arredamento, il 12.45% per i trasporti e le comunicazioni, il 6.65% per i servizi sanitari e circa il 28% per spese riguardanti il tempo libero.
Le famiglie sono anche responsabili di circa il 27% delle emissioni nazionali di gas inquinanti.
Il 10% di queste emissioni proviene dagli impianti di riscaldamento, il 9% dal trasporto privato e il 3% dai rifiuti solidi urbani.
Se consideriamo che la popolazione italiana ha raggiunto circa i 60 milioni di abitanti e che l’emissione pro-capite di anidride carbonica (CO2) annua è di 7.8 tonnellate, ci rendiamo subito conto che il nostro contributo e il nostro impegno per migliorare l’uso delle risorse diventa indispensabile ai fini dello sviluppo sostenibile.
Il consumo di un solo chilowattora, che corrisponde a circa mezzora d’accensione di uno scaldabagno o di una stufetta elettrici, richiede la combustione di un minimo di 250 grammi d’olio combustibile (un quarto di chilo di petrolio) e provoca l’immissione nella atmosfera di 750 grammi di anidride carbonica (circa 400 litri di CO2).
Una famiglia di 4 persone consuma circa 7 chilowattora al giorno, bruciando 2 chili di petrolio e liberando quasi 2.800 litri di CO2. Inoltre produce ogni giorno quasi 6 chili di rifiuti e consuma circa 1.000 litri di acqua.

Dall’esigenza di disporre di grandi quantità di energia nascono alcuni dei principali fenomeni che danneggiano l’ambiente. Oggi l’energia viene prodotta essenzialmente bruciando combustibili fossili (petrolio, carbone e metano) anche se negli ultimi anni si è registrato un aumento dell’utilizzo delle fonti energetiche rinnovabili (Vedi Tabella 0X).
Un primo allarme sul conflitto in atto tra la crescita economica insieme a quella demografica e l’ambiente, è stato descritto nel 1972 in uno studio fatto dal Club di Roma dal titolo “I Limiti dello Sviluppo” dove si sostiene che sia ormai impossibile continuare a perseguire il modello di sviluppo attuale dei paesi industrializzati, con alti consumi di materiali e di energia, con elevate emissioni inquinanti.
La nostra società vive le contrapposizione tra l’esigenza e l’abituduine ai vantaggi che lo sviluppo ci assicura e il degrado ambientale provocato dall’eccessivo sfruttamento delle risorse.
Lo sviluppo economico e l’aumento dei consumi che si sono avuti a partire dal XX secolo, pur portando benessere per larghi strati della popolazione, hanno aumentato le disuguaglianze sociali ed economiche, sia tra le varie nazioni che tra gli strati di popolazione all’interno delle nazioni stesse.
Oggi circa il 20% della popolazione mondiale utilizza più dell’80% delle risorse naturali disponibili, mentre oltre il 20% rimane in condizioni di assoluta povertà. Non vi è perciò alcun dubbio che i paesi più poveri dovranno accedere a una maggiore quota di risorse per arrivare a garantire ai propri cittadini più salute, sviluppo e sicurezza sociale.
Le attività industriali e agricole necessarie a soddisfare i bisogni delle popolazioni provocano effetti sull’ambiente che non devono e non possono più essere trascurati.

La crescita nei consumi sta creando pressioni sull’ambiente che richiedono immediati e drastici interventi. l’attenzione deve essere rivolta soprattutto sul problema del deterioramento delle risorse naturali come l’acqua, la terra e le foreste sulla perdita di biodiversità, sulla produzione di rifiuti tossici e non, e sul problema dell’inquinamento prodotto dall’impiego dei combustibili fossili.

l’acqua è una risorsa rinnovabile ma a causa del suo progressivo scadimento non può più essere considerata una risorsa infinita.
Dal 1960 ad oggi il consumo di acqua è quasi raddoppiato. l’origine dell’inquinamento delle acque è dovuto soprattutto alle attività industriali, civili e agricole e, in misura minore, alle attività zootecniche, alle discariche di rifiuti e al sovrasfruttamento delle sue falde.
Una forma di inquinamento alla quale sono soggetti soprattutto le acque dei laghi è la eutrofizzazione.
Questo fenomeno è causato dal forte afflusso di alcune sostanze nutritive presenti negli scarichi domestici e industriali e nei concimi agricoli nelle acque. l’eccesso di apporto di sostanze nutrienti provoca un eccessivo sviluppo di alghe e piante acquatiche che riducono la presenza di ossigeno nell’acqua causando la morte della fauna presente. Inoltre le alghe, alla fine del loro ciclo vitale, si decompongono compromettendo la qualità dell’acqua stessa al punto tale da ridurne o precluderne totalmente l’uso. Questo fenomeno si intensifica quando la temperatura aumenta in maniera anomala.

Le foreste mondiali, che proteggono il suolo, prevengono l’erosione, regolano le scorte d’acqua e aiutano a regolare il clima, si stanno riducendo soprattutto per i tagli degli alberi e gli incendi .
La foresta più grande del mondo, l’Amazonia, la cui dimensione è di circa 6 milioni di chilometri quadrati, poco meno degli Stati Uniti d’America, e che secondo recenti studi, contiene circa il 50% di tutta la biodiversità del Pianeta, ogni minuto perde un’area pari a sei campi di calcio.
Dal 1970 ad oggi le aree boschive, ogni mille abitanti sono passate da 11.4 chilometri quadrati a 7.
Fra le cause principali della deforestazione ci sono i tagli per la commercializzazione del legno, per l’urbanizzazione del territorio (strade, ferrovie, centri abitati, …), per creare pascoli e per aumentare i terreni ad uso agricolo. La deforestazione indiscriminata può provocare l’estinzione di specie animali e vegetali e può compromettere la biodiversità di un luogo. Inoltre, contribuisce ad aumentare l’effetto serra del pianeta, in quanto con la distruzione delle foreste viene ridotta la quantità di anidride carbonica utilizzata dalle piante come loro “alimento”.
Un sesto del suolo terrestre, circa 2 miliardi di ettari, risulta degradata a causa di pratiche di coltivazione e dell’allevamento intensivo.

Il 33% della superficie dell’Europa è a rischio desertificazione, mentre il 10% delle terre italiane è a forte rischio di erosione, cioè di un lento sgretolamento del terreno e delle rocce prodotto dagli agenti atmosferici quali temperatura, vento e pioggia.
La desertificazione è un processo di progressiva riduzione della capacità degli ecosistemi di sostenere la vita animale e vegetale. Può essere innescato dalla riduzione delle risorse idriche e dall’aumento della siccità conseguenti ai cambiamenti climatici, dall’eccessivo sfruttamento dei terreni da pascolo e agricoli, che una volta esaurita la propria riserva di sostanze nutritive vanno soggetti ad erosione, dall’indiscriminato abbattimento del manto forestale per creare spazi da dedicare all’agricoltura, alla pastorizia e per reperire legna da ardere, dalla cattiva gestione dei sistemi d’irrigazione che può portare alla salinizzazione dei terreni.

Le specie animali e vegetali si stanno estinguendo 50-100 volte più velocemente di quanto accadrebbe naturalmente, provocando interruzioni nella catena della vita, compromettendo così la biodiversità degli ecosistemi intendendo, per biodiversità, quella varietà di organismi viventi, sia animali che vegetali, presenti in un particolare ambiente o ecosistema.
Con le attività umane, con il prelievo di risorse e l’inquinamento stiamo provocando perdite di biodiversità. Per conservare un’alta biodiversità è necessario garantire la conservazione e il recupero del maggior numero possibile degli ecosistemi esistenti.

Modello di Consumo Sostenibile

Il consumo è sostenibile quando i beni e i prodotti che consumiamo quotidianamente vengono prodotti e utilizzati nel pieno rispetto dell’ambiente e delle risorse.

Senza alcun sacrificio possiamo modificare il nostro stile di vita senza, per questo, dover rinunciare ai comfort ai quali siamo abituati.
Utilizzando in modo corretto e sostenibile le risorse energetiche e ambientali, contribuiremo alla riduzione delle emissioni di gas serra, migliorando, di conseguenza, la qualità dell’ambiente che ci circonda e, nel contempo, risparmiando anche molto denaro.

Clima e Cambiamenti Climatici

CLIMA O “TEMPO METEOROLOGICO”

Spesso la parola “clima” viene impropriamente utilizzata per parlare di “tempo meteorologico”.

Prima di affrontare i meccanismi e le problematiche relative alle mutazioni del clima, è opportuno chiarire la differenza tra questi due concetti:

• Il “tempo meteorologico” è lo stato dell’atmosfera in un dato luogo e in un dato momento.
Varia da luogo a luogo e nel corso dei giorni in relazione ai movimenti delle grandi masse d’aria e dei loro scambi con la superficie terrestre;

• Il “clima” è la combinazione delle condizioni meteorologiche prevalenti in una regione, su lunghi periodi di tempo (25-30 anni).
l’osservazione prolungata nel tempo di parametri come la temperatura, le precipitazioni, l’umidità consente di ottenere valori medi statisticamente significativi che descrivono il clima di una determinata regione.

I principali tipi di clima: varietà e caratteristiche principali

Climi umidi tropicali (almeno 6 mesi di precipitazioni e temperatura del mese più freddo superiore ai 15°C)

• clima equatoriale o della foresta pluviale;

• clima della savana.

Climi aridi (più di 6 mesi con scarse precipitazioni)

• clima arido caldo o desertico;

• clima steppico o arido con inverno freddo.

Climi mesotermici (temperatura del mese più freddo compresa tra 2°C e 15°C)

• clima umido temperato caldo con inverno secco o tropicale montano;

• clima umido temperato con estate secca o mediterraneo;

• clima temperato umido.

Climi microtermici (temperatura del mese più freddo superiore o uguale a 2°C)

• clima boreale freddo con inverno secco;

• clima boreale freddo con inverno umido.

Climi nivali (temperatura del mese più caldo sempre inferiore a 10°C)

• clima nivale o delle tundre;

• clima del gelo perenne.

Alla base dei complessi meccanismi che regolano il clima sulla terra, c’è un solo motore, l’energia del sole. Questa viene assorbita dal sistema terrestre in modo diverso a seconda della latitudine, della conformazione geografica dei continenti e degli oceani, dell’orografia, ecc.

l’energia solare si trasforma in altre forme di energia che danno origine ai movimenti dell’atmosfera, dei mari, ecc. e in varie forme di energia bio-chimica che sono alla base della evoluzione della vita sulla terra. Dopo tutte queste trasformazioni l’energia solare, ormai “degradata”, ritorna nello spazio. Tra l’energia che entra sulla terra e l’energia che esce, si stabilisce un equilibrio complessivo rappresentato dal “clima”, a sua volta composto da equilibri regionali e locali.

Pertanto, mentre nella pratica il clima è definito dalle condizioni meteorologiche medie (temperatura, precipitazioni, vento, umidità) in un arco di tempo di almeno trent’anni, nell’attività di ricerca scientifica è definito come lo stato di equilibrio energetico tra flusso di energia solare entrante sul nostro pianeta e flusso di energia uscente dal nostro pianeta.

• l’atmosfera:

l’atmosfera trasferisce calore dall’equatore ai poli. Questo trasporto di energia non avviene in maniera semplice; infatti la circolazione che riceve una maggiore quantità di energia solare, generale delle masse d’aria che dall’equatore si dirigono verso i poli -il sistema dei venti- è complicata dalla rotazione della Terra che ne devia il percorso.

La circolazione generale delle masse d’aria risulta quindi composta dalla combinazione di tre circolazioni minori:

1) la circolazione tropicale, detta cella di Hadley, che effettua lo scambio di calore tra l’equatore e i tropici;

2) la circolazione delle latitudini medi,e che grazie al suo andamento ondulato effettua lo scambio di calore tra i tropici e le latitudini medie (60°);

3) la circolazione polare, che effettua lo scambio tra le latitudini medie ed i poli.

Oltre ai movimenti delle masse d’aria al suo interno, anche la composizione dell’atmosfera influenza il clima: la concentrazione di determinate sostanze, come i “gas serra”, infatti, ne modifica la capacità di trattenere il calore.

Le componenti dell’equilibrio energetico

Lo stato di equilibrio energetico della Terra è il risultato delle interazioni fra le diverse componenti che incessantemente si scambiano flussi di calore, di energia e di materia. • La geosfera:

l’evoluzione del clima sulla terra è strettamente legata, sul lungo periodo, alla storia dei continenti; infatti i climi dipendono strettamente dalla posizione delle terre emerse.

Possiamo dire che, ad ogni stadio della deriva dei continenti, corrisponde un clima particolare. Ma il clima è anche influenzato, sul breve periodo, dall’attività vulcanica; forti eruzioni immettono nell’atmosfera quantità considerevoli di polveri e di gas (aerosol) che hanno l’effetto di riflettere l’energia solare e quindi provocano un raffreddamento della superficie terrestre.

Ad esempio, quando ai poli non c’erano delle terre emerse, il clima era globalmente più caldo poiché l’oceano poteva trasportare calore verso i poli in maniera più efficace.

• Gli oceani:

anche gli oceani trasportano calore dall’equatore ai poli, aiutando così a equilibrare la disparità termica tra le due regioni. Ciò avviene grazie alla corrente calda che si forma nelle regioni equatoriali e sale fino all’Islanda, dove incontra i venti gelidi provenienti dal Canada. Qui l’acqua del mare si raffredda, cedendo calore all’aria e mitigando quindi l’effetto che tali venti avrebbero sul Nord Europa.

Evaporando l’acqua diventa più densa e tende a scendere generando una corrente profonda: in pratica si tratta di un grande nastro trasportatore di acqua fredda e salata che nasce nei mari del nord e visita tutti gli oceani in un viaggio che dura all’incirca 1.000 anni. La portata di tale corrente è equivalente a 100 volte la portata del Rio delle Amazzoni.

IL “NASTRO TRASPORTATORE”

• l’orbita terrestre:

trasferimento di calore all’aria

• La biosfera: boschi, foreste, organismi vegetali marini, il fitoplancton, attraverso i processi di fotosintesi, sottraggono anidride carbonica (CO2) all’atmosfera e la trasformano in biomassa e quindi costituiscono, di fatto, la principale fonte di assorbimento e di riciclo della CO2 atmosferica.

• l’energia solare:

l’intensità dell’energia solare varia con una ciclicità di circa undici anni anche se tale variazione non sembra avere un’influenza notevole sul clima terrestre.

le variazioni dell’eccentricità dell’orbita terrestre, la precessione degli equinozi, la variazione dell’inclinazione dell’asse di rotazione della Terra, influenzano il clima terrestre.

In generale si può dire che i periodi più freddi sono quelli nei quali l’obliquità dell’asse terrestre è minore, l’eccentricità maggiore e la precessione degli equinozi tale che la Terra è lontana dal Sole e con l’asse di rotazione inclinato in verso opposto al Sole durante l’inverno nell’emisfero Nord.

LE OSCILLAZIONI STORICHE DEL CLIMA

l’età della Terra viene oggi stimata in circa 5 miliardi di anni, ed è ormai accertato che, sin dalle sue origini, il pianeta ha subito un alternarsi di periodi freddi, culminati in diversi episodi di glaciazione durati anche milioni di anni, e periodi di clima temperato o caldo, lunghi centinaia di milioni di anni.

Continue oscillazioni sono sempre state la norma, come dimostrato dalle piccole glaciazioni, d’intensità minore e di breve durata, che avrebbero a loro volta interrotto i lunghissimi periodi caldi.

Ovviamente le ricostruzioni dei climi del passato sono approssimative e basate su esami geologici e sullo studio di reperti paleontologici.

Il clima ha modificato la superficie della Terra, ma soprattutto ha condizionato la vita degli organismi che la abitano.

Ad ogni sua variazione piante, animali e uomini hanno dovuto trovare nuove forme di adattamento, spesso migrando in cerca di ambienti più ospitali. l’abilità dei primi esseri umani di adattarsi a condizioni climatiche anche estreme è stata una delle chiavi della sopravvivenza della specie.

I dati disponibili permettono di dare informazioni più dettagliate sul clima dell’ultimo milione e mezzo di anni, quella che viene chiamata dai geologi l’Era Quaternaria.

Questo periodo è caratterizzato da quattro glaciazioni maggiori e tre fasi interglaciali; durante questa Era i continenti presero la posizione attuale e apparve l’uomo moderno.

l’ultima glaciazione ha permesso la diffusione dell’uomo su tutto il pianeta, facilitata dai corridoi di terre emerse sorti a causa dell’abbassamento del livello del mare.

Finita l’era glaciale, circa 18-20 mila anni fa, il clima tornò, con diverse oscillazioni, ad essere più caldo e umido.

Avvicinandosi ai giorni nostri, le informazioni a disposizione diventano sempre più precise; attorno al 6000 a.C. sulla regione del Sahara si rovesciarono grandi quantità di pioggia che andarono a formare i grandi fiumi i cui letti sono ancora oggi visibili.

Finito l’ultimo breve episodio glaciale, verso l’8000 a.C., la Terra torna a scaldarsi. Una fase che culmina negli anni dal 5500 al 2600 a.C., quando vengono raggiunte le temperature più alte degli ultimi diecimila anni. Attorno al 4000 a.C., il Sahara ha un clima molto umido ed è coperto da vaste praterie che ospitano civiltà evolute.

Poi, intorno al 3000 a.C., le precipitazioni diminuirono e il Sahara tornò ad essere una regione arida e inospitale.

Al culmine dell’optimum postglaciale, il clima è più arido. Il deserto guadagna terreno, mentre i ghiacciai si sciolgono. La civiltà sahariana si restringe alle coste e alla Valle del Nilo. Appaiono le prime grandi civiltà storiche (siriano-mesopotamica ed egiziana).

Nel Pacifico, intanto, è emerso El Niño.

Verso il XII secolo a.C., una crisi (di origine climatica?) sconvolge il mondo antico, con la decadenza di imperi come quello egiziano e minoico-miceneo.

Dal 900 a.C. in poi il clima è fresco e umido. È un momento di prosperità agricola, con lo sviluppo della civiltà greca, etrusca e romana.

In epoca greco-romana, le oscillazioni tra caldo e freddo si fecero più frequenti e meno ampie.

Il periodo a cavallo della nascita di Cristo appare abbastanza mite. È difficile ricostruire una tendenza precisa, ma il clima non deve essere molto differente da quello attuale.

Durante i primi secoli dell’era cristiana sembra accentuarsi l’aridità, che alcuni storici hanno messo in relazione con la decadenza dell’Impero Romano.

I primi secoli dell’era cristiana sembrano essere caratterizzati da un clima mite ma arido.

Attorno al VI secolo d.C. una serie di eventi sconvolge il mondo antico: popoli asiatici invadono l’Occidente, cadono le prime dinastie cinesi, le civiltà sudamericane raggiungono gli altipiani. Una recente teoria (tutta da discutere) ne fa risalire la causa a un disastro naturale, dagli spaventosi effetti climatici, avvenuto nel
Il medioevo appare come un periodo caldo ben definito e ciò è confermato dal fatto che in Inghilterra si produceva vino, 500 chilometri più a Nord rispetto a oggi.

Un lungo periodo caldo si estende più o meno dal IX al XII secolo.

In Inghilterra si coltiva la vite, mentre i monasteri irlandesi ottengono un livello di prosperità e cultura senza precedenti. I Vichinghi colonizzano la Groenlandia e raggiungono l’America.

Fervono le attività anche lungo la “via della seta”.

Terminato quello che viene chiamato l’optimum climatico medievale, attorno al 1200 il clima tende a raffreddarsi, inizia quella che viene chiamata dai climatologi la “Piccola età glaciale” che culmina nel 1816, passato alla storia come “l’anno senza estate”.

Dal XV secolo fino a metà ottocento, una lunga fase fredda interessa il pianeta e in particolare l’Europa. I Vichinghi lasciano la Groenlandia, i cui porti sono bloccati dal gelo. I ghiacciai avanzano e molte valli alpine vengono abbandonate. Il 1816 passa alla storia come “l’anno senza estate”.

A metà ottocento le temperature tornano ad aumentare, inaugurando un periodo caldo che dura ancora oggi.

Finita la Piccola età glaciale, dal 1850 a oggi la temperatura media terrestre è aumentata di 0,5-1 gradi.

I ghiacciai di tutto il mondo sono in regresso, mentre il livello dei mari cresce di un paio di millimetri l’anno.

È il riscaldamento globale, forse provocato dalle attività umane.

Storia dello studio del clima

Le attività umane sono sempre state influenzate dagli eventi meteorologici e per questo motivo gli uomini, fin dall’antichità, scrutavano il cielo, osservavano il comportamento degli animali e si affidavano a saperi e credenze varie per cercare di rispondere alla domanda “che tempo farà domani?”.

I primi ad effettuare osservazioni meteorologiche regolari sono i cinesi, nel 1300 a.C..

Nello stesso periodo i Babilonesi formulano vere e proprie regole climatiche poste sotto gli auspici del dio Marduk, dio del cosmo.

I Greci si interessano molto alla meteorologia e Aristotele, con il testo “Meteorologia”, servirà da riferimento a tutto il mondo occidentale per molti secoli. Con l’impulso dato dai pensatori greci e poi romani, la meteorologia diviene una scienza vera e propria che però, durante il medioevo non fa passi in avanti.

Come per la maggior parte delle scienze è durante il Rinascimento, tra il XVII e il XVIII secolo, che vengono costruiti numerosi strumenti di misura quali il termometro a mercurio, il barometro ed infine un importante strumento che servirà a Fourier per misurare l’effetto serra: l’eliotermometro.

Infatti, nel 1824, lo scienziato francese definisce l’atmosfera come una serra compressa tra la superficie della Terra e lo spazio interstellare: “È così che la temperatura della Terra viene aumentata dall’interposizione dell’atmosfera, perché il calore nello stato di luce trova meno resistenza nel penetrare l’aria, che nel ripassare quando viene convertita in calore non luminoso”.

Nel 1895 Arrhenius presenta la sua memoria “Sull’influenza dell’anidride carbonica atmosferica sopra le temperature terrestri” nella quale la descrizione dell’effetto serra fatta da Fourier si arricchisce di nuovi particolari individuando gli elementi dell’atmosfera che sono causa di tale effetto.

Le ricerche sull’influenza dell’anidride carbonica sul clima proseguono per tutta la prima metà del 1900 e culminano nel 1958, con la costruzione alle Hawaii di un osservatorio per monitorare la concentrazione della CO2 in atmosfera.

Le conoscenze sul clima sono molto progredite dai tempi di Fourier, sono cambiati gli strumenti e i metodi di ricerca, nonché il numero di persone coinvolte; ogni anno le riviste scientifiche pubblicano migliaia di articoli che riportano i risultati di ricerche sul clima, le misurazioni dei principali parametri, le statistiche degli eventi meteorologici estremi, ecc.

È anche per vagliare i risultati di tali ricerche e per sintetizzarli che, alla fine degli anni &lsquo,80, viene istituito l’IPCC (Intergovernemental Panel on Climate Change), il comitato di esperti delle Nazioni Unite incaricato di studiare i cambiamenti climatici.

LE ATTIVITÀ UMANE COME CAUSA DEI CAMBIAMENTI CLIMATICI

l’EFFETTO SERRA NATURALE

l’effetto serra è il fenomeno naturale determinato dalla capacità dell’atmosfera di trattenere sotto forma di calore parte dell’energia che proviene dal Sole.

Come aveva intuito Fourier, il fenomeno è dovuto alla presenza nell’atmosfera di alcuni gas, detti “gas serra”, che “intrappolano” la radiazione termica che viene emessa dalla superficie terrestre riscaldata dal Sole.

Proprio come i vetri di una serra, infatti, l’atmosfera è “trasparente” alla radiazione solare che proviene dal Sole, mentre è parzialmente “opaca” a quella termica emessa dalla superficie terrestre.

Grazie a questo fenomeno, la temperatura media della terra si mantiene intorno ai 15°C, contro i -19°C che si avrebbero in assenza dei “gas serra”.

Effetto serra su base 100

Dalle radiazioni solari entranti solo il 45% viene assorbito dalla terra: infatti il 25% viene riflesso dall’atmosfera, il 5% dalle superfici riflettenti della Terra (ghiacciai, oceani), mentre il 25% viene assorbito dall’atmosfera che lo rimette sotto forma di radiazione infrarossa (calore). Anche la Terra emette energia come radiazione infrarossa, di questa il 4% viene irradiata direttamente nello spazio, il 100% viene invece assorbita dai gas serra e viene poi re-radiata dall’atmosfera terrestre (88%). Quest’ultimo valore rappresenta l’effetto serra. La superficie della Terra emette energia anche attraverso l’evaporazione 24% e le correnti termiche 5%; questa energia viene assorbita dall’atmosfera e poi rimessa sottoforma di radiazione infrarossa.

I gas maggiormente responsabili di questo fenomeno, oltre il vapore acqueo, che è il principale gas serra naturale, sono la CO2, il metano, l’NO2 (protossido di azoto). l’anidride carbonica (CO2), uno dei principali composti del carbonio, è presente in natura in quattro grandi “serbatoi”:

• La biosfera, nella quale il carbonio è presente nelle molecole organiche (lipidi, glucidi, ecc.) (3.100 miliardi di tonnellate o gigatonnellate);

• Gli oceani, nei quali il carbonio è disciolto sotto forma di carbonati e bicarbonati (40.000 gigatonnellate);

• La geosfera, dove il carbonio si presenta essenzialmente sotto forma di calcare e di combustibili fossili (rispettivamente 40.000 e 12.000 gigatonnellate);

• l’atmosfera, dove il carbonio è presente sotto forma di CO2 (600 gigatonnellate).

Questi serbatoi sono legati tra loro da importanti scambi che nel loro insieme costituiscono il “ciclo del carbonio”:

• Gli organismi vegetali utilizzano la CO2 atmosferica per produrre materia organica attraverso la fotosintesi clorofilliana; la quantità di carbonio così fissata ogni anno è notevole (100 gigatonnellate per anno); il carbonio è poi riemesso dagli ecosistemi attraverso la respirazione di piante e animali;

• La CO2 atmosferica entra negli oceani per diffusione e viene convertita in forme diverse; ad esempio viene fissata da alcuni organismi che la utilizzano per costruire i propri gusci che, alla morte dell’animale, si depositano sul fondo degli oceani a formare vasti depositi di materiale calcareo;

In breve, la fotosintesi sottrae anidride carbonica all’atmosfera facendo passare il carbonio dall’ambiente abiotico agli organismi viventi. Da questi ultimi ritorna all’acqua od all’atmosfera attraverso la respirazione cellulare, la combustione e l’erosione. Il bilancio naturale del ciclo del carbonio, in assenza di attività dell’uomo, è pressoché in pareggio.

Il metano (CH4) si produce dalla degradazione di materiale organico in assenza di ossigeno (anossia). Esso viene naturalmente emesso da mangrovie e paludi, mentre le emissioni dovute alle attività umane provengono essenzialmente dalle perdite di gas naturale e di altri combustibili fossili durante l’estrazione e il trasporto, dalla combustione di biomasse, dall’agricoltura e dalla zootecnica, ed infine dalle discariche.

Il protossido di azoto (NO2) è un gas serra molto potente e con un tempo di permanenza in atmosfera piuttosto elevato (120 anni), ma con una bassa concentrazione; le principali fonti antropiche di emissione derivano dai fertilizzanti azotati usati in agricoltura e in alcune produzioni industriali.

• Gli organismi vegetali ed animali decomponendosi in condizioni anaerobiche hanno formato grandi depositi di combustibili fossili. Il carbone, il petrolio e il gas naturale sono infatti essenzialmente formati da composti del carbonio.

CFC, HFC, CF4, sono dei composti chimici a base di carbonio che contengono cloro, fluoro, iodio o bromo. Con il Protocollo di Montreal (1987) è stato vietato l’uso di una serie di sostanze tra le quali i clorofluoro - CFC - carburi (responsabili del buco nell’ozono) e quindi si è arrivati ad una diminuzione della loro concentrazione; ma anche i prodotti sostitutivi (HFL e CF4) sono potenti gas serra.

l’EFFETTO SERRA ANTROPOGENICO

Con le emissioni in atmosfera di grandi quantità di gas serra, le attività umane stanno generando un effetto serra aggiuntivo a quello naturale, che tende ad alterare tutti gli equilibri del sistema climatico.

l’uomo, infatti, modifica costantemente la composizione dell’atmosfera, introducendo nuove sorgenti di gas serra ed interferendo con i serbatoi naturali;

Le emissioni derivano per la maggior parte dal consumo e dalla combustione di fonti fossili, altre vengono da alcune produzioni industriali, dall’agricoltura, dall’allevamento e dalla gestione dei rifiuti.

La diminuzione degli assorbitori di gas serra dipende invece dalla riduzione, per distruzione o per cambiamento d’uso, delle superfici forestali che hanno la proprietà di assorbire la CO2.

LE EMISSIONI DI GAS SERRA

Nel 1995 l’82% delle emissioni di gas serra sono state di CO2. Seguono il metano 12%, l’NO2 4%; il rimanente 2% è dato dalla somma delle emissioni dei HCFC e PCF.

Tabella 0X: Contributo alle Emissioni dei Differenti Gas Serra
CO2 82%
CH4 12%
NO2 4%
HCFC e PCF 2%
Dati 1995


Per valutare il contributo all’effetto serra dei differenti gas, bisogna prendere in considerazione tre parametri:

• La loro concentrazione in atmosfera;

• Il forcing radiattivo di ciascun gas, ovvero la diversa capacità di intrappolare l’energia che va dalla Terra verso lo spazio;

• Il tempo medio per il quale un certo gas rimane in atmosfera, ovvero la persistenza (ovviamente se un gas serra rimane in atmosfera per poco tempo avrà un effetto minore di un gas serra che rimane in atmosfera molto a lungo).

Per poter rendere possibile il confronto tra gas con differenti caratteristiche è stato sviluppato un metodo che permette di valutare i diversi gas evidenziando il loro potenziale di riscaldamento globale (GWP), tenendo dunque conto del tempo di permanenza in atmosfera, della concentrazione e del forcing radiattivo; il GWP è una misura dell’effetto serra relativo di un gas utilizzando come gas di riferimento l’anidride carbonica.

Il Segretariato delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC) svolge un’importante funzione di raccolta e di omogeneizzazione dei dati relativi alle emissioni di gas serra offrendo in questo modo una visione di insieme delle emissioni dei paesi industrializzati, oltreché paese per paese.

Secondo l’UNFCCC, nel 1998 la maggior fonte di emissione proviene dall’uso di fonti di energia fossile (96,7%). All’interno di questa categoria sono le industrie energetiche ad occupare la quota più importante (39,1%), segue poi il settore dei trasporti (26,7%).

l’anidride carbonica è dunque il principale gas ad effetto serra di origine antropogenica, ed il principale responsabile delle emissioni di gas serra è il settore energetico.

Le emissioni di CO2 legate al settore energetico dipendono sia dal livello della domanda di energia, che dalle fonti utilizzate. Infatti, non tutti i combustibili emettono la stessa quantità di CO2 (ad esempio a parità di energia termica prodotta, il gas naturale emette quasi la metà del carbone).

Il grafico qui sotto mostra la crescita costante della concentrazione di CO2 in atmosfera: negli ultimi 40 anni, del 16%; con un incremento annuo dello 0,5%.

AUMENTO DELLA CONCENTRAZIONE DI CO2 IN ATMOSFERA NEGLI ULTIMI 50 ANNI

Ogni anno l’uomo immette in atmosfera 7 gigatonnellate di carbonio; confrontando questo dato con l’entità dei flussi che legano l’atmosfera e la biosfera (100 gigatonnellate di carbonio all’anno) si nota che pur essendo molto piccole rispetto alle emissioni totali, le emissioni antropiche sono sufficienti a spostare l’equilibrio del ciclo e a provocare un aumento delle concentrazioni di CO2 in atmosfera.

EFFETTI DEI CAMBIAMENTI CLIMATICI A LIVELLO GLOBALE

Allo stato attuale delle conoscenze scientifiche e sulla base dei più recenti studi dell’IPCC (Intergovernemental Panel on Climate Change) la maggior parte degli esperti concorda nel ritenere che, a causa dell’aumento delle concentrazioni di gas serra in atmosfera, nel prossimo futuro potremmo aspettarci i seguenti fenomeni:

• Aumento della temperatura del pianeta. Dal 1860, data a partire dalla quale sono disponibili dati attendibili, la temperatura media della Terra è aumentata di 0.6°C. In termini di durata e di ampiezza del fenomeno, il riscaldamento durante il 1900 sembra essere stato il più importante negli ultimi mille anni;

VARIAZIONI DELLA TEMPERATURA MEDIA DELLA TERRA DAL 1860 (RISPETTO ALLA MEDIA 1961-1990)

• Aumento nella frequenza e nell’intensità di eventi climatici estremi come alluvioni, tempeste, ondate di caldo o freddo eccessivo;

• Aumento del rischio di desertificazione in alcune zone;

• Diminuzione dei ghiacciai presenti nelle principale catene montuose mondiali;

• Crescita del livello del mare. Negli ultimi 100 anni si è già verificato un innalzamento di circa 10/25 cm.

GLI SCENARI FUTURI

Negli ultimi venti anni, gli scienziati hanno sviluppato modelli di calcolo che cercano di prevedere i cambiamenti climatici. I modelli utilizzati, chiamati GCM (General Circulation Models, modelli di circolazione generale), funzionano su calcolatori molto potenti che utilizzano tutte le conoscenze sul clima per ottenere tali previsioni.

Alcuni studi dell’IPCC prendono in considerazione diverse ipotesi di evoluzione per alcuni parametri fondamentali: crescita demografica, sviluppo economico, risorse disponibili (fonti primarie di energia) e tecnologia. Le diverse ipotesi di evoluzione vengono dette “famiglie di scenari”.

• Aumento delle precipitazioni, soprattutto nell’emisfero Nord, e particolarmente alle medie e alte latitudini. Diminuzione delle piogge nelle regioni tropicali e subtropicali;

Per ognuna di queste famiglie di scenari, sono stati calcolati diversi livelli di emissione di CO2, per il periodo 1990-2100.

• Medie latitudini (fascia temperata)

EMISSIONI PER LE DIVERSE FAMIGLIE DI SCENARI (IPCC)

I principali cambiamenti individuati dai modelli, a seguito dell’aumento della concentrazione di gas di serra nell’atmosfera, sono essenzialmente tre:

• il riscaldamento globale della bassa atmosfera e della superficie terrestre,

• l’accelerazione del ciclo dell’acqua nell’atmosfera e nel suolo,

• l’aumento del livello dei mari.

RISCALDAMENTO GLOBALE

Tutti i modelli matematici attualmente disponibili prevedono un generale riscaldamento dei bassi strati dell’atmosfera e della superficie terrestre in un intervallo compreso fra 1,5 e 5,8°C e contemporaneamente un raffreddamento degli strati più alti dell’atmosfera.

Il tasso medio di incremento della temperatura è stimato in circa 0,3°C ogni 10 anni. I tempi in cui tale cambiamento avverrà sono ancora incerti ed incerta è anche la distribuzione che tale aumento assumerà a scala subcontinentale.

Tuttavia, analisi e valutazioni condotte su vari scenari permettono di dire che la distribuzione del riscaldamento climatico alle diverse latitudini avrà le seguenti caratteristiche:

• Alte latitudini (fascia polare e subpolare)

In inverno l’aumento di temperatura previsto alle alte latitudini sarà maggiore dell’aumento medio globale ed interesserà più le terre emerse che la superficie marina. Sui mari polari, in particolare, vi sarà una riduzione dell’estensione del ghiaccio marino; poiché il ghiaccio influenza gli scambi di calore oceanici, il riscaldamento climatico nelle aree artiche ed alle alte latitudini sarà ancora più vistoso. In estate, viceversa, il riscaldamento previsto alle alte latitudini sarà inferiore a quello medio globale a causa della grande capacità termica dell’oceano che distribuisce al suo interno la maggiore parte dell’energia assorbita.

Il riscaldamento estivo delle zone continentali alle medie latitudini dell’emisfero nord, sarà maggiore della media globale, mentre quello invernale sarà quasi uguale a quello medio globale.

Tale effetto è particolarmente evidente alle medie latitudini dell’emisfero nord dove esiste la più alta percentuale di superfici emerse e dove, proprio per l’elevata presenza dei continenti, l’azione raffreddante della evaporazione marina è limitata. Infatti, alle medie latitudini dell’emisfero sud, il riscaldamento climatico non presenterà apprezzabili variazioni stagionali e sarà più vicino al valor medio globale.

• Basse latitudini (fascia subtropicale ed equatoriale)

Il riscaldamento delle zone intertropicali sarà minimo ed inferiore al riscaldamento medio globale. Inoltre, a differenza delle alte latitudini, si distribuirà pressoché uniformemente su tutte le stagioni. l’area intertropicale è occupata in gran parte dal mare e quindi il riscaldamento superficiale si tradurrà principalmente in un aumento dell’evaporazione oceanica più che della temperatura dell’aria.

CICLO DELl’ACQUA NELl’ATMOSFERA E AL SUOLO

Le precipitazioni atmosferiche aumenteranno a livello globale in conseguenza dell’aumento della temperatura. Questo perché sarà maggiore l’evaporazione (e quindi la quantità di vapor d’acqua contenuta nell’atmosfera) e perché il ciclo dell’acqua nel sistema climatico verrà accelerato ed intensificato.

Tuttavia, l’aumento delle precipitazioni non sarà uniformemente distribuito sulla superficie terrestre.

Infatti, si prevede che le precipitazioni aumenteranno apprezzabilmente alle alte latitudini e nella fascia intertropicale, sia nei mesi estivi che in quelli invernali. Alle medie latitudini, invece, l’aumento delle precipitazioni riguarderà solo il semestre più freddo.

l’atmosfera complessivamente più calda e più umida porterà ad una variabilità di situazioni a livello regionale maggiore di quella attuale: in particolare, eventi di siccità e/o di alluvioni si aggraveranno in alcune zone, mentre in altre diventeranno meno gravi.

Inoltre, poiché aumenterà l’intensità delle precipitazioni, le piogge a carattere alluvionale saranno più numerose.

Le conoscenze scientifiche attuali non sono sufficienti per affermare che l’aumento della frequenza di certi fenomeni meteorologici estremi, come alluvioni ed inondazioni (alle medie latitudini), rovesci e tempeste di neve (alle alte latitudini), uragani e cicloni tropicali (alle basse latitudini), aumenteranno di numero o se, invece, avranno solo una diversa distribuzione geografica.

LIVELLO DEL MARE

Il livello medio del mare si innalzerà, come conseguenza dell’espansione termica degli oceani e dello scioglimento dei ghiacciai e delle banchise. Negli scenari più sfavorevoli il livello del mare potrebbe crescere fino a quasi un metro di altezza rispetto all’attuale livello mentre in quelli più favorevoli sarebbe contenuto entro 10-20 centimetri.

Negli scenari intermedi dei cambiamenti climatici, i modelli prevedono che il livello del mare salirà di circa 50 cm da qui al 2100.

Le incertezze scientifiche sono però ancora molte, ed esistono attualmente parecchi problemi, non solo scientifici, ma anche tecnologici, che limitano la nostra capacità di prevedere il clima futuro e di definire i futuri cambiamenti climatici.

Variazioni future inaspettate, consistenti e rapide del sistema climatico (come già altre volte è accaduto nel passato) sono possibili e per la loro stessa natura difficili da prevedere.

GLI EFFETTI DEI CAMBIAMENTI CLIMATICI

La salute umana, i sistemi ecologici terrestri ed acquatici, i sistemi socioeconomici sono tutti sensibili sia all’entità che alla velocità dei cambiamenti climatici.

È probabile che molte regioni subiranno conseguenze negative, anche irreversibili, dai cambiamenti climatici, ma è anche probabile che alcuni degli effetti siano positivi e benefici. Questo dipenderà molto dalla floridezza economica e dall’organizzazione istituzionale delle singole nazioni. Infatti, di norma, sono più vulnerabili i paesi in via di sviluppo, dove le condizioni economiche e gli assetti istituzionali sono meno favorevoli.

Le più rilevanti conseguenze dei cambiamenti climatici riguardano i sistemi naturali ed in particolare gli ecosistemi terrestri ed acquatici ed i sistemi antropici come l’agricoltura, le risorse idriche, l’ambiente marino-costiero, la salute umana.

SUI SISTEMI NATURALI

Gli ecosistemi contengono tutto il patrimonio terrestre di biodiversità genetica e delle specie e costituiscono la fonte primaria della vita sulla terra e della sua evoluzione. Nei processi ambientali, gli ecosistemi giocano un ruolo fondamentale nel ciclo del carbonio, riciclano i rifiuti, depurano le acque, controllano le inondazioni, i fenomeni di degrado del suolo e i processi di erosione delle coste.

La composizione e la distribuzione geografica di molti ecosistemi (foreste, praterie, deserti, sistemi montani, laghi, zone umide, oceani, ecc.) tenderanno a trasformarsi a seconda di come le singole specie risponderanno ai cambiamenti climatici.

Nella fase di trasformazione e di adattamento, probabilmente si perderà molta della diversità biologica attualmente esistente. Alcuni ecosistemi potrebbero non raggiungere un nuovo equilibrio, se non parecchie centinaia di anni dopo lo stabilizzarsi del nuovo assetto climatico.

Ecosistemi forestali:

si ritiene probabile che una notevole frazione dell’attuale superficie forestale della Terra (un terzo come valore medio globale) subirebbe consistenti variazioni delle principali tipologie di vegetazione. Queste variazioni saranno più pronunciate alle alte latitudini e più blande nella fascia intertropicale. I sistemi forestali potranno subire cambiamenti nella composizione delle specie, e cioè potrebbero scomparire interi tipi di foresta ed insediarsi nuove associazioni di specie vegetali, e dunque nuovi ecosistemi.

Ecosistemi montani e di alta quota:

la vegetazione collinare e montana tenderebbe a spostarsi verso quote più elevate; alcune specie che non hanno possibilità di spostarsi più in alto, perché già in vetta alle montagne, potrebbero estinguersi a causa della scomparsa del loro habitat.

Ecosistemi desertici della fascia subtropicale:

tenderanno ad essere probabilmente più estremi; gli aumenti di temperatura potrebbero rappresentare una minaccia per organismi che vivono quasi al limite della tolleranza al calore. Si innescherebbero, invece, processi di desertificazione nelle zone temperate del pianeta dove attualmente sussistono condizioni di siccità ed il suolo è già in fase di degrado.

Ecosistemi acquatici lacustri e fluviali:

il riscaldamento del clima produrrebbe effetti sia alle alte latitudini, dove aumenterebbe la produttività biologica, sia alle basse latitudini, al confine degli ambienti di vita delle specie di acqua fredda, dove, invece, aumenterebbe l’estinzione delle specie.

Ecosistemi marini:

a causa della variazione del livello del mare, sono questi i sistemi che subirebbero maggiori conseguenze, soprattutto in termini di perdita della biodiversità. I rischi maggiori saranno corsi da quelli marino-costieri come le paludi salmastre, dagli ecosistemi a mangrovie, dalle zone umide costiere, delle spiagge sabbiose, dalle scogliere coralline, gli atolli, ed i delta fluviali.

SULl’AGRICOLTURA

I cambiamenti climatici indurranno, con ogni probabilità, variazioni consistenti nelle rese agricole e nella produttività, modificando pertanto l’attuale quadro mondiale di produzione alimentare.

La produttività agricola dovrebbe aumentare in alcune aree, soprattutto alle alte latitudini, dove le condizioni climatiche sono attualmente sfavorevoli, e diminuire in altre, specialmente alle basse latitudini della fascia tropicale e subtropicale.

Tenuto conto della distribuzione mondiale dei Paesi ricchi e dei Paesi poveri, i cambiamenti climatici favorirebbero i primi per quello che riguarda la produzione agricola e agroalimentare.

Gli studi finora condotti mostrano che, in totale, la produzione agricola mondiale potrebbe rimanere la stessa di quella attuale, nonostante i cambiamenti climatici previsti. A questa conclusione si è giunti però senza tener conto degli effetti derivanti eventuali da variazioni delle infestazioni di parassiti o di altre conseguenze negative sull’agricoltura collegate con i cambiamenti climatici, effetti estremamente difficili da valutare.

SULLA SALUTE UMANA

Anche se prevedere le conseguenze sanitarie dei cambiamenti climatici è molto difficile, perché l’eventuale incremento delle affezioni indotte dal riscaldamento terrestre dipende da numerosi fattori, che coesistono ed interagiscono tra loro, molti studiosi concordano che i cambiamenti climatici potrebbero produrre effetti indiretti sulla salute umana.

In particolare è prevedibile un aumento della diffusione di malattie infettive trasmesse direttamente da microrganismi, insetti o altri ospiti intermedi (malaria, tenia, febbre gialla, alcuni encefaliti virali, ecc.), a causa di una maggiore distribuzione geografica e di migliori condizioni di sopravvivenza per questi organismi.

Secondo alcune valutazioni, la malaria si diffonderebbe anche nelle zone temperate delle medie latitudini con una incidenza maggiore del 10-15% per anno (circa 50-80 milioni di casi in più ogni anno).

Temperature elevate ed una maggiore frequenza di precipitazioni alluvionali potrebbero favorire anche la maggior diffusione di malattie infettive trasmesse per contagio come la salmonellosi, il colera ed altre.

IN ITALIA

SULLA RISORSA ACQUA

Secondo le previsioni, una quantità compresa fra un terzo e la metà dell’attuale massa glaciale potrebbe scomparire nei prossimi cento anni. La riduzione dell’estensione dei ghiacciai e dello spessore della copertura nevosa influirebbe anche sulla distribuzione stagionale dei flussi idrici e quindi sulla disponibilità di acqua per gli usi civili, industriali, per la produzione idroelettrica e per l’agricoltura.

Poiché i cambiamenti climatici produrranno una accelerazione ed una intensificazione del ciclo globale dell’acqua, le conseguenze sulle risorse idriche regionali potrebbero essere assai rilevanti.

Variazioni della quantità totale, frequenza ed intensità delle precipitazioni influiranno direttamente sull’entità e sui tempi di deflusso delle acque pluviali, nonché sui fenomeni di siccità e sulle alluvioni. Paradossalmente ci sarebbe maggior quantità d’acqua nelle zone dove attualmente le risorse idriche sono già abbondanti e minor quantità d’acqua dove attualmente la carenza di risorse idriche è già un grave problema.

SULLE ZONE COSTIERE

Poiché il livello medio del mare tenderà a crescere in conseguenza dei cambiamenti climatici, alcune popolazioni costiere potrebbero subire impatti particolarmente significativi a seguito delle inondazioni e delle perdite di territorio dovute all’erosione. Secondo le valutazioni esistenti, attualmente circa 46 milioni di persone corrono ogni anno il rischio di inondazioni.

Se non saranno avviate idonee azioni per adattarsi ai cambiamenti, già nella situazione demografica attuale, l’innalzamento medio previsto di 50 cm del livello del mare metterebbe a rischio circa 100 milioni di persone. Il rischio è particolarmente elevato per le piccole isole e per i delta fluviali e le perdite di territorio stimate oscillerebbero da 0,05% per l’Uruguay, 1% per l’Egitto e 6% per l’Olanda, fino al 17,5% per il Bangladesh e addirittura fino all’80% circa per l’atollo Majuro nelle Isole Marshall.

AREE E POPOLAZIONI COSTIERE A RISCHIO NEL 2080 PER l’INNALZAMENTO DEL LIVELLO DEL MARE

Il Ministero dell’Ambiente in collaborazione con la Columbia University di New York e il Goddard Space Institute della Nasa ha elaborato gli scenari dei futuri impatti dei cambiamenti climatici nell’area mediterranea: l’innalzamento del livello del mare è uno degli effetti più critici e sensibili per l’Italia. Le stime più affidabili prevedono un aumento del livello del mare tra i 25/30 cm entro il 2050.

A questo aumento del livello del mare è legato il rischio di inondazione per almeno 4.500 km2 di aree costiere e pianure. Venezia, in particolare, è considerata una delle aree urbane più esposte a tale rischio.

Questo fenomeno dovrebbe produrre effetti differenziati in quanto il territorio italiano è, dal punto di vista geologico, “giovane” e quindi ancora in movimento. Il Sud Italia, infatti, ha tendenza a sollevarsi, e quindi gli eventuali effetti dell’innalzamento del livello del mare sarebbero mitigati. Per quello che riguarda il Nord Italia, invece, vi è una tendenza opposta e quindi si avrebbero maggiori rischi di inondazione, in particolare per la Pianura Padano-Veneta, la Versilia e la pianura di Fondi e Pontina.

LA PRODUZIONE DI RIFIUTI

La produzione di crescenti quantità di rifiuti è uno dei segni distintivi della società contemporanea.

Alla crescita dello sviluppo produttivo, e quindi dei consumi, è associata una crescita dei rifiuti prodotti. Oltre ad aumentare in termini quantitativi, i rifiuti sono cambiati anche in qualità e, con essa, ne è aumentata anche la pericolosità per l’ambiente.

Nei paesi industrializzati tale produzione è pressoché triplicata negli ultimi 20 anni.

Ogni europeo produce quasi 1,5 kg di rifiuti al giorno, un americano tre volte di più, un abitante dei paesi in via di sviluppo cinque volte di meno.

Una non corretta gestione dei rifiuti determina gravi fenomeni di inquinamento e di compromissione delle risorse (aria, acqua e suolo), rendendole non più fruibili da parte dell’uomo se non a prezzo di interventi di ripristino molto costosi.

Una corretta gestione dei rifiuti, oltre a contribuire a ridurre le emissioni di gas serra, in particolare di metano, può contribuire a recuperare energia, sia attraverso il riuso dei materiali che attraverso un loro utilizzo come combustibile.

Esse comprendono l’energia solare che investe la terra e quelle che da essa derivano: l’energia idraulica, del vento, delle biomasse, delle onde e delle correnti. Sono inoltre considerate come tali l’energia geotermica, presente in modo concentrato in alcuni sistemi profondi nella crosta terrestre e l’energia dissipata sulle coste dalle maree, dovute all’influenza della luna.

Infine, anche i rifiuti, in parte per la loro composizione, in parte perché la loro produzione inevitabilmente accompagna la vita e le attività dell’uomo, vengono considerati fonte di energia rinnovabile.

Opportune tecnologie consentono di convertire la fonte rinnovabile di energia in energia secondaria utile, che può essere termica, elettrica, meccanica e chimica.

l’impatto sull’ambiente varia significativamente a seconda della fonte e della tecnologia, ma in ogni caso è nettamente inferiore a quello delle fonti fossili. In particolare, le emissioni di gas serra sono molto contenute e limitate solo ad alcune fonti.

Nel futuro sarà necessario, oltre che auspicabile, aumentare la produzione di energia da fonti rinnovabili sia per far fronte ai problemi del degrado dell’ambiente che per fronteggiare l’esauribilità delle fonti fossili.

In Italia, nel 2001, le fonti rinnovabili hanno coperto circa il 10,5% del fabbisogno energetico nazionale, pari a 17,6Mtep. Si intende raddoppiare il contributo delle rinnovabili al 2010, portandolo a 24 Mtep.

I gas inquinanti che una volta immessi nell’atmosfera danneggiano l’ambiente, vengono prodotti soprattutto dagli autoveicoli, dagli impianti di riscaldamento, dalle centrali termoelettriche, dagli inceneritori e dalle industrie.

Queste attività sono tipicamente concentrate nelle città e in alcune zone industriali, dove di conseguenza si generano aree fortemente inquinate.

Oltre a provocare questa forma di “inquinamento locale”, elevate quantità di gas inquinanti emesse nell’atmosfera, possono far sentire i loro effetti negativi anche a distanza di centinaia e migliaia di chilometri dal punto di emissione. Si ha, in questo caso, il cosiddetto “inquinamento regionale o transfrontaliero” che si manifesta con fenomeni quali le piogge acide e lo smog fotochimico.

Si hanno effetti anche su “scala globale”, con fenomeni quali lo assottigliamento dello strato di ozono stratosferico, l’aumento dell’effetto serra e i possibili cambiamenti climatici.

Lo smog fotochimico

l’INQUINAMENTO ATMOSFERICO

Negli impianti che utilizzano combustibili fossili non si genera solo energia, ma vengono liberati nell’aria anche vapor acqueo e anidride carbonica. Inoltre, dato che il combustibile non brucia mai completamente, oltre all’anidride carbonica vengono emessi gas che sono inquinanti, quali l’ossido di carbonio, il metano e altri idrocarburi, oltre che ossidi di azoto e di zolfo. Una elevata concentrazione di questi gas nell’atmosfera causa la formazione dello smog fotochimico, delle piogge acide ed è responsabile dell’aumento del naturale effetto serra del pianeta.

Ulteriori sostanze nocive, sono emesse dai motori delle automobili. Tra queste i composti organici volatili COV, le particelle sospese, solide e liquide, che possono trasportare anche piombo, e gli idrocarburi aromatici quali il benzene. Questi inquinanti soprattutto nelle città sono responsabili di gravi fenomeni di inquinamento localizzato e possono provocare danni alla salute dell’uomo.

Altre forme di inquinamento atmosferico sono provocate da vari processi industriali oppure dall’uso di particolari sostanze, per esempio i clorofluorocarburi (CFC), presenti ancora nei circuiti di vecchi frigoriferi e di vecchi impianti di condizionamento. Queste sostanze, una volta liberate nell’atmosfera, raggiungono lo strato di ozono stratosferico e, attraverso reazioni chimiche distruggono le molecole di ozono che schermano la Terra dai raggi ultravioletti nocivi emessi dal Sole.

Le piogge acide

l’impiego di combustibili fossili provoca l’emissione di diversi gas che, pur non essendo gas ad effetto serra, hanno effetti negativi sull’ambiente. Infatti, sottoprodotti tipici delle centrali termoelettriche, di alcune attività industriali, degli scarichi dei motori delle automobili e degli impianti di riscaldamento domestico, sono l’anidride solforosa e gli ossidi di azoto. Questi gas una volta raggiunta l’atmosfera reagiscono con l’umidità dell’aria dando origine a composti acidi che vengono portati a terra dalla pioggia. Queste “piogge acide”, oltre ad avere effetti negativi sulla salute dell’uomo, danneggiano la vegetazione, gli edifici, i monumenti e avvelenano le acque dei laghi e dei fiumi con gravi conseguenze anche sulla fauna.

Per smog fotochimico si intende la presenza nell’aria di alte concentrazioni di ozono e altre sostanze inquinanti. La formazione dello smog fotochimico è dovuta a reazioni chimiche che avvengono per azione delle radiazioni solari (da cui il termine fotochimico) sulle molecole degli ossidi di azoto e carbonio, e sui composti organici volatili.

Gli inquinanti fotochimici e l’ozono in particolare producono danni alla vegetazione, sono all’origine del deterioramento dei monumenti, di libri e documenti cartacei, e sono nocivi alla salute umana.

I danni alla salute dell’uomo l’effetto serra

La Terra è circondata da un involucro gassoso, l’atmosfera, costituita da una miscela di gas (azoto 76%, ossigeno 22%, argon 1,3%, anidride carbonica 0,03% e vapor acqueo in quantità variabili ma inferiori allo 0,3%). Grazie alla presenza di questi gas è stato possibile l’origine e lo sviluppo delle forme viventi sul pianeta.

l’effetto serra è quel fenomeno che garantisce che sulla superficie della Terra la temperatura mantenga i valori ottimali per l’evoluzione della vita.

La terra assorbe i raggi del Sole e li riemette verso l’alto sottoforma di energia termica.

Una parte di questa energia termica è assorbita dalle molecole di vapore acqueo e anidride carbonica, che intrappolano in questo modo, come i vetri di una serra, il calore proveniente dal sole. Questi gas, detti appunto gas serra, garantiscono un equilibrio termico tale da consentire la vita sulla Terra. Senza l’effetto serra la Terra sarebbe molto più fredda (avrebbe una temperatura media di circa 30 gradi centigradi inferiore a quella attuale che è di 15°C). l’anidride carbonica, oltre ad intervenire in numerosi processi biologici quali la fotosintesi clorofilliana, attraverso la quale viene utilizzata dalle piante verdi come “alimento”, contribuisce a regolare il naturale effetto serra del pianeta. La quantità di anidride carbonica ottimale è garantita dalla presenza di piante verdi, in particolare dalle grandi foreste, e attraverso l’assorbimento da parte degli oceani.

Un aumento di anidride carbonica nell’atmosfera, causato soprattutto dagli impianti di produzione di energia e dalla deforestazione incontrollata, provoca un graduale aumento dell’effetto serra con conseguente riscaldamento del pianeta e possibili mutamenti del clima, con effetti quali la desertificazione, lo scioglimento dei ghiacciai e l’aumento del livello del mare.

Oltre all’anidride carbonica esistono altri gas serra quali il metano (CH2O), i clorofluorocarburi (CFC) e gli halons che non sono direttamente imputabili alla produzione di energia ma ad alcune produzioni industriali, agli allevamenti, alle coltivazioni, alle discariche ecc..

Dall’epoca della rivoluzione industriale in poi, il contenuto di anidride carbonica nell’atmosfera è del 30% più elevato, il metano del 145%.

l’EFFETTO SERRA

l’inquinamento atmosferico provoca danni alla salute dell’uomo e delle altre specie viventi. Gli ossidi di zolfo e azoto inalati in quantità elevate possono provocare danni all’apparato respiratorio.

l’ossido di carbonio una volta inalato raggiunge gli alveoli polmonari e passa così nel sangue riducendone la capacità di portare ossigeno ai tessuti. Questo può provocare danni sul sistema nervoso, cardiovascolare e muscolare.

Il piombo, una volta assorbito per inalazione, entra nel circolo sanguigno e si distribuisce in quantità decrescenti nelle ossa, nel fegato, nei reni, nei muscoli, e nel cervello. Questo può causare principalmente anemie e danni al sistema nervoso.

Tra i composti organici volatili i più tossici sono quelli aromatici tra cui il benzene che può procurare danni al sistema nervoso e di cui è stato accertato il potere cancerogeno sull’uomo.

l’ozono

l’ozono è un gas normalmente presente nell’atmosfera, sia in prossimità del suolo (troposfera) che negli strati più alti tra i 15 e i 60 chilometri di quota (stratosfera).

Nella troposfera l’ozono si forma per effetto delle radiazioni solari sulle molecole di ossigeno.

Nella stratosfera, invece, l’ozono si forma continuamente, per effetto delle radiazioni ultraviolette solari sulle molecole di ossigeno. Qui va a costituire un vasto strato gassoso che, agendo da schermo, assorbe le radiazioni ultraviolette nocive provenienti dal sole.

Le attività umane possono alterare questi equilibri. Infatti, attraverso complesse reazioni fotochimiche in cui intervengono gli ossidi di azoto e gli idrocarburi provenienti dagli scarichi delle automobili, si produce un aumento della concentrazione dell’ozono troposferico. l’ozono dunque non viene emesso come tale dalle attività umane, ma è un inquinante secondario le cui concentrazioni tendono ad aumentare durante i periodi caldi e soleggiati dell’anno.

Un eccesso di ozono al suolo danneggia la vegetazione, ma anche manufatti quali tessuti e gomme, e contribuisce alla formazione delle piogge acide e delle foschie calde che determinano la formazione di cappe di smog sulle grandi città.

Mentre l’ozono stratosferico viene danneggiato dagli ossidi di azoto e da alcuni composti del cloro (CFC), contenuti nelle bombolette spray e nei vecchi modelli di frigorifero.

Questi gas, una volta raggiunta la stratosfera, distruggono le molecole di ozono provocando un preoccupante assottigliamento dello strato protettivo, soprattutto in corrispondenza dei poli terrestri. È il fenomeno comunemente chiamato “buco nell’ozono”.

l’assottigliamento dello strato di ozono fa sì che aumenti l’intensità al suolo delle radiazioni ultraviolette emesse dal sole che possono essere nocive per la salute umana. Questo fenomeno crea allarmi soprattutto nel periodo estivo e durante le ore centrali della giornata, quando più ci si espone ai raggi solari e più intensa è la radiazione emessa.

LE ATTIVITÀ UMANE POSSONO CAMBIARE IL CLIMA DEL PIANETA

La conseguenza ambientale più preoccupante dell’aumento dell’effetto serra è la possibilità che si verifichino cambiamenti globali di clima. È infatti accertato che a partire dalla rivoluzione industriale, intorno al 1800, si è verificato un aumento del naturale effetto serra del pianeta. Questa alterazione sembra influire sull’equilibrio climatico della Terra. La preoccupazione maggiore non riguarda tanto il fatto che il clima possa cambiare a causa delle attività umane, quanto invece i tempi entro i cui i temuti cambiamenti climatici possono avvenire: tempi troppo ristretti perché gli ecosistemi viventi e l’ambiente possano naturalmente adattarsi a tali cambiamenti.

Per valutare le informazioni scientifiche disponibili sui cambiamenti climatici, nel 1988 fu istituita una Commissione Scientifica Intergovernativa sui Cambiamenti Climatici, IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change), costituita da alcune centinaia di scienziati.

COSA SI PREVEDE PER LA TERRA?

Pur segnalando un largo margine di incertezza l’IPCC ha comunque ipotizzato che, senza specifiche politiche e misure per mitigare i cambiamenti climatici, la temperatura media della Terra aumenterà di circa 3 gradi entro il 2100. Questo aumento non sarà uniforme, sarà più alto ai poli e meno marcato nelle zone equatoriali e potrà modificare il regime delle piogge.

Questo significherebbe per alcune regioni la riduzione delle risorse idriche e l’aumento della siccità, con conseguente rischio di desertificazione, mentre per altre significherebbe il fenomeno opposto, crescita delle piogge, degli uragani e delle inondazioni.

È previsto anche un innalzamento del livello del mare valutato tra i 50 e i 100 centimetri entro il 2100, con l’allagamento e l’erosione di vaste aree costiere oggi intensamente popolate.

l’aumento delle temperature avrà anche effetti sulla salute, il più preoccupante è il rischio di diffusione, anche nelle zone temperate, di malattie infettive tipiche delle zone tropicali.

E IN ITALIA?

I cambiamenti climatici comportano anche per l’Italia conseguenze negative.

Potrebbe, infatti, verificarsi una aridificazione delle regioni centromeridionali, l’infiltrazione salina di alcune falde con conseguente modificazione della produttività agricola. È previsto un aumento delle precipitazioni soprattutto nelle regioni centrosettentrionali, con crescite delle portate dei fiumi e la possibilità di eventi alluvionali. l’aumento della frequenza delle inondazioni e dell’erosione delle coste avrà conseguenze soprattutto per il Delta del Po e per la laguna di Venezia, che potrebbe essere soggetta molto più spesso al fenomeno dell’acqua alta.

Nell’ultimo secolo, il Mediterraneo si è innalzato di circa 15 centimetri, mentre a Venezia il livello dell’acqua si è alzato di oltre 23 centimetri, anche a causa del lento abbassarsi della città. l’innalzamento del livello del mare, tra i 25-30 centimetri entro il 2050, è destinato a produrre effetti soprattutto sulla fascia costiera: oltre alla riduzione delle spiagge, si prevede la riduzione dei terreni agricoli e la perdita di zone umide di acqua dolce che hanno notevole importanza per la pesca.

UNO SGUARDO AL FUTURO VERSO LO SVILUPPO SOSTENIBILE

Negli anni ’70 con “I limiti dello sviluppo” del Club di Roma si iniziò a parlare del conflitto tendenziale tra crescita economica e demografica e ambiente. Negli stessi anni aumenta la consapevolezza della dimensione planetaria della questione ambientale che ha portato allo sviluppo delle iniziative per la difesa dell’ambiente globale e locale, e alla nascita delle associazioni ambientaliste e delle NGO (Non Governmental Organizations). Per molto tempo la contrapposizione tra ambiente e sviluppo è sembrata non avere possibili soluzioni. Ma negli anni ’80 cominciò a farsi strada un’idea, quella dello “sviluppo sostenibile”, che individua una sintesi possibile del conflitto ambientale.

Nel 1987 il concetto di “sviluppo sostenibile” trovò una adeguata espressione e diffusione con il “rapporto Brundtland”, della Commissione Mondiale per l’Ambiente e lo Sviluppo, che lo definì come lo sviluppo “capace di soddisfare i bisogni del presente senza compromettere la capacità delle future generazioni di soddisfare i loro propri bisogni”.

Questa non è l’unica definizione accreditata, ma è stato il punto di partenza di un intenso percorso che ha portato a un fiorire di studi, promossi soprattutto dalle associazioni ambientaliste e dagli ambienti della ricerca, volti a dimostrare che gli attuali problemi ambientali sono la conseguenza di un uso eccessivo e inappropriato delle risorse naturali. Vi è stata anche una presa di coscienza a livello politico che si è tradotta in una serie di accordi presi a livello internazionale.

COSA SI FA A LIVELLO MONDIALE E NAZIONALE LA CONVENZIONE QUADRO, IL PROTOCOLLO DI KYOTO, LA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Nel giugno 1992 a Rio de Janeiro, nel corso della Conferenza Mondiale sull’Ambiente e lo Sviluppo, i paesi aderenti alle Nazioni Unite hanno sottoscritto diversi documenti relativi ad impegni finalizzati allo “Sviluppo Sostenibile” e tra questi la “Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici”. Firmando questa convenzione gli stati si sono impegnati ad adottare programmi e misure finalizzate alla prevenzione, controllo e mitigazione degli effetti delle attività umane sul pianeta.

In particolare, l’obiettivo della Convenzione è quello di (art. 2) “stabilizzare le concentrazioni nell’atmosfera dei gas ad effetto serra ad un livello tale da impedire pericolose interferenze di origine umana con il sistema climatico”.

Nella Convenzione Quadro è stato istituito un organo definito “Conferenza delle Parti (COP)”, al quale viene demandato il compito fondamentale di dare attuazione agli impegni generali contenuti nella Convenzione stessa.

Nel dicembre 1997, a Kyoto, è stato concordato un Protocollo attuativo della Convenzione che impegna i Paesi industrializzati e quelli in economia di transizione (i Paesi dell’est europeo), responsabili di oltre il 70% delle emissioni mondiali di gas serra, a ridurre complessivamente, del 5,2% rispetto ai livelli del 1990, le emissioni entro il 2012.

La riduzione complessiva 5,2% viene ripartita in maniera diversa: per i Paesi dell’Unione Europea nel loro insieme, la riduzione deve essere dell’8%, per gli Stati Uniti dell’7% e per il Giappone del 6%. Nessuna riduzione, ma la stabilizzazione è prevista per la Russia, la Nuova Zelanda e l’Ucraina.

Il Protocollo consente invece di aumentare le loro emissioni fino all’1% alla Norvegia, all’Austria fino all’8% e all’Islanda fino al 10%.

Non sono previste limitazioni alle emissioni di gas ad effetto serra per i Paesi in via di sviluppo, perché tale limite rallenterebbe o comunque condizionerebbe il loro sviluppo. Le limitazioni alle emissioni, infatti, si ripercuoterebbero sulla produzione e sui consumi di energia, sull’agricoltura, sull’industria comportando costi aggiuntivi che i Paesi in via di sviluppo non sono in grado di sostenere.

Il Protocollo indica inoltre le politiche e le misure che dovranno essere adottate per la riduzione delle emissioni:

• Promozione dell’efficienza energetica;

• Sviluppo delle fonti rinnovabili di energia e delle tecnologie innovative per la riduzione dell’anidride carbonica;

• Protezione ed estensione delle foreste per incrementare la capacità del pianeta di assorbire le emissioni;

• Promozione dell’agricoltura sostenibile; • Limitazione e riduzione della produzione di metano nelle discariche di rifiuti e in altri settori energetici;

• Misure fiscali appropriate per disincentivare le emissioni di gas serra.

ZONE COSTIERE ITALIANE CON AREE DEPRESSE

Altri effetti del cambiamento climatico per l’Italia riguardano l’aumento di temperatura e quindi il rischio di desertificazione per alcune zone del paese, e la diminuzione, già in atto, dell’estensione dei ghiacciai nazionali.

Il Protocollo di Kyoto prevede che le misure nazionali siano integrate da strumenti di cooperazione tra paesi in modo da ottenere il massimo risultato di riduzione con il minimo costo.

Gli strumenti di cooperazione tra paesi vengono chiamati “meccanismi flessibili”:

• Joint implementation, per la realizzazione, tra paesi industrializzati, di programmi comuni in qualsiasi settore dell’economia, finalizzati alla riduzione delle emissioni mediante la diffusione e l’impiego di tecnologie più efficienti, con accreditamento ad entrambe le parti dei risultati ottenuti;

• Clean Development Mechanism, per la realizzazione di programmi finalizzati a progetti di sviluppo sostenibile nei paesi in via di sviluppo, che prevedano anche industrializzazione ad alta efficienza tecnologica e energetica, attuati dai paesi industrializzati in cambio di quote certificate di riduzione delle emissioni;

• Emission Trading, che permette ad ogni Paese, nell’esecuzione dei propri obblighi, di trasferire i propri diritti di emissione o acquisire i diritti di emissione di un altro Paese.

Non tutti questi meccanismi sono ancora operativi e le prossime “Conferenze delle Parti” dovranno definire le linee-guida, i regolamenti, le modalità di accesso e di utilizzazione necessari ad un corretto utilizzo di tali strumenti. Il protocollo di Kyoto, nonostante siano trascorsi diversi anni dalla sua stesura, non è ancora stato ratificato da tutti gli stati che lo proposero, ma ha già prodotto rilevanti conseguenze economiche ed organizzative in particolare nel settore energetico.

LE MISURE NAZIONALI DI RIDUZIONE DELLE EMISSIONI DI GAS SERRA

Con la delibera del CIPE (Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica) del 19/11/1998 l’Italia ha adottato le “Linee Guida per le politiche e le misure nazionali di riduzione delle emissioni dei gas serra” che individuano gli obiettivi e le misure settoriali per la riduzione entro il 2008-2012 e rispetto ai livelli del 1990, del 6% delle emissioni.

Le “Linee Guida” prevedono la realizzazione di sei azioni nazionali:

AZIONE 1: aumento dell’efficienza nelle centrali termoelettriche;

AZIONE 2: riduzione dei consumi energetici nel settore dei trasporti;

AZIONE 3: produzione di energia da fonti rinnovabili;

AZIONE 4: riduzione dei consumi energetici nei settori abitativo/terziario ed industriale;

AZIONE 5: riduzione delle emissioni nei settori non energetici;

AZIONE 6: assorbimento delle emissioni di carbonio da parte delle foreste.

Sono inoltre previsti programmi di riduzione delle emissioni da promuovere nell’ambito dei meccanismi di “Joint Implementation” e “Clean Development Mechanism”, che dovranno coprire circa il 25-30% dell’impegno di riduzione nazionale previsto nel Protocollo di Kyoto.

Infine è stato approvato il Programma Nazionale di Ricerca sul clima con la finalità di coordinare e sviluppare le iniziative di ricerca in collegamento con gli organismi di ricerca internazionali.

LA RICERCA E LE NUOVE TECNOLOGIE

La protezione dell’ambiente globale richiede l’adozione di nuove tecnologie in grado di ridurre le emissioni di gas serra, in particolare nella produzione di energia.

È questo, infatti, il settore dal quale dipende oltre il 90% delle emissioni di CO2. l’obiettivo è quello di ridurre il consumo di combustibili fossili o, in alternativa, utilizzare fonti di energia pulite ovvero “emission free”.

Purtroppo anche in Italia, come nella maggior parte degli altri Paesi industrializzati, si è assistito ad una riduzione degli stanziamenti per la ricerca energetica sia nel settore pubblico sia in quello privato.

In Italia le spese per la ricerca rappresentano l’1% del PIL, percentuale tra le più basse dei Paese industrializzati: ogni cittadino italiano spende 200 dollari all’anno per le attività di ricerca contro i 500 dollari di un tedesco e i 700 dollari di un americano. Ciò nonostante, grandi passi avanti sono stati fatti e si può ragionevolmente contare che, in futuro, una significativa quota di combustibili fossili potrà essere sostituita con lo sfruttamento delle energie rinnovabili e con l’idrogeno.

COSA SI PUÒ FARE?

Ma quali sono le azioni che individualmente e collettivamente dobbiamo intraprendere per arrivare, se non ad una riduzione delle emissioni di CO2, almeno ad una stabilizzazione della concentrazione di questo gas in atmosfera?

IN CASA

Le famiglie italiane sono responsabili annualmente, di più del 30% dei consumi energetici totali.

Le famiglie producono quindi circa il 27% delle emissioni nazionali di gas serra, di queste il 18% per usi negli edifici e il 9% per usi di trasporto.

È quindi modificando il proprio stile di vita e utilizzando in modo corretto e sostenibile le risorse energetiche e ambientali, senza sacrifici e senza rinunciare ai confort, che si può contribuire al raggiungimento degli impegni nazionali per la riduzione delle emissioni di gas serra.

Il riscaldamento è dopo il traffico la maggior causa di inquinamento delle città italiane. Ogni famiglia italiana spende ogni anno quasi un milione e mezzo per riscaldarsi. Per contenere i consumi di energia negli impianti molte sono le indicazioni da seguire, e tra queste:

• Mantenere la temperatura del termostato durante il giorno a 20°C e durante la notte a 16°C;

• Isolare le tubazioni che dalla caldaia portano ai radiatori;

• Far pulire la canna fumaria ogni 4/5 anni;

• Far effettuare la manutenzione della caldaia una volta all’anno e periodicamente far effettuare il controllo e l’analisi dei fumi di scarico;

• Installare valvole termostatiche per regolare la temperatura dei singoli radiatori.

Il consumo degli elettrodomestici in Italia assorbe, insieme con l’illuminazione, il 23% dei consumi elettrici nazionali.

Per contenere i consumi di energia per l’illuminazione:

• Illuminare correttamente un ambiente e quindi non aumentare la potenza delle lampadine ma scegliere il tipo di lampada giusta e la posizione più opportuna;

• Utilizzare, dove possibile, le lampade a basso consumo energetico; le lampade che si trovano in commercio sono essenzialmente di due tipi: a incandescenza e a scarica elettrica in gas.

Le prime, le comuni lampadine, sia normali che alogene, sono molto economiche al momento dell’acquisto, ma più costose per quello che riguarda i consumi. Le lampade a scarica elettrica in gas, dette lampade ad alta efficienza, hanno prezzi iniziali elevati ma consentono di ridurre fortemente i consumi di energia elettrica di circa il 70% rispetto alle lampade ad incandescenza.

Gli elettrodomestici ormai sono presenti nelle case degli italiani in grande quantità: frigoriferi, televisori, videoregistratori, radio, ecc. sono strumenti dei quali non siamo più in grado di fare a meno.

È però possibile utilizzarli in modo più efficiente in modo da ridurre i consumi di energia e quindi anche l’emissione di gas serra.

• Preferire i modelli di più recente produzione, controllando, dove già presente, “l’etichetta energetica”: l’adesivo colorato che si trova su alcuni elettrodomestici e che permette di conoscere le caratteristiche e i consumi di ciascun modello e di valutarne i costi di esercizio.

Sull’etichetta sono riportate le classi di efficienza energetica e si evidenzia a quale classe appartiene l’elettrodomestico in esame. Sono infatti presenti una serie di frecce di diverso colore e di lunghezza crescente, ad ogni freccia è associata una lettera dell’alfabeto dalla A alla G. La lunghezza delle frecce è legata ai consumi: a parità di prestazioni, gli apparecchi con consumi più bassi hanno la freccia più corta, quelli con consumi più alti hanno la freccia più lunga.

NEI TRASPORTI

l’attuale sistema di mobilità, basato sulla gomma e sul trasporto individuale di persone e merci, è responsabile di circa il 23% delle emissioni nazionali di gas serra.

Per ridurre i consumi energetici e l’impatto inquinante del settore trasporti si può intervenire in diversi modi:

• Aumentando l’efficienza dei veicoli;

• Sviluppando i trasporti intermodali in cui i vari sistemi di trasporto si integrano l’uno con l’altro in modo fluido per fornire servizi porta a porta;

• Incentivando il trasporto pubblico, rendendo la rete dei trasporti pubblici competitiva rispetto all’utilizzo del mezzo privato;

• Promuovendo l’uso multiplo delle auto con il pagamento di una quota proporzionale al tempo d’uso e ai chilometri percorsi (taxi collettivi, car sharing, car pooling).

l’INDUSTRIA

Dai processi industriali deriva il 19% delle emissioni di CO2. l’industria nel suo complesso ha già ridotto in maniera significativa le emissioni, sia di origine energetica che di processo.

tuttavia c’è ancora molto spazio per una riduzione dei consumi di energia:

• Modificare o sostituire gli impianti più energivori, ad esempio con la cogenerazione e con il recupero di calore;

• Riciclare i rifiuti;

• Ottimizzare i processi mediante un maggior ricorso al monitoraggio, al controllo, alla lavorazione in linea e a una maggiore diffusione di tecnologie avanzate, come le pompe di calore, i motori ad alto rendimento.

COSA PROPONGONO LE ASSOCIAZIONI AMBIENTALISTE

Negli ultimi anni diverse sono state le ricerche e gli studi intorno alla tesi che l’umanità sta usando le risorse del pianeta al di sopra delle sue capacità di carico. E attraverso la definizione di concetti quali lo Spazio Ambientale e l’Impronta Ecologica cercano anche di stabilire qual è il livello di consumo di beni che può essere considerato sostenibile per un ecosistema.

La capacità di carico, “Carring Capacity”, è un concetto sviluppato per valutare qual è la massima popolazione che può sopportare un determinato ambiente o ecosistema senza che venga compromesso. Si esprime come numero di individui per unità di superficie.

La Carring capacity dell’ecosistema globale stabilisce i limiti allo sviluppo. Ci dice che se vogliamo vivere in modo sostenibile dobbiamo essere sicuri che il nostro utilizzo di prodotti e processi della natura non sia più rapido del tempo che è loro necessario per rinnovarsi, e che il carico inquinante non deve essere superiore alla capacità di assorbimento e di adattamento del sistema.

Lo Spazio Ambientale è definito come il quantitativo di risorse, energia, acqua, territorio, materie prime non rinnovabili e legname che può essere consumato da ogni persona rispettando l’ambiente e i diritti degli altri esseri umani.

Questa metodologia introduce il “principio di equità”, secondo cui ogni abitante della Terra ha diritto di accesso ad uno stesso quantitativo di spazio ambientale, o quota di risorse. Questo significa che l’uso di risorse fatto dai paesi più industrializzati deve ridursi drasticamente per consentire una crescita equa ai paesi in via di sviluppo senza ulteriormente superare la capacità del pianeta di rigenerarsi e di assorbire l’inquinamento. La teoria dello spazio ambientale viene anche utilizzata per valutare la sostenibilità delle politiche nel campo ambientale ed energetico.

Il concetto di Impronta Ecologica consente di misurare la superficie del territorio necessaria a supportare a lungo termine i consumi di un individuo, di un gruppo o di un determinato sistema socio-economico, come una città, una regione, uno stato o un continente.

I calcoli dimostrano che l’attuale consumo di prodotti agricoli, fibra di legno e combustibili fossili comporta una impronta ecologica che eccede la quantità di terra ecologicamente produttiva di quasi il 30%. In altre parole, avremmo bisogno di un pianeta Terra del 30% più grande (o ecologicamente produttivo) per sopportare gli attuali consumi senza impoverire gli ecosistemi.

Per un italiano medio l’Impronta ecologica è di 3,11 ettari, di cui 2,21 ettari di sistemi ecologici terrestri, e 0,9 ettari di sistemi produttivi marini. I 2,21 ettari sono una superficie produttiva oltre cinque volte quella disponibile entro il territorio nazionale, che ammonta a 0,44 ettari pro capite. Questo è un modo di dire che l’Italia dipende largamente dalle risorse di altri paesi.

Altri studi hanno messo a punto i concetti di Zaino ecologico e di MIPS (Intensità di Materiale per Unità di Servizio) per dare un’idea del quantitativo di risorse impiegato per realizzare una unità di servizio. Per far fronte agli eccessivi consumi di beni ed energia si sta riesaminando il modello di sviluppo dei paesi avanzati in favore di una maggiore Eco-Efficienza, di un maggior uso di tecnologie ambientalmente vantaggiose e di tecnologie pulite. Viene anche promosso lo sviluppo di processi favorevoli alla Dematerializzazione del ciclo produzione-consumo.

In ambienti della Unione Europea si studiano modelli di eco-efficienza con l’obiettivo del Fattore 10 per migliorare l’uso di energia, territorio e risorse per ogni unità di prodotto.

GLI IMPEGNI INTERNAZIONALI

La consapevolezza della necessità di dover affrontare i problemi dell’ambiente unitamente, alla necessità di dover garantire un più equo sviluppo sociale ed economico, si è tradotta in impegno politico anche a livello internazionale.

I percorsi dello sviluppo sostenibile

1979 A Ginevra viene firmata la convenzione sull’inquinamento atmosferico regionale o transfrontaliero, varata per affrontare i problemi legati all’acidificazione, eutrofizzazione e smog fotochimico.

1987 Protocollo di Montreal. Ampliato nel 1996 impegna i paesi firmatari ad eliminare gradualmente l’utilizzo e la produzione delle sostanze che riducono lo strato di ozono stratosferico.

1989 Convenzione di Basilea per controllare internazionalmente i movimenti transfrontalieri ed eliminare i rifiuti pericolosi per la salute umana e l’ambiente.

1991 Inizia la campagna dell’ICLEI (Consiglio Internazionale per le Iniziative Ambientali Locali) “Città per la protezione del clima”, che offre sovvenzioni e assistenza tecnica alle città e ai paesi che aderiscono, per sostenere programmi e politiche che migliorano l’efficienza energetica e che si traducono in riduzioni delle emissioni di gas a effetto serra.

1992 A Rio de Janeiro si è tenuta la Conferenza Mondiale sull’Ambiente e lo Sviluppo. In quell’occasione è stata approvata la “Dichiarazione di Rio sull’Ambiente e lo Sviluppo, l’Agenda 21 e sono state firmate le Convenzioni sui Cambiamenti Climatici, sulla Biodiversità e gettate le premesse per quella contro la Desertificazione.

1993 Entra in vigore la Convezione sulla Diversità Biologica che obbliga i paesi a proteggere le specie animali e vegetali.

1995 Entra in vigore l’Accordo sugli Stock Ittici che regola la pesca in mare.

1996 Entra in vigore la Convenzione per la Lotta alla Desertificazione.

1997 Alla conferenza di Kyoto i paesi firmatari della Convenzione di Rio sui Cambiamenti Climatici definiscono un protocollo che stabilisce tempi ed entità della riduzione delle emissioni di gas serra entro il 2012 e individua esplicitamente le politiche e le azioni operative che si dovranno sviluppare.

1997 Viene istituito un Forum Intergovernativo sulle Foreste.

2001 Convenzione di Stoccolma per l’eliminazione degli inquinanti organici non degradabili.

2001 Gotborg. Il consiglio d’Europa adotta una strategia coesiva per uno sviluppo economicamente, socialmente ed ecologicamente sostenibile.

2002 New York. l’Unione Europea ratifica il Protocollo di Kyoto.

2002 Nairobi. l’Unione Europea ratifica il Protocollo sulla Biosicurezza.

2002 Johannesburg. A 10 da Rio si è tenuto il Summit Mondiale sullo Sviluppo Sostenibile.

Vengono messi in risalto i problemi sociali ed economici mentre scendono in secondo piano quelli ambientali.

La tappa fondamentale è stata il “Vertice della Terra” tenutosi a Rio de Janeiro nel 1992, dove il programma dello sviluppo sostenibile viene assunto, anche a livello governativo, come percorso obbligato per la sopravvivenza del pianeta.

La conferenza di Rio

Nel giugno del 1992 a Rio de Janeiro si è tenuta la Conferenza Mondiale sull’Ambiente e lo Sviluppo a cui hanno partecipato i rappresentanti dei governi dei paesi di tutto il mondo e delle Organizzazioni Non Governative (ONG). A Rio si sono discussi i problemi ambientali del pianeta e i loro legami con i problemi dello sviluppo sociale ed economico.

La Conferenza ha approvato la “Dichiarazione di Rio sull’Ambiente e lo Sviluppo”, con cui gli Stati si sono impegnati a tutelare l’ambiente e a perseguire lo sviluppo sostenibile.

A Rio sono state firmate le Convenzioni sui Cambiamenti Climatici e sulla Biodiversità, e gettate le premesse per quella contro la Desertificazione. Firmando queste Convenzioni gli stati si sono impegnati ad adottare programmi e misure finalizzate alla prevenzione, controllo e mitigazione degli effetti delle attività umane sul pianeta.

Tra i documenti prodotti a Rio, particolare importanza ha l’“Agenda 21”, un ampio e articolato programma di azioni per lo sviluppo sostenibile del pianeta da qui al 21° secolo.

Le Agende 21 locali: il ruolo delle città

Una agenda 21 locale può essere descritta come uno sforzo comune, all’interno di una città, per raggiungere il massimo del consenso tra tutti gli attori sociali, riguardo la definizione e l’attuazione di un Piano di azione ambientale che guardi al 21° secolo.

l’ambiente urbano è un territorio particolarmente critico per quanto riguarda l’inquinamento legato al sistema energetico. Oltre i 2/3 della popolazione umana vive nelle città ed è qui esposta a miscele di agenti fisici e chimici dannosi alla salute.

Inoltre la città consuma spesso in modo inefficiente, grandi quantità di materie prime, energia e acqua che preleva in territori esterni, a volte anche molto lontani. E proprio perché è una consumatrice inefficiente, la città produce emissioni e rifiuti che non è in grado di contenere o riutilizzare, ma che esporta in aree esterne ai suoi confini.

Il ruolo della città è stato l’oggetto della Conferenza Internazionale sugli Insediamenti Urbani, “Habitat II”, organizzata dalle Nazioni Unite a Istanbul nel giugno 1996, a cui hanno partecipato 10.000 delegati dei governi, affiancati da un forum di Organizzazioni Non Governative.

Dalla Conferenza di Istanbul è emerso che le città possono assumere un ruolo chiave nella transizione verso uno sviluppo sostenibile, poiché sono il luogo dove va ripensato in modo realistico e concreto un diverso rapporto fra sviluppo e ambiente.

In particolare è stato sottolineato che bisogna partire dalle esigenze dei cittadini e che bisogna favorire la loro partecipazione nelle scelte di politica ambientale locale, per poter formulare le migliori strategie per riqualificare da un punto di vista ambientale e sociale le aree urbane. In quest’ottica le “Agende 21 locali” diventano l’occasione per lanciare programmi di rinnovo edilizio nei centri e nelle periferie urbane, miranti a risparmiare e riciclare risorse naturali, garantire l’accessibilità con mezzi pubblici non inquinanti, migliorare la convivenza sociale e la qualità della vita di tutti. Vedono così la luce programmi innovativi di gestione dei rifiuti, utilizzo di energie rinnovabili, integrazione tra aree urbane e aree naturali.

La conferenza di Kyoto

I Paesi firmatari della Convenzione di Rio sui Cambiamenti Climatici si sono riuniti più volte. Un appuntamento importante è stata la Conferenza di Kyoto nel dicembre 1997, in cui è stato definito un protocollo, che impegna i paesi firmatari a ridurre complessivamente entro il 2012, del 5,2% rispetto ai livelli del 1990, le principali emissioni di gas capaci di alterare il naturale effetto serra del pianeta. Nessun tipo di limitazione di gas serra viene previsto per i paesi in via di sviluppo, perché tale vincolo rallenterebbe o condizionerebbe la loro crescita. Il protocollo ribadisce, comunque, la necessità di trasferire tecnologie e di costruire capacità anche in questi paesi. Inoltre impegna i paesi firmatari alla protezione ed estensione delle foreste per favorire l’assorbimento delle emissioni di anidride carbonica.

Autoveicoli, impianti di riscaldamento, centrali termoelettriche, inceneritori e industrie, emettono nell’atmosfera elevate quantità di gas inquinanti. Si generano così fenomeni come lo smog fotochimico e le piogge acide che interessano le città e le zone industriali, e fenomeni che invece si ripercuotono su tutto il pianeta come l’aumento dell’effetto serra e i possibili cambiamenti climatici.

Per fronteggiare i possibili cambiamenti climatici dovuti all’aumento dell’effetto serra, nel 1997, i paesi industrializzati responsabili di oltre il 70% delle emissioni di gas serra, hanno definito un protocollo, il protocollo di Kyoto, che stabilisce tempi ed entità della riduzione delle emissioni di gas serra e individua esplicitamente le politiche e le azioni operative che si dovranno sviluppare.

Percentuale di riduzione di gas serra entro il 2012 rispetto ai livelli del 1990

Mondo 5,2%
Unione Europea 8%
Stati Uniti 7%
Italia 6,5%
Giappone 6%
Russia 0%
Paesi in via di sviluppo nessuna limitazione

I gas di cui bisogna ridurre le emissioni

• l’anidride carbonica, prodotta dall’impiego dei combustibili fossili in tutte le attività generiche industriali, oltreché nei trasporti;
• il protossido di azoto, gli idrofluorocarburi, i perfluorocarburi e l’esafloruro di zolfo impiegati nelle industrie chimiche manifatturiere;
• il metano, prodotto dalle discariche dei rifiuti, dagli allevamenti zootecnici e dalle coltivazioni di riso.

Le politiche e le azioni operative che si dovranno sviluppare per ridurre le emissioni sono:

• migliorare l’efficienza tecnologica e ridurre i consumi energetici nel settore termoelettrico, nel settore dei trasporti e in quello abitativo e industriale;
• promuovere azioni di riforestazione per incrementare le capacità del pianeta di assorbimento dei gas serra;
• promuovere forme di gestione sostenibile di produzione agricola;
• incentivare la ricerca, lo sviluppo e l’uso di nuove fonti di energie rinnovabili;
• limitare e ridurre le emissioni di metano dalle discariche di rifiuti e dagli altri settori energetici;
• applicare misure fiscali appropriate per disincentivare le emissioni di gas serra.

Uno degli strumenti individuati per realizzare questo obiettivo è l’uso più esteso delle fonti rinnovabili di energia, in quanto sono in grado di garantire un impatto ambientale più contenuto di quello prodotto dalle fonti fossili.

Tra le fonti rinnovabili, l’impiego dell’energia eolica per la produzione di energia elettrica è ormai una realtà consolidata, e rappresenta un caso di successo tra le nuove fonti rinnovabili.

Ad oggi il protocollo di Kyoto non è ancora stato ratificato da tutti gli stati che lo proposero nonostante le varie modifiche apportate per farlo diventare uno strumento economicamente conveniente.

Infatti le misure nazionali sono state integrate da strumenti di cooperazione tra paesi. I “meccanismi di flessibilità” dovrebbero agevolare la diffusione di tecnologie ad alta efficienza nei paesi in via di sviluppo, consentendo ai paesi industrializzati di acquisire crediti di emissione commerciabili o iscrivibili nei propri registri di contabilità nazionale delle emissioni. Ad oggi, Stati Uniti e Autralia hanno abbandonato i negoziati, mentre l’adesione ancora incerta della Russia ne determinerebbe l’entrata in vigore. Comunque il solo fatto di essere arrivati ad un testo di accordo ha prodotto rilevanti conseguenze economiche e organizzative nel settore dell’energia. In particolare l’Unione Europea e quindi anche l’Italia, ha da subito recepito le indicazioni del protocollo.

2002 Johannesburg: a 10 anni da Rio

A 10 anni da Rio nel 2002 si è tenuto a Johannesburg il Summit Mondiale sullo Sviluppo Sostenibile.

In tale occasione è emerso che nonostante i progressi riscontrabili. Un bilancio degli ultimi 10 anni), l’effettivo grado di attuazione degli impegni di Rio è insoddisfacente.

Gli obietivi dell’Agenda 21 non sono stati pienamente realizzati, le condizioni dell’ambiente risultano peggiorate e non vi è stata l’auspicata inversione di tendenza sui modelli di produzione e consumo.

A Johannesburg il tema centrale non è stato l’ambiente ma le problematiche sociali ed economiche legate allo sviluppo, in particolare la riduzione della povertà.

Il summit di Johannesburg si è concluso con l’adozione di tre importanti documenti: la Dichiarazione sullo sviluppo sostenibile, una dichiarazione politica con nuovi impegni per lo sviluppo sostenibile; un Piano di implementazione dell’agenda 21; e una Lista di iniziative per azioni specifiche.

Un bilancio degli ultimi 10 anni:

• più di 6000 città hanno creato la loro “Agenda 21 locale”;

• numerosi Paesi hanno preparato le agende 21 nazionali;

• numerose imprese hanno adottato i principi dello sviluppo Sostenibile prendendo in considerazione fattori di ordine economico, sociale ed ambientale;

• La Conferenza su Popolazione e Sviluppo (Cairo 1994), Il Vertice sullo Sviluppo Sociale (Copenhagen 1995), la Conferenza Internazionale sulla Donna (Pechino 1995), la Conferenza sugli Insediamenti Urbani, habitat II (Istanbul 1996), hanno consolidato l’impegno alla lotta per la diminuzione delle povertà e per lo sviluppo sociale;
• La struttura Globale per l’Ambiente è diventata la principale fonte di prestiti per i pae-
• Le Convenzioni sui Cambiamenti Climatici, sulla Biodiversità e sui rifiuti nocivi, l’acsi in via di sviluppo e in transizione per sostenere progetti globali sull’ambiente;

cordo sugli stock ittici, l’istituzione di un forum sulle foreste, l’ampliamento del protocollo di Montreal per la protezione dello strato dell’ozono stratosferico, mostrano l’impegno internazionale per la difesa dell’ambiente.

GLI IMPEGNI DELl’ITALIA

l’Italia ha dato il via all’attuazione dell’Agenda 21 approvando il Piano Nazionale per lo Sviluppo Sostenibile con la delibera CIPE (Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica) del 28 dicembre 1993. Questo ha comportato una evoluzione del quadro legislativo e normativo in materia energetico-ambientale, anche perché l’Italia, in quanto membro dell’Unione Europea, è vincolata a recepire le direttive comunitarie.

Il quadro legislativo energetico ambientale in Italia

• A livello europeo il “VI programma quadro di ricerca e sviluppo” fissa gli obiettivi e le priorità che fanno parte della strategia comunitaria per lo sviluppo sostenibile e per le politiche ambientali.
• La Commissione Mediterranea per lo Sviluppo Sostenibile istituita nel 1995 ha il mandato
• Il Programma stralcio di tutela ambientale, approvato con decreto del Ministero dell’Ambiente il di avviare attività connesse alla promozione dello sviluppo sostenibile nella regione.

28 maggio 1998, individua gli strumenti per promuovere lo sviluppo sostenibile, far fronte ai cambiamenti climatici, riformare la gestione dei rifiuti, risanare il territorio, le aree urbane e le acque, conservare e valorizzare il patrimonio naturale e la biodiversità, il mare, le coste e le isole minori.

• La delibera CIPE 2 del 19-11-1998 “Linee guida per le politiche e misure nazionali di riduzione delle emissioni dei gas serra” definisce le politiche e le misure nazionali per rispondere agli impegni assunti firmando il protocollo di Kyoto sulla riduzione delle emissioni dei gas serra.
• Con la legge 344/97 il governo si impegna a sviluppare e adottare misure per favorire la sostenibilità ambientale. La legge fornisce supporto tecnico e organizzativo allo sviluppo di tecnologie pulite e alla sostenibilità urbana. Definisce misure per il miglioramento della progettazione ambientale e per la formazione di nuove figure di tecnici e operatori per l’ambiente.

Istituisce un marchio per la qualità ecologica per favorire le produzioni sostenibili. Prevede inoltre il rafforzamento dell’informazione e dell’educazione ambientale.

Risparmiare energia e proteggere l’ambiente

• Nel 2002 l’Italia ratifica come membro dell’Unione Europea il protocollo di Kyoto.

Oltre a definire un quadro legislativo entro cui operare, il governo italiano ha promosso diverse iniziative, come le politiche fiscali e tariffarie e gli incentivi economico/finanziari, finalizzate a promuovere lo sviluppo sostenibile e nuovi modelli di consumo presso istituzioni, operatori pubblici e privati e i singoli cittadini.

Ne citiamo alcune a completamento di quelle riportate nella prima parte dell’opuscolo. Per promuovere una “Città sostenibile” ricordiamo la legge 344 del 1997 che prevede l’istituzione, da parte del Ministero dell’Ambiente, di premi e incentivi alle città che danno attuazione alle politiche ambientali nella direzione della sostenibilità.

I “Contratti di quartiere”, con cui lo Stato, attraverso il Ministero dei Lavori Pubblici, ha messo a disposizione dei comuni fondi per la realizzazione di interventi di recupero urbano nelle aree periferiche degradate.

I “Piani di riqualificazione urbana”, con cui il Ministero dei Lavori Pubblici finanzierà un numero considerevole di Comuni per operare interventi di riqualificazione urbana.

Ricordiamo anche i finanziamenti messi a disposizione con il V e VI Programma quadro di Ricerca e sviluppo dell’Unione Europea, per progetti che hanno come obiettivo lo sviluppo sostenibile.

Per disincentivare l’uso dei combustibili tradizionali l’Italia ha adottato, tra i primi in Europa, la cosiddetta “Carbon Tax” (DPCM n. 11 del 15 gennaio 1999) che tassa i consumi dei prodotti derivanti dai combustibili fossili in proporzione al loro contenuto di carbonio. Le entrate verranno impiegate anche per progetti diretti al risparmio energetico.

Finalizzato invece ad informare l’utente, oltre l’etichetta energetica di cui abbiamo già parlato, è il marchio “Ecolabel” (ecoetichetta): un marchio europeo che indica un prodotto compatibile con l’ambiente. Ha per simbolo una margherita con le stelle come petali e la “E” di Europa al centro.

Inoltre, per far fronte alle cresciute esigenze di salvaguardia ambientale, il governo ha individuato nuovi profili professionali, come:

• l’Energy manager, responsabile per l’uso razionale dell’energia nei settori dell’industria, della pubblica amministrazione, dei trasporti e del terziario;
• il Mobility Manager, responsabile della mobilità aziendale per ottimizzare gli spostamenti casa-lavoro dei dipendenti in modo da ridurre l’uso dell’auto privata, contribuendo così al miglioramento dei fenomeni di congestione del traffico.

Perseguire un modello di sviluppo che sia sostenibile non è sicuramente una cosa semplice. Ma certamente uno sforzo congiunto tra cittadini e istituzioni potrà rendere meno difficile il cammino.



Climate change to make one billion refugees-agency
Reuters - 14/05/2007 01:01:06

By Jeremy Lovell
LONDON, May 14 (Reuters) - Global warming will create at least one billion refugees by 2050 as water shortages and crop failures force people to leave their homes, sparking local wars over access to resources, a leading aid agency said on Monday.

In its report "Human tide: The real migration crisis", Christian Aid said that as the developed world was responsible for most of the climate-changing pollution, it should bear the brunt of the cost of helping those worst hit by it -- the poor.

"We believe that forced migration is now the most urgent threat facing poor people in the developing world," said lead author John Davison.

Scientists predict that average temperatures will rise by between 1.8 and 3.0 degrees Celsius this century because of greenhouse gas emissions, mainly from burning fossil fuels, causing floods and famines and putting million of lives at risk.

The Intergovernmental Panel on Climate Change says that by 2080 up to 3.2 billion people -- one third of the planet's population -- will be short of water, up to 600 million will be short of food and up to 7 million will face coastal flooding.

"We estimate that, unless strong preventative action is taken, between now and 2050 climate change will push the number of displaced people globally to at least one billion," the Christian Aid report said.

Security experts fear that the tidal wave of forced migration will not only fuel existing conflicts but create new ones in some of the poorest and most deprived parts of the world, those least equipped to deal with them, it said.

"A world of many more Darfurs is the increasingly likely nightmare scenario," the report said, citing the conflict in the western Sudan where the United Nations says at least 200,000 people have been killed and 2 million forced out of their homes.

While many climate refugees would cross national borders -- becoming an international problem -- many millions more would be unable to leave their countries and would remain largely invisible to outsiders, it said.

"These internally displaced persons, or IDPs, have no rights under international law and no official voice," the report said. "Their living conditions are likely to be desperate and in many cases their lives will be in danger."

Christian Aid said Colombia was second only to Sudan in the number of IDPs. Many displaced Colombians had been forced to flee by civil war but their number was now being swelled by those evicted from land destined for huge palm oil plantations.
People in Myanmar are also being displaced to make way for palm oil plantations and dams, it said.

Palm oil is in increasing demand to make biofuel as a substitute for petrol in the battle against global warming.

In Mali, Christian Aid said that farmers were already having to leave their land to find work because erratic rains and falling crop yields were making their lives untenable.



Global warming: people to blame, but can be fixed

Reuters - 04/05/2007 10:57:08


By Alister Doyle, Environment Correspondent
OSLO, May 4 (Reuters) - Global warming is already happening and people are very likely to blame. Impacts will range from disruptions to catastrophes, but the problem can still be fixed without derailing the world economy.

Those are likely to be the conclusions in a five-page U.N. summary in November boiling down more than 3,000 pages of science in three authoritative reports about global warming already issued this year, say experts involved.

The last report, on costs, was issued in Bangkok on Friday.

"It's difficult to put it all into one crisp sentence," said Coleen Vogel of the University of Witwatersrand in South Africa, one of 32 authors of the synthesis report to be issued in Valencia, Spain.

"Almost nobody will have read all three volumes," said Bettina Menne of the World Health Organisation, another author.

"So this is really where you put everything on the table," she said of a summary meant to tie together knowledge about how burning fossil fuels releases heat-trapping gases, feared impacts such as floods or droughts and costs of action.

The five-page report, and a longer 30-page summary, is likely to be the most read by government policy makers trying to work out ways to step up a fight against climate change beyond 2012 when a first period of the U.N.'s Kyoto Protocol runs out.

But deciding what stays and what gets cut out of the concise versions will be tough.

"The synthesis is meant to be the most policy-relevant document," said Carola Traverso Saibante, spokeswoman of the U.N.'s Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC).


TRICKY

"Integrating the three reports with the aim of giving a policy maker a good tool to act can be tricky," she said.

"Governments have asked for everything to be boiled down to a short summary of the main conclusions," said Peter Stott, of the British Meteorological Office's Hadley Centre and among authors.

The IPCC report issued in Bangkok on Friday said sweeping cuts in greenhouse gases are needed in the next 50 years to keep global warming in check. But it said it need cost only a fraction of world output.

And it said governments have a wide range of technologies available for braking global warming, ranging from solar energy to more controversial nuclear power. The IPCC reports are the first update of science since 2001.

The first report, in February, said it was at least 90 percent probable, or "very likely", that human activities are to blame for global warming, up from at least 66 percent or "likely" in the 2001 report.

The February report also said warming was under way and that temperatures were, at a best estimate, likely to rise by between 1.8 and 4.0 Celsius (3.2 and 7.2 Fahrenheit) this century.

A second report in April outlined impacts such as more hunger and water shortages in Africa and Asia, heatwaves in the United States and a rise in sea levels that could go on for centuries and drown coastal cities.

Menne, a doctor of medicine, said there would be many hard choices in a five-page document. She noted that global warming could have damaging impacts on health.

"For me a sentence like 'children, the aging, the socially deprived will be most at risk' is important. But the same might not be interesting for people looking at long-term trends in ecosystems, energy or economic perspectives," she said.



EU challenges world with climate change plan Reuters - 09/03/2007 16:39:09 (Adds lighting regulations, Blair)
By Ingrid Melander and Jeff Mason
BRUSSELS, March 9 (Reuters) - European Union leaders resolved on Friday to slash greenhouse gas emissions and switch to renewable fuels, challenging the world to follow its lead in fighting climate change.

German Chancellor Angela Merkel, who chaired a two-day summit, said the "ambitious and credible" decisions taken by the 27-nation bloc, including a binding target for renewable energy sources, put Europe in the vanguard of fighting global warming.

"We can avoid what could well be a human calamity," she told a news conference, underlining that the EU had opened a new area of cooperation unthinkable a couple of years ago.

European Commission President Jose Manuel Barroso said: "We can say to the rest of the world, Europe is taking the lead. You should join us fighting climate change."

The EU package set targets for slashing greenhouse gas emissions blamed for global warming, developing renewable energy sources, boosting energy efficiency and using biofuels.

In a move that will affect all of the bloc's 490 million citizens, the leaders called for energy-saving lighting to be required in homes, offices and streets by the end of the decade.

Barroso argues Europe can gain a "first mover" economic advantage by investing in green technology but businesses are concerned they could foot a huge bill and lose competitiveness to dirtier but cheaper foreign rivals.

While the deal laid down Europe-wide goals for cutting carbon dioxide (CO2) emissions and developing renewable sources, separate national targets will have to be set with the consent of member states, presaging years of wrangling between Brussels and governments.

Merkel scored a diplomatic victory by securing agreement to set a legally binding target for renewable fuels such as solar, wind and hydro-electric power -- the most contentious issue.

Leaders accepted the target of 20 percent of renewable sources in EU energy consumption by 2020 in return for flexibility on each country's contribution to the common goal.


"GROUNDBREAKING"
"These are a set of groundbreaking, bold, ambitious targets for the European Union," British Prime Minister Tony Blair said.

"They require an immense amount of work for Europe to secure this but … it gives Europe a very clear leadership position on this crucial issue facing the world," he told reporters.

By pledging to respect national energy mixes and potentials, the summit statement satisfied countries reliant on nuclear energy, such as France, or coal, such as Poland, and small countries with few energy resources, such as Cyprus and Malta.

The leaders committed themselves to a target of reducing EU greenhouse gas emissions by 20 percent by 2020 and offered to go to 30 percent if major nations such as the United States, Russia, China and India follow suit.

The statement also set a 10 percent target for biofuels in transport by 2020 to be implemented in a cost-efficient way.

But they did not endorse the executive European Commission's proposal to force big utility groups to sell or spin off their generation businesses and distribution grids in a process known as "ownership unbundling".

Instead they agreed on the need for "effective separation of supply and production activities from network operations" but made no reference to breaking up energy giants such as Germany's E.ON.

Renewables now account for less than 7 percent of the EU energy mix and the bloc is falling short of its existing targets both for renewable energy and cutting carbon dioxide emissions.

French President Jacques Chirac insisted at his last formal EU summit that the bloc recognise that nuclear power, which provides 70 percent of France's electricity, must also play a role in Europe's drive to cut greenhouse gas emissions.

But several EU states are fundamentally opposed to atomic power or, like Germany, in the process of phasing it out.

Poland won a commitment to "a spirit of solidarity amongst member states" -- code for western Europe helping former Soviet bloc states if Russia cuts off energy supplies.

Several other new ex-communist member states in central Europe were among the most reluctant to accept the renewables target, fearing huge costs from the green energy revolution.

As chair of the Group of Eight industrialised powers, Merkel wants the EU to set the environmental agenda. The summit outcome will form the basis of the EU's position in international talks to replace the U.N. Kyoto Protocol, which expires in 2012.

Environmentalists, often critical of EU efforts, hailed the agreement as a breakthrough.



EU to put climate change at heart of energy policy

Reuters - 10/01/2007 00:03:33

By Jeff Mason BRUSSELS, Jan 10 (Reuters) - The European Union will put climate change at the heart of a broad new energy policy on Wednesday as it moves to boost renewable fuels, cut consumption and curb its dependence on foreign suppliers of oil and gas.

With oil imports hit by the latest energy dispute involving Russia, Brussels will lay out a vision of a common energy policy for the 27-nation bloc with proposals including scaling back the dominance of energy companies and strengthening regulators.

"The world has changed and now it's high time for Europe to have an energy policy to fight climate change, reduce the risk of our external dependency, and increase the competitiveness of the European economy," said Ferran Tarradellas Espuny, a spokesman for Energy Commissioner Andris Piebalgs.

This week's dispute between Russia and Belarus, which has hit oil exports to several EU nations, highlighted the bloc's vulnerability to foreign producers of fuel.

The fight against global warming takes top billing in the wide-ranging set of reports which will be debated by EU governments after adoption by the executive body on Wednesday.

The commissioners are expected to endorse a plan that calls on developed nations around the world to cut emissions of greenhouse gases by 30 percent by 2020 compared to 1990 levels.

At the same time, the Commission is set to propose the 27-nation EU set a target to cut its own emissions by 20 percent in that time period, with the possibility of increasing that goal if the international community agrees to a broader cut.

The EU has repeatedly said the United States -- the world's biggest polluter -- and other major economies will have to chip in to make the fight against climate change successful.

Environmentalists criticised the Commission for setting an internal target below the one it seeks for the world as a whole. "We think that this is a political and scientific blunder," said Mahi Sideridou, climate policy director at Greenpeace in Brussels, on Tuesday.

The Commission's proposals set a target for the use of biofuels and a mandatory overall target for how much EU energy consumption should come from renewable sources such as wind.

Officials said the commissioners would deal with the most contentious issues on Wednesday.

The choice of language for recommending a split-up of major power companies like Germany's E.ON (EOA.FRA) generation and distribution businesses was among the ideas on which consensus had not yet been reached, an official said late on Tuesday.

Given German and French opposition to the idea, the Commission is set to recommend the option of utilities handing over management of grid businesses while retaining ownership.

Brussels will also look at strengthening the role of regulators to promote the development of a well-connected internal EU market for electricity and gas.



Britain welcomes tougher EU energy stance

Reuters - 10/01/2007 17:36:02

(Recasts with comments from energy companies, background) By Daniel Fineren LONDON, Jan 10 (Reuters) - Britain welcomed European Commission calls for more energy competition but said on Wednesday that tough talk from Brussels must be backed by decisive action.

As part of a wide-ranging energy policy announced on Wednesday, the European Union said producers should sell their distribution assets to improve competition.

"The EC's tough proposals today are good news for Britain's energy consumers who, for too long, have paid the price for a lack of real competition in continental Europe," the chief executive of UK energy regulator Ofgem, Alistair Buchanan, said.

"And they're bad news for the dominant energy giants who must relinquish their stranglehold on their national energy markets and compete in the new European energy market."

Britain, which prides itself in having one of the most competitive energy markets in Europe, said talk had to be backed by firm action against countries stalling on market opening.

"Now the Commission must move forward against the inevitable opposition and prove that, when it comes to liberalisation, it will not back down," Buchanan said in a statement.

"It's time for European governments to stand with the Commission and to protect European energy customers and not the interests of national energy champions… This will require the full ownership unbundling of all gas and electricity transmission businesses across the EU," he said.

Britain opened its energy markets to competition in the 1990s. Since then, its biggest energy supplier, Centrica (CNA.L), has seen its market share nibbled away by some of Europe's largest energy companies.

Meanwhile, British calls for true market opening across mainland Europe have been met with national resistance.

"The UK has long argued for Europe's energy markets to be opened up to the sort of fair competition that we take for granted here in the UK," UK Trade and Industry Secretary Alistair Darling said.

Centrica's CEO Sam Laidlaw reiterated calls for Brussels to effectively enforce a competitive market through unbundling.

"The key lies in achieving a fully competitive market, he said. "A critical element must be effective separation of Europe's gas and power networks from the supply businesses who currently operate them, policed by tough regulation."

France's EDF (EDF.PAR) and Germany's E.ON (EOA.FRA) and RWE.DE have already rejected the Commission's proposals for network sell offs.

The Association of Electricity Producers, which represents most of Britain's big generators, welcomed the EC energy blueprint but warned Brussels against heavy regulation. "The Commission must be careful to find the right balance between imposing new regulation and letting the market work," AEP's CEO David Porter said.

BRITISH MODEL

Britain's National Grid now runs the country's power and gas networks but has no role in power generation or gas production, a model that both Ofgem and UK energy companies would like to see across the rest of Europe.

"We believe ownership unbundling in Europe is the best solution and provides free and open access to the energy market," National Grid's transmission director, Nick Winser, said.

"Ownership unbundling ensures there is absolutely no possibility of anyone having vested interests and allows the market to operate in the most effective and efficient way."

Scottish Power (SPW.L), which still owns part of the Scottish electricity grid, said ownership of networks and generation is not a problem, so long as those assets are managed by someone else. National Grid runs its transmission lines.

"The key is control and access to markets, not ownership," a spokesman for the company told Reuters.



Main points of new EU energy strategy

Reuters - 10/01/2007 15:34:35

BRUSSELS, Jan 10 (Reuters) - The European Commission launched an overhaul of Europe's energy policy on Wednesday, ranging from plans to cut carbon emissions to recommendations for breaking up energy giants.

Following are some of the main points of the strategy proposal which must now be approved by European Union countries: To see a related story, please click on (news)

GREENHOUSE GAS EMISSIONS

The Commission proposed a unilateral target of cutting EU greenhouse gas emissions by at least 20 percent by 2020 from 1990 levels, rising to 30 percent if other developed nations join in under an international agreement.

That compares with an existing target for an 8 percent cut from 1990 levels in the 2008-2012 period which was adopted by the 15 members of the EU before its 2004 enlargement but which several countries are struggling to meet.

RENEWABLE ENERGY SOURCES

The plan puts forward a binding target of producing 20 percent of EU energy needs -- including power generation and biofuels -- from renewable sources by 2020, up from about 7 percent now.

BIOFUELS

Biofuels, produced largely from crops and which produce few emissions, should account for at least 10 percent of vehicle fuel in the EU by 2020.

ENERGY EFFICIENCY

Brussels reiterated a previous target of improving energy efficiency by 20 percent by 2020.

COMPETITION

The Commission stated its preference for requiring utilities that generate power to sell off distribution assets as the most effective way to making the sector more competitive and help drive down prices.

But, faced with opposition to that idea from France and Germany, it also proposed a second option of allowing utilities to retain ownership of their grids while turning over management to an independent system operator.

ENERGY DIPLOMACY

The EU should speak with one voice when negotiating with energy producers such as Russia, Norway, Algeria in central Asia as competition for resources intensifies.

NUCLEAR POWER

The plan says the choice of whether to use nuclear power should remain up to individual governments but moves to cut nuclear output should be accompanied by introduction of supplementary low-carbon energy sources.

The Commission also suggested creating an EU-wide high-level group of experts to eventually propose European rules on standards and safety.

REGULATORY CONTROL

The Commission proposed a mechanism giving it the chance to review some decisions of national regulators which affect the internal market. It also suggested creating a body at EU-level to ensure cross-border energy trading works in practice.

INTERCONNECTIONS

Among other measures, Brussels proposed four co-ordinators to advance the most important projects:

- links between Germany, Poland and Lithuania

- links to off-shore wind power sites in Northern Europe

- electricity interconnections between France and Spain

- the Nabucco pipeline between the Caspian region and central Europe.

CARBON CAPTURE AND STORAGE

The Commission said it wanted to expand the use of carbon capture and storage (CCS) technology to help curb emissions. Brussels envisages the creation of 12 large-scale CCS demonstration plants by 2015. By 2020, all new coal-fired power plants should be fitted with CCS, the Commission said.

((Reporting by William Schomberg and Stuart Penson; editing by Anthony Barker. +44-7990-560-872))



Ansa 2007-01-06 09:58

CLIMA: L'UE LANCIA L'ALLARME, EUROPA A RISCHIO DISASTRO

ROMA - Il riscaldamento globale potrebbe costare all' Europa migliaia di vite e miliardi di euro entro i prossimi 70 anni. E' impietoso lo studio sulla situazione climatica e ambientale elaborato dalla Commissione europea e pubblicato oggi dal Financial Times. Tanto impietoso da lasciare pochi margini al dubbio, tra cifre e prospetti che delineano un quadro da film del terrore. Se non saranno presi provvedimenti sulle emissioni dannose, ammonisce Bruxelles, l'effetto serra e il relativo surriscaldamento del pianeta andranno avanti a passi veloci. Le prime avvisaglie del clima bizzarro, d'altra parte, sono sotto gli occhi di tutti. Le possibili conseguenze per l'Europa, secondo il rapporto, investono un po' ogni settore e andrebbero a colpire in particolare le aree meridionali del continente, con l'Italia in prima fila. Mentre il Nord Europa avrebbe un clima più mite e la possibilità di un' agricoltura più generosa, altrove si avrebbero siccità, gran caldo, inondazioni e colture depresse. Sulla base dello studio ambientale, elaborato anche con sistemi satellitari, il rapporto Ue evidenzia due possibili scenari di riferimento. Il primo prevede un innalzamento della temperatura di 2,2 gradi; il secondo, più tragico, prevede un innalzamento di 3 gradi. In entrambi i casi, entro un decennio, circa 11.000 persone in più potrebbero morire ogni anno a causa del caldo, mentre l'innalzamento del livello del mare causerebbe danni per un valore di miliardi di euro. Successivamente, nel caso del primo scenario (+2,2 gradi), quasi 29.000 persone in più potrebbero morire ogni anno nel Sud Europa dal 2071. Il quadro più grave riguarda proprio l' Italia che, insieme alla Spagna, potrebbe essere destinata a soffrire maggiormente questa situazione catastrofica a causa, si legge nel rapporto, di "siccità, riduzione della fertilità del suolo, incendi e altri fattori dovuti al cambiamento di clima". Ma lo studio non risparmia flora e fauna: "piante e animali tipici di certe aree geografiche moriranno o si sposteranno verso altre zone". Il riscaldamento porterà ovviamente anche all' innalzamento del livello del mare che, secondo lo studio della Commissione europea, potrebbe crescere fino a un metro con costi ingenti per far fronte al fenomeno. Già nel 2020, in caso di innalzamento della temperatura di 2,2 gradi, la spesa per far fronte al disastro delle coste potrebbe essere di 4,4 miliardi di euro; nel caso del secondo scenario (+3 gradi) la spesa aumenterebbe a 5,9 miliardi e potrebbe crescere a 42,5 miliardi nel 2080. Ma il riscaldamento globale non risparmierà, secondo lo studio, neppure altri settori come la pesca. Dal rapporto emerge infatti una tendenza alla migrazione degli stock di pesce verso le aree più a Nord. E c'é poi il problema delle inondazioni, sempre più intense un po' in tutta Europa. In proposito l' allarme riguarda soprattutto i grandi bacini fluviali, come il Danubio che già negli ultimi anni ha fatto sentire i suoi effetti interessando con gravi danni circa 240.000 persone. E il turismo? Nota dolente ancora una volta per l'Italia e per gli altri Paesi del Mediterraneo. Il rapporto Ue non fa mistero sulle conseguenze drammatiche del cambiamento climatico. Sono circa 100 milioni le persone che ogni anno trascorrono le vacanze nel Sud Europa, per un giro d'affari di circa 130 miliardi di euro. Se non si porrà fine all' effetto serra, ammonisce lo studio, entro i prossimi 70 anni quel turismo mediterraneo non ci sarà più, per il Sud sarà soltanto desertificazione e la nuova riviera europea si sposterà inevitabilmente molto più a Nord.

http://www.ansa.it/site/notizie/awnplus/news_collection/awnplus_altrenotizie/ visualizza_new.html_2057471397.html

Acqua

l’acqua è la risorsa principale del nostro mondo. Fonte di vita…. l’acqua costituisce circa il % della massa della Terra, 1l 70% dell corpo umano, tra il % e il % dei cibi….

Circa il 60% dei consumi d’acqua italiani vengono impiegati in agricoltura, il 25% nell’industria e il 15% in campo civile.

l’uso nel settore civile è quantitativamente meno rilevante rispetto al consumo globale di acqua, ma è qui che si consuma la maggior parte di acqua potabile, che viene prodotta a partire dalle risorse di migliore qualità. Purtroppo, la cattiva condizione della nostra rete idrica fa sì che quasi un terzo dell’acqua immessa nei nostri acquedotti viene persa strada facendo.

Dei 250 litri che ognuno di noi consuma al giorno per gli usi domestici, solo una parte viene utilizzata per il consumo diretto, per cucinare o per l’igiene personale, usi che richiedono la più alta qualità. Mentre la parte prevalente viene impiegata per usi non privilegiati come per gli sciacquoni, le macchine per lavare, il lavaggio dei pavimenti, l’irrigazione di pinate e giardini, o persa per banale incuria.

l’acqua, prima di uscire dal rubinetto, deve essere pompata, depurata, canalizzata e, per alcuni usi, anche riscaldata. Sprecare acqua significa anche sprecare energia.

Le nostre abitudini quotidiane possono tradursi in sprechi o in notevoli risparmi di una fonte preziosa come l’acqua e dell’energia che serve per portarla nelle nostre case.

Esistono in commercio alcuni erogatori di acqua che riducono la portata del flusso, e che permettono così di risparmiare sulle spese di acqua e di energia. Questi dispositivi, miscelano l’acqua aumentandone la pressione e arricchendola d’ossigeno. l’acqua esce così in quantità minore, ma con maggior potenza lavante.

Nella tabella seguente vengono riportati i dati relativi al consumo medio di aqua di una persona in un anno.
 

Tabella 01: I costi energetici dell’acqua (consumi per persona e per anno)
Litri di Petrolio Litri d’Acqua
Bagno 620 50,000
Doccia 320 25,000
Rubinetto Tradizionale 240 44,000
Rubinetto a Risparmio d’Acqua 150 23,400
Lavastoviglie Tradizionale 250 7,300
Lavastoviglie a Basso Consumo 160 3,650
Lavatrice Tradizionale 55 4,700
Lavatrice a Basso Consumo 40 2,600
Energia

Un’area interamente dedicata al mondo dell’energia con consigli utili per comprendere meglio il contesto dei mercati energetici, le opportunità offerte dalla liberalizzazione e quelle che si apriranno in futuro. Le informazioni sull’andamento dei mercati e sugli scenari che si stanno aprendo per le imprese, per i professionisti, per le famiglie e per gli italiani in generale. Per essere aggiornati al meglio sulle proprie forniture energetiche.

Oggi, oltre l’80% dell’energia utilizzata nel mondo viene prodotta bruciando combustibili fossili, quali petrolio, carbone e metano. È ormai accertato che proprio negli impianti in cui si utilizzano combustibili fossili si generano quei gas inquinanti che, una volta immessi nell’atmosfera, danneggiano l’ambiente.

Elettricità

l’energia elettrica viene prodotta e consumata….

Le economie “mature” a cui si stanno aggiungendo anche quelle emergenti spingono sempre più i consumi del petrolio, questo inevitabilmente porta ad un aumento dei prezzi del combustibile e alle devastazioni ambientali.

In questo contesto nasce più o meno spontaneamente la riflessione sull’utilizzazione di fonti alternative.

Secondo il rapporto annuale “World Energy Book” dell’Agenzia Internazionale dell’Energia (IEA), la domanda mondiale di energia nei prossimi 30 anni aumenterà oltre il 50% rispetto ai livelli attuali, prevalentemente per la crescita dei mercati emergenti.

I fattori strutturali che spingono in alto i prezzi sono la forte domanda di petrolio di Cina e India. Le importazioni di petrolio greggio della Cina hanno raggiunto un totale di 120 milioni di tonnellate nel 2004, un record per il grande paese asiatico, con un incremento di ben il 34.8% rispetto al 2003, sale la domanda e quindi, inevitabilmente, aumentano i prezzi, soprattutto per un bene che da sempre è stato una risorsa scarsa.

C’è dunque un’economia che ne richiede sempre di più. La Cina ha infatti ritmi di crescita frenetici e ha necessità sia di energia che di materie prime, di cui è estremamente povera. La domanda di petrolio della Cina è salita nel 2004 al 15% dell’intera richiesta globale.

Non troppo diverso è il caso degli Stati Uniti d’America che restano di gran lunga i maggiori consumatori ed emettitori di gas nocivi del mondo.

IRAQ….

IRAN….

Arabia Saudita….

Russia….

Venezuela/Colombia….

Nigeria….

Investimenti che si erano fermati quando il prezzo del petrolio, dopo la prima guerra del golfo, è sceso anche sotto i 20 $ al barile….

Il prezzo del petrolio ha raggiunto e supperato i 60 dollari al barile a causa delle problematiche di cui abbiamo appena parlato. Svincolarsi dal petrolio per rendersi indipendenti dalle oscillazioni del mercato è una esigenza sempre più viva. Ogni volta che il prezzo del petrolio sale, ci si chiede quali siano le soluzioni alternative all’oro nero. Periodicamente quando il prezzo del barile ritorna a livelli “normali” la ricerca delle alternative viene puntualmente abbandonata.

IL CONTRIBUTO DELLE DIVERSE FONTI ALLA PRODUZIONE DI ENERGIA ELETTRICA NEL MONDO

Carbone 40%

Petrolio 10%

Gas naturale 15%

Nucleare 18%

Fonti rinnovabili 17%

Le fonti di Energia Non Rinnovabili
I combustibili fossili sono presenti in natura e si sono originati dalla decomposizione di sostanze organiche avvenuta milioni di anni fa. Vengono dette “Fonti Energetiche Non Rinnovabili” in quanto si trovano in natura in quantità limitata e hanno bisogno di tempi estremamente lunghi, intere ere geologiche, per riformarsi.

Oggi, petrolio, carbone e gas naturale soddisfano oltre l’80% del fabbisogno energetico mondiale.

Considerando che la domanda globale di energia sta aumentando a un ritmo di circa il 2% l’anno, si pone il problema di far fronte ad una loro eventuale scarsità.

Le previsioni sulla consistenza delle riserve sulle quali potremo contare nel futuro sono abbastanza varie. Comunque, un loro esaurimento fisico non è imminente, si parla di una disponibilità per almeno alcuni decenni ancora, sia perché negli ultimi vent’anni le riserve accertate sono gradualmente aumentate grazie al ritrovamento di nuovi giacimenti, e sia perché nuove tecnologie hanno permesso di sfruttare maggiormente i giacimenti esistenti o di raggiungere quelli che prima non lo erano.

I conflitti locali e internazionali che coinvolgono i paesi produttori rendono incerta la disponibilità di greggio e la stabilità del prezzo (nel 2002 è aumentato del 50% rispetto del 2001 raggiungendo il valore di 30 dollari al barile, nel 2006 ha raggiunto un picco superiore ai 70 dollari al barile per poi attestarsi, attualmente a circa 60 dollari). Per questo i paesi acquirenti più lungimiranti si stanno da tempo orientando verso una politica di diversificazione delle zone di approvvigionamento e di diversificazione delle fonti energetiche.

CARBONE
Il carbone è ritornato prepotentemente sulla scena in questo contesto. Negli Stati Uniti il coke già oggi fornisce il 50% dell’energia. Le dinamiche del carbone sono diverse da quelle dal petrolio. Sul petrolio pesa la sua relativa scarsità, al contrario, di carbone ce n’è troppo, a tal punto che molti paesi hanno chiuso miniere per renderlo più remunerativo. Sempre negli Stati Uniti è concentrato oltre il 25% della riserva. In Italia il carbone è stato estratto in Sardegna fino agli anni novanta, anno in cui è stato dismesso perché non considerato remunerativo. La grande incognita resta l’inquinamento. Da un lato però le nuove tecnologie hanno ampliato il contenimento delle emissioni. Se le centrali a carbone vengono realizzate con queste tecnologie le emissioni di … vengono ridotte a percentuali accettabili dell’ordine dei ….


Le Fonti Rinnovabili

Si definiscono fonti “rinnovabili” di energia quelle fonti che, a differenza dei combustibili fossili e nucleari, destinati ad esaurirsi in un tempo finito, possono essere considerate virtualmente inesauribili e che hanno un impatto sull’ambiente trascurabile.

Sono fonti rinnovabili di energia l’energia solare e quelle che da essa derivano: l’energia idraulica, del vento, delle biomasse, delle onde e delle correnti, ma anche l’energia geotermica, l’energia dissipata sulle coste dalle maree e i rifiuti industriali e urbani.

Con opportune tecnologie le fonti rinnovabili di energia possono essere convertite in energia secondaria utile che può essere termica, elettrica, meccanica e chimica.

Le fonti rinnovabili di energia sono uno degli strumenti individuati a livello internazionale sia per raggiungere l’obiettivo di riduzione delle emissioni di gas serra previsto dal Protocollo di Kyoto che per ridurre la dipendenza economica dai paesi produttori di petrolio.

Per promuoverne la diffusione, l’Unione Europea ha fissato l’obiettivo, da raggiungere entro il 2010, di una produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili pari al 22% del consumo totale.

l’Italia, come Stato membro, ha adottato le direttive europee e a partire dagli anni &lsquo,90 promuove sistemi di incentivazione economica.
l’impennata dei prezzi del barile spinge a cercare altri modi per produrre elettricità e alimentare le auto. Dal pannello solare alle biomasse legnose, dai biocarburanti al fotovoltaico, al biogas, dall’idrogeno al geotermico, tutto questo può rappresentare una soluzione per uscire dalla morsa del petrolio.Ci sono risorse come l’acqua, il sole, il vento, e i rifiuti che, a differenza del petrolio, sono considerabili come inesauribili.

LE CARATTERISTICHE

Le fonti rinnovabili di energia possiedono due caratteristiche fondamentali che rendono auspicabile un loro maggior impiego.

La prima consiste nel fatto che esse rinnovano la loro disponibilità in tempi estremamente brevi: si va dalla disponibilità continua nel caso dell’uso dell’energia solare, ad alcuni anni nel caso delle biomasse.

l’altra è che, a differenza dei combustibili fossili, il loro utilizzo produce un inquinamento ambientale del tutto trascurabile.

Esistono comunque alcuni limiti che ne ostacolano il pieno impiego.

Le fonti rinnovabili, e tra esse soprattutto l’eolico e il solare, forniscono energia in modo intermittente.

Questo significa che il loro utilizzo può contribuire a ridurre i consumi di combustibile nelle centrali convenzionali, ma non può sostituirle completamente.

Inoltre, per produrre quantità significative di energia, spesso è necessario impegnare rilevanti estensioni di territorio. Tuttavia va ricordato che ciò non provoca effetti irreversibili sull’ambiente e che il ripristino delle aree utilizzate non ha costi eccessivi.

PERCHÉ LE FONTI RINNOVABILI

Il bisogno di trovare rapidamente fonti di energia alternative ai combustibili fossili nasque in seguito alla crisi economica del 1973, quando i Paesi arabi produttori di petrolio aumentarono improvvisamente il suo prezzo. Di conseguenza aumentò il prezzo della benzina, dei combustibili per il riscaldamento e dell’energia elettrica.

Contemporaneamente nel mondo della ricerca crebbe la consapevolezza della esauribilità dei combustibili fossili.

Fu allora che per la prima volta si diffusero i termini di risorse “alternative” e “rinnovabili”; alternative all’idea che l’energia potesse prodursi solo facendo bruciare qualcosa, e rinnovabi- Oggi, l’utilizzo delle fonti rinnovabili di energia è ormai una realtà consolidata e il loro impiego per la produzione di energia è in continuo aumento.

Questo è reso possibile non solo dal continuo sviluppo tecnologico, ma soprattutto perché gli Stati hanno attribuito a tali fonti un ruolo sempre più strategico nelle scelte di politica energetica, sia nel tentativo di ridurre la dipendenza economica e politica dai paesi fornitori di combustibili fossili, sia per far fronte alla loro esauribilità e alle diverse emergenze ambientali.

Un ulteriore incentivo all’impiego delle fonti rinnovabili viene dalle ricadute occupazionali, soprattutto a livello locale, legate alla produzione di energia con fonti disponibili sul territorio nazionale. li nel senso che, almeno virtualmente, non si potessero mai esaurire.

IL CONTRIBUTO DELLE FONTI RINNOVABILI NEL MONDO

Nel 1996 le fonti rinnovabili hanno contribuito per circa il 17% al soddisfacimento del fabbisogno di energia elettrica mondiale; nell’Unione Europea il dato scende a circa il 6%, mentre in Italia se si includono i grandi impianti idroelettrici è di circa il 20%.

IL CONTRIBUTO DELLE FONTI RINNOVABILI IN ITALIA

Il fabbisogno energetico nazionale è di circa 173 Mtep/anno. Di questo, oltre l’80% viene soddisfatto con fonti fossili importate.

Il contributo delle fonti rinnovabili, se si escludono i grandi impianti idroelettrici, è del 7,4%, pari a circa 12,8 Mtep di cui: 9,5 Mtep sono prodotti dai piccoli impianti idroelettrici, 1 Mtep da impianti geotermici e circa 2,15 Mtep dall’uso domestico delle biomasse per la produzione di calore, mentre, rispetto al potenziale sfruttabile e allo stato dell’arte a livello internazionale, è ancora trascurabile il ricorso alle altre fonti rinnovabili (solare, eolico, biocombustibili, rifiuti, ecc.).

IL CONTRIBUTO DELLE FONTI RINNOVABILI IN ITALIA

Grande idroelettrico 21,6 Mtep

Piccolo idroelettrico 9,5 Mtep

Geotermia 1 Mtep

Biomasse 2,15 Mtep

20%=34,3 Mtep

LE POLITICHE A SOSTEGNO DELLO SVILUPPO E DIFFUSIONE DELLE FONTI RINNOVABILI

Ricordiamo di seguito le iniziative e i provvedimenti presi negli ultimi anni, sia a livello nazionale che internazionale, che mirano a incentivare lo sviluppo e la diffusione delle fonti rinnovabili:

• Il Libro Bianco “Una Politica Energetica per l’Unione Europea” (gennaio 1996), che identifica come obiettivi chiave del settore energetico la competitività, la sicurezza dell’approvvigionamento e la protezione dell’ambiente, e che indica come un importante fattore per conseguire tali scopi la promozione delle fonti rinnovabili di energia.

• La delibera CIPE3 (3 dicembre 1997), con cui l’Italia ha ratificato gli impegni di Kyoto assegnando un significativo ruolo alle fonti rinnovabili per ridurre le emissioni di gas serra, e impegnandosi a raddoppiare, entro il 2010, il contributo delle fonti rinnovabili di energia per il soddisfacimento dei fabbisogni energetici nazionali.

LE FONTI DI ENERGIA RINNOVABILI

Le fonti “rinnovabili” di energia sono quelle fonti che, a differenza dei combustibili fossili e nucleari destinati ad esaurirsi in un tempo definito, possono considerarsi inesauribili. Le fonti rinnovabili possiedono due caratteristiche fondamentali, che rendono auspicabile un loro maggior impiego: la prima consiste nel fatto che esse rinnovano la loro disponibilità in tempi brevi; l’altra è che, a differenza dei combustibili fossili, il loro utilizzo produce un inquinamento ambientale del tutto trascurabile.

Esistono comunque alcuni limiti che ne ostacolano il pieno impiego. Le fonti rinnovabili forniscono energia in modo intermittente. Questo significa che il loro utilizzo può contribuire a ridurre i consumi di combustibile nelle centrali convenzionali, ma non può sostituirle completamente. Inoltre, per produrre quantità significative di energia, spesso è necessario impegnare rilevanti estensioni di territorio.

Sono fonti rinnovabili di energia:

• Energia solare fotovoltaica: produzione di energia elettrica direttamente dalla radiazione solare attraverso l’utilizzo di materiali “semiconduttori”;

• Energia solare termica: produzione di acqua o aria calda attraverso sistemi che utilizzano il calore del sole, può essere utilizzata in piccoli impianti per usi domestici, oppure concentrata attraverso specchi in grandi centrali per produrre elettricità • Energia eolica: conversione dell’energia del vento in energia meccanica attraverso l’utilizzo di aerogeneratori;

• Energia da biomasse: energia derivante da processi di combustione di materiale organico; ad esempio biocarburanti derivati da prodotti agricoli (colza, mais, ecc.) che consentono un abbattimento significativo delle emissioni inquinanti e di anidride carbonica;

• Energia geotermica: energia proveniente dalla struttura terrestre, sfruttata per la produzione di energia elettrica;

• Energia dal mare: produzione di energia mediante lo sfruttamento del moto ondoso, delle maree, delle correnti e dei gradienti termici;

• Energia idroelettrica: l’energia cinetica dell’acqua viene trasformata in energia meccanica da una turbina idraulica accoppiata ad un generatore elettrico.

Idrogeno

l’idrogeno non può essere considerato una fonte primaria di energia in quanto non esistono giacimenti di idrogeno, ma è un “vettore energetico”, ovvero è un buon sistema per accumulare o trasportare energia.

l’idrogeno è un vettore ideale per un sistema energetico “sostenibile”, in quanto:

• Può essere prodotto da una pluralità di fonti, sia fossili che rinnovabili, tra loro intercambiabili e disponibili su larga scala per le generazioni future;

• Può essere impiegato per applicazioni diversificate, dal trasporto alla generazione di energia elettrica, con un impatto ambientale nullo o estremamente ridotto sia a livello locale che globale.

UN FUTURO A IDROGENO, SENZA CO2 Accanto ai vantaggi, l’introduzione dell’idrogeno presenta ancora numerosi problemi connessi allo sviluppo delle tecnologie necessarie per rendere il suo impiego economico ed affidabile.

Lo sviluppo di tali tecnologie è oggi al centro dei programmi di ricerca di numerosi paesi.

Uno dei problemi più critici è sicuramente quello della produzione; in prospettiva l’idrogeno si potrà ottenere dall’acqua a emissioni zero utilizzando le energie rinnovabili; oggi la soluzione più vicina è rappresentata dai combustibili fossili (estrazione dell’idrogeno a partire da carbone, petrolio e gas naturale tramite il “reforming”) ma il problema da risolvere, in questo caso, è quello della separazione e del sequestro della CO2 prodotta insieme all’idrogeno.

Nei motori a combustione interna. l’idrogeno è un eccellente combustibile e può essere bruciato in un normale motore a combustione interna come accade in alcuni modelli di auto già commercializzati. I rendimenti sono elevati e le emissioni si riducono a vapore acqueo e pochissimi ossidi di azoto (NOx).

Nelle celle a combustibile che sono sistemi elettrochimici capaci di convertire l’energia chimica di un combustibile direttamente in energia elettrica con un rendimento nettamente superiore a quello degli impianti convenzionali e senza emissioni di CO2. Le celle a combustibile sono una soluzione già adottata da molte case automobilistiche per la costruzione di prototipi elettrici alimentati ad idrogeno. Un’automobile a celle a combustibile produce a bordo l’elettricità necessaria al suo funzionamento, senza emissioni nocive.

Nelle centrali termoelettriche a idrogeno. I programmi di ricerca e lo sviluppo della tecnologia consentiranno di costruire impianti che utilizzeranno l’idrogeno per la generazione centralizzata di energia elettrica.

Questi impianti, abbinati ad un sistema di separazione e confinamento della CO2, ad esempio in giacimenti esauriti di petrolio o metano, permetteranno la produzione di elettricità con un alto rendimento e senza rilascio di anidride carbonica.

Ma come sarà il futuro a idrogeno?

l’idrogeno verrà prodotto da fonti rinnovabili oppure dai combustibili fossili.

In questo secondo caso la CO2 prodotta verrà confinata in giacimenti esausti o in acquiferi salini.

l’idrogeno verrà utilizzato come combustibile per la generazione elettrica in celle a combustibile e per alimentare i nostri mezzi di trasporto.

l’idrogeno può essere utilizzato:

l’acqua, adottata da più di un secolo, è la soluzione più semplice e non richiede tecnologie che producono emissioni inquinanti. l’Italia è uno dei leader nel settore idroelettrico, tra il 1 gennaio e il 31 dicembre 2004 l’Italia ha prodotto 48,7 TWh di idroelettrico. (fonte GRTN)

La tecnologia del solare permette di soddisfare il fabbisogno energetico a costo zero, anzi guadagnandoci. La tecnologia del solare termico è disponibile sul mercato per poche migliaia di euro e permette di produrre acqua calda con la forza del sole, risparmiando così sui costi del gas.

Il solare fotovoltaico è destinato alla sola produzione di energia elettrica. Una tecnologia costosa ma foriera di vantaggi. Con un investimento di 20 mila euro si può arrivare ad una potenza di 3 KW, che è la taglia media del contatore domestico, con la possibilità di rivendere l’eventuale energia in eccesso a prezzi privilegiati. Che sia un buon affare lo dimostra anche l’esperienza tedesca, dove si affittano anche i tetti dei capannoni per piazzare i pannelli e darsi al commercio dell’elettricità prodotta.
Gli impianti fotovoltaici consentono di trasformare, direttamente e istantaneamente, l’energia solare in energia elettrica senza l’uso di alcun combustibile.

Producono elettricità là dove serve, non richiedono praticamente manutenzione, non danneggiano l’ambiente e offrono il vantaggio di essere costruiti “su misura”, secondo le reali necessità dell’utente.

Energia Fotovoltaica (FV) significa letteralmente “elettricità prodotta dalla luce”; “foto” deriva dal greco “phos” che significa “luce”, e “Volt” dallo scienziato italiano Alessandro Volta inventore della pila.

Il costo per la realizzazione di un impianto è ancora piuttosto elevato, ma installare un impianto fotovoltaico diventa economicamente conveniente quando intervengono forme di incentivazione finanziaria da parte dello Stato come è avvenuto negli anni passati con il programma “Tetti fotovoltaici” e come sta avvenendo adesso con il “Conto energia”.

La tecnologia fotovoltaica consente di trasformare, direttamente e istantaneamente, l’energia solare in energia elettrica senza l’uso di alcun combustibile.

Essa sfrutta il cosiddetto “effetto fotoelettrico”, cioè la capacità che hanno alcuni semiconduttori opportunamente trattati, “drogati”, di generare elettricità se esposti alla radiazione luminosa.

Conosciuto fin dalla prima metà del XIX secolo, l’effetto fotoelettrico ha visto la sua prima applicazione commerciale nel 1954 quando, nei laboratori della BELL, fu realizzata la prima cella fotovoltaica in silicio monocristallino.

QUANTA ENERGIA CI ARRIVA DAL SOLE?

Una parte di questa energia, dopo aver attraversato l’atmosfera, arriva al suolo con un’intensità di circa 1.000W/m2 (irraggiamento al suolo in condizioni di giornata serena e Sole a mezzogiorno).

Questo enorme flusso di energia che arriva sulla Terra è pari a circa 15.000 volte l’attuale consumo energetico mondiale.

Di questa energia, però, solo una parte può essere utilizzata dagli impianti fotovoltaici.

l’ENERGIA UTILE

La quantità di energia solare che arriva sulla superficie terrestre e che può essere utilmente “raccolta” da un dispositivo fotovoltaico dipende dall’irraggiamento del luogo.

l’irraggiamento è, infatti, la quantità di energia solare incidente su una superficie unitaria in un determinato intervallo di tempo, tipicamente un giorno (kWh/m2/giorno).

Il valore istantaneo della radiazione solare incidente sull’unità di superficie viene invece denominato radianza (kW/m2).

l’irraggiamento è influenzato dalle condizioni climatiche locali (nuvolosità, foschia ecc..) e dipende dalla latitudine del luogo, cresce cioè quanto più ci si avvicina all’equatore.

In Italia, l’irraggiamento medio annuale varia dai 3,6kWh/m2/giorno della pianura padana ai 4,7kWh/m2/giorno del centro Sud e ai 5,4kWh/m2/giorno della Sicilia.
All’interno del sole, a temperature di alcuni milioni di gradi centigradi, avvengono incessantemente reazioni termonucleari di fusione che liberano enormi quantità di energia sottoforma di radiazioni elettromagnetiche.

Nel nostro paese, quindi, le regioni ideali per lo sviluppo del fotovoltaico sono quelle meridionali e insulari anche se, per la capacità che hanno di sfruttare anche la radiazione diffusa, gli impianti fotovoltaici possono essere installati anche in zone meno soleggiate.

In località favorevoli è possibile raccogliere annualmente circa 2.000kWh da ogni metro quadrato di superficie, il che è l’equivalente energetico di 1.5 barili di petrolio per metro quadrato.

IL GENERATORE FOTOVOLTAICO

Il componente elementare di un generatore fotovoltaico è la cella. È lì che avviene la conversione della radiazione solare in corrente elettrica.

Essa è costituita da una sottile fetta di un materiale semiconduttore, quasi sempre silicio opportunamente trattato, dello spessore di circa 0,3mm. Può essere rotonda o quadrata e può avere una superficie compresa tra i 100 e i 225cm2.
Un impianto fotovoltaico è essenzialmente costituito da un “generatore”, da un “sistema di condizionamento e controllo della potenza” e da un eventuale “accumulatore” di energia, la batteria, e naturalmente dalla struttura di sostegno.

La cella si comporta come una minuscola batteria e nelle condizioni di soleggiamento tipiche dell’Italia (1kW/m2), alla temperatura di 25°C fornisce una corrente di 3A, con una tensione di 0,5V e una potenza pari a 1,5-1,7Wp

In commercio troviamo i moduli fotovoltaici che sono costituiti da un insieme di celle.

I più diffusi sono costituiti da 36 celle disposte su 4 file parallele collegate in serie. Hanno superfici che variano da 0,5 a 1m2 e permettono l’accoppiamento con gli accumulatori da 12Vcc nominali.

Più moduli collegati in serie formano un pannello, ovvero una struttura comune ancorabile al suolo o ad un edificio.

Più stringhe, collegate generalmente in parallelo per fornire la potenza richiesta, costituiscono il generatore fotovoltaico.

Dal punto di vista elettrico non ci sono praticamente limiti alla produzione di potenza da sistemi fotovoltaici, perché il collegamento in parallelo di più file di moduli, le “stringhe”, consente di ottenere potenze elettriche di qualunque valore. Il trasferimento dell’energia dal sistema fotovoltaico all’utenza avviene attraverso ulteriori dispositivi necessari a trasformare la corrente continua prodotta in corrente alterna, adattandola alle esigenze dell’utenza finale.

La cella

La cella fotovoltaica è il componente elementare del sistema ed è costituita da una sottile “fetta” di un materiale semiconduttore, quasi sempre silicio, (l’elemento più diffuso in natura dopo l’ossigeno) di spessore pari a circa 0,3mm. Può essere rotonda o quadrata e può avere una superficie compresa tra i 100 e i 225cm2.

Il silicio che costituisce la fetta viene “drogato” mediante l’inserimento su una “faccia” di atomi di boro (drogaggio p) e sull’altra faccia con piccole quantità di fosforo (drogaggio n).

Nella zona di contatto tra i due strati a diverso drogaggio si determina un campo elettrico; quando la cella è esposta alla luce, per effetto fotovoltaico, si generano delle cariche elettriche e, se le due facce della cella sono collegate ad un utilizzatore, si avrà un flusso di elettroni sotto forma di corrente elettrica continua.

Attualmente il silicio, mono e policristallino, impiegato nella costruzione delle celle è lo stesso utilizzato dall’industria elettronica, che richiede materiali molto puri e quindi costosi.

Tra i due tipi il silicio policristallino è il meno costoso, ma ha rendimenti leggermente inferiori del monocristallino.

Per ridurre il costo della cella sono in studio nuove tecnologie che utilizzano il silicio amorfo e altri materiali policristallini, quali il Seleniuro di Indio e Rame e il Tellurio di Cadmio.

Una cella fotovoltaica di dimensioni 10x10 cm si comporta come una minuscola batteria, e nelle condizioni di soleggiamento tipiche dell’Italia (1kW/m2), alla temperatura di 25°C fornisce una corrente di 3A, con una tensione di 0,5V e una potenza pari a 1,5-1,7Watt di picco. l’energia elettrica prodotta sarà, ovviamente, proporzionale all’energia solare incidente, che come sappiamo varia nel corso della giornata, al variare della stagioni, e al variare delle condizioni atmosferiche, ecc.

SISTEMA DI CONDIZIONAMENTO E CONTROLLO DELLA POTENZA

È costituito da un inverter, che trasforma la corrente continua prodotta dai moduli in corrente alternata; da un trasformatore e da un sistema di rifasamento e filtraggio che garantisce la qualità della potenza in uscita. Trasformatore e sistema di filtraggio sono normalmente inseriti all’interno dell’inverter.
È chiaro che il generatore fotovoltaico funziona solo in presenza di luce solare.
l’alternanza giorno/notte, il ciclo delle stagioni, le variazioni delle condizioni meteorologiche fanno sì che la quantità di energia elettrica prodotta da un sistema fotovoltaico non sia costante né al variare delle ore del giorno, né ne al variare dei mesi dell’anno. Ciò significa che, nel caso in cui si voglia dare la completa autonomia all’utenza, occorrerà o collegare gli impianti alla rete elettrica di distribuzione nazionale o utilizzare dei sistemi di accumulo dell’energia elettrica che la rendano disponibile nelle ore di soleggiamento insufficiente.

LE APPLICAZIONI DEGLI IMPIANTI FOTOVOLTAICI

Gli impianti fotovoltaici sono dunque sistemi che convertono l’energia solare direttamente in energia elettrica.

Le potenze generate da questi dispositivi variano da pochi a diverse decine di Watt, a seconda delle dimensioni e delle tecnologie adottate.
Secondo il tipo di applicazione a cui l’impianto è destinato, le condizioni di installazione, le scelte impiantistiche, il grado di integrazione nella struttura edilizia con cui si interfaccia, si distinguono varie tipologie di impianto.

CASA ENERGETICAMENTE AUTOSUFFICIENTE PENSILINA FOTOVOLTAICA E LAMPIONE ALIMENTATO CON ENERGIA FOTOVOLTAICA

In Italia sono stati realizzati alcuni impianti fotovoltaici di elettrificazione rurale e montana soprattutto nel Sud, nelle isole e sull’arco alpino.

Attualmente le applicazioni più diffuse servono ad alimentare:

• apparecchiature per il pompaggio dell’acqua, soprattutto in agricoltura;
• ripetitori radio, stazioni di rilevamento e trasmissione dati (meteorologici e sismici), apparecchi telefonici;
• apparecchi di refrigerazione, specie per il trasporto medicinali;

• sistemi di illuminazione.

Questi impianti risultano tecnicamente ed economicamente vantaggiosi nei casi in cui la rete elettrica è assente o difficilmente raggiungibile. Infatti, spesso sostituiscono i gruppi elettrogeni.

IMPIANTI ISOLATI (STAND-ALONE)

Sono impianti non collegati alla rete elettrica e sono costituiti dai moduli fotovoltaici, dal regolatore di carica e da un sistema di batterie che garantisce l’erogazione di corrente anche nelle ore di minore illuminazione o di buio. La corrente generata dall’impianto fotovoltaico è una corrente continua.

Se l’utenza è costituita da apparecchiature che prevedono una alimentazione in corrente alternata è necessario anche un convertitore, l’inverter.

IMPIANTI COLLEGATI ALLA RETE (GRID-CONNECTED)

Sono impianti stabilmente collegati alla rete elettrica. Nelle ore in cui il generatore fotovoltaico non è in grado di produrre l’energia necessaria a coprire la domanda di elettricità, la rete fornisce l’energia richiesta. Viceversa, se il sistema fotovoltaico produce energia elettrica in più, il surplus può essere trasferito alla rete o accumulato. Un inverter trasforma la corrente continua prodotta dal sistema fotovoltaico in corrente alternata.

I sistemi connessi alla rete, ovviamente, non hanno bisogno di batterie perché la rete di distribuzione sopperisce alla fornitura di energia elettrica nei momenti di indisponibilità della radiazione solare.

Utenze
• impianti pubblicitari, ecc.
• segnaletica sulle strade, nei porti e negli aeroporti;
• alimentazione dei servizi nei camper.

Rete a bassa tensione

Anche se sono stati realizzati impianti centralizzati di produzione di energia elettrica fotovoltaica di grande potenza (multimegawatt), come quello dell’ENEA a Monte Aquilone (Foggia), attualmente si vanno sempre più diffondendo, grazie anche agli incentivi pubblici, piccoli sistemi distribuiti sul territorio con potenza non superiore a 20kWp. Gli impianti più diffusi hanno potenze tra 1,5 e 3kWp. Questi impianti vengono installati sui tetti o sulle facciate degli edifici, e contribuiscono a soddisfare la domanda di energia elettrica degli utenti.

GLI IMPIANTI INTEGRATI NEGLI EDIFICI

Essi costituiscono una delle più promettenti applicazioni del fotovoltaico. Si tratta di sistemi che vengono installati su costruzioni civili o industriali per essere collegati alla rete elettrica di distribuzione in bassa tensione.

La corrente continua generata istantaneamente dai moduli viene trasformata in corrente alternata e immessa nella rete interna dell’edificio utilizzatore, in parallelo alla rete di distribuzione pubblica.

In questo modo può essere, a seconda dei casi, consumata dall’utenza locale oppure ceduta, per la quota eccedente al fabbisogno, alla rete stessa.

I moduli fotovoltaici possono essere utilizzati come elementi di rivestimento degli edifici anche in sostituzione di componenti tradizionali.

A questo scopo l’industria fotovoltaica e quella del settore edile hanno messo a punto moduli architettonici integrabili nella struttura dell’edificio che trovano sempre maggiore applicazione nelle facciate e nelle coperture delle costruzioni.
La possibilità di integrare i moduli fotovoltaici nelle architetture e di trasformarli in componenti edili ha notevolmente ampliato gli orizzonti di applicazione del fotovoltaico e quelli dell’architettura che sfrutta questa forma di energia.

Un impiego di particolare interesse è rappresentato, infatti, dalle “facciate fotovoltaiche”.

I moduli per facciata sono composti da due lastre di vetro fra le quali sono interposte celle di silicio tenute insieme da fogli di resina. La dimensione di questi moduli può variare da 50x50cm a 210x350cm.

Inoltre, dal momento che tanto più bassa è la temperatura dei moduli fotovoltaici durante l’irraggiamento solare, maggiore è il loro rendimento energetico, le facciate fotovoltaiche trovano la loro migliore applicazione nelle zone “fredde” delle facciate (parapetti, corpi ascensore e altre superfici opache) sempre che siano orientati verso Sud-Est o Sud-Ovest e non si trovino in una zona ombreggiata.

l’impiego di tali moduli fotovoltaici può essere di grande utilità come schermi frangisole o per ombreggiare ampie zone nel caso delle coperture.

ENERGIA PRODOTTA DA UN IMPIANTO FOTOVOLTAICO

La quantità di energia prodotta da un generatore fotovoltaico varia nel corso dell’anno e dipende da una serie di fattori come la latitudine e l’altitudine del sito, l’orientamento e l’inclinazione della superficie dei moduli, e le caratteristiche di assorbimento e riflessività del territorio circostante.

A titolo indicativo alle latitudini dell’Italia centro-meridionale un metro quadrato di moduli può produrre in media 0,3-0,4kWh al giorno nel periodo invernale, e 0,6-0,8kWh in quello estivo.

DOVE E COME POSIZIONARE UN IMPIANTO FOTOVOLTAICO

Per ottenere la massima produzione di energia, in fase di progettazione di un impianto, bisogna studiare l’irraggiamento e l’insolazione del sito. Questo consente di decidere l’inclinazione e l’orientamento della superficie del dispositivo captante.

Per la latitudine del nostro Paese, la posizione ottimale della superficie del pannello risulta quella a copertura dell’edificio con esposizione a Sud e con un angolo di inclinazione di circa 20-30° rispetto al piano orizzontale. Ma anche la disposizione sul piano verticale del palazzo, cioè in facciata, riesce a conseguire ottimi risultati. l’importante è, naturalmente, posizionare il pannello in modo da evitare zone d’ombra.
La dimensione dell’impianto sarà funzione dell’energia richiesta. Questa determinerà, la potenza da installare, il numero di moduli necessari, il costo del sistema e il costo del kilowattora elettrico generato. Per confrontare i costi tra l’energia prodotta tra la fonte solare e quella tradizionale, bisognerebbe parlare di “valore” dell’energia piuttosto che di costo: il kWh prodotto con la fonte fotovoltaica non ha la stessa qualità di quello prodotto con le fonti convenzionali. La produzione di elettricità da impianti termoelettrici tradizionali, infatti, è gravata da un costo nascosto che viene pagato, spesso inconsapevolmente, dalla collettività. Bisogna infatti tener conto dei danni sociali e ambientali che le forme tradizionali di generazione energetica comportano, che sono difficilmente monetizzabili, ma che meritano una più adeguata considerazione.
I costi di un impianto fotovoltaico sono anche fortemente dipendenti dal tipo di applicazione e di installazione, e sono in continua evoluzione.

Ad esempio, il costo di realizzazione, chiavi in mano, di un impianto fotovoltaico connesso alla rete può essere stimato nell’ordine dei 7.000€/kWp, dove il valore superiore si riferisce ad impianti di piccola taglia e quello inferiore a quelli di taglia elevata.

IMPIANTO STAND-ALONE ITALIA CENTRALE COSTI E PRESTAZIONI

Un kWp fotovoltaico installato ha un costo di circa 10.000€, IVA esclusa.

Un kWh di energia elettrica prodotto da un impianto di questo tipo, in una località dell’Italia centrale, costa circa 0,6€, IVA esclusa.

Tale valore si abbassa sensibilmente se si considerano eventuali forme di incentivazione IMPIANTO GRID-CONNECTED ITALIA CENTRALE COSTI E PRESTAZIONI

Un kWp fotovoltaico installato ha un costo di circa 7.000€, IVA esclusa.
Un kWh di energia elettrica prodotto da un impianto di questo tipo, in una località dell’Italia centrale, costa circa 0,34€, IVA esclusa.

Tale valore si abbassa sensibilmente se si considerano eventuali forme di incentivazione.

FACCIAMO UN ESEMPIO

Prendiamo in considerazione una famiglia di 4 persone che vive nell’Italia centrale.

Il consumo elettrico medio annuo è di circa 2.500kWh. Per far fronte a tale domanda di energia si può utilizzare un impianto fotovoltaico con moduli in silicio policristallino che sono i più economici.

CHE DIMENSIONI DOVRÀ AVERE l’IMPIANTO?

Tenendo conto che, come si può notare dalla tabella precedente, un metro quadrato di moduli in silicio policristallino installato in Italia centrale produce 160kWh all’anno, bisognerà installare una superficie di 16 metri quadrati di moduli.

Considerando che ogni modulo occupa 0,5m2, saranno dunque necessari 32 moduli.

Ai costi di mercato attuali, il costo di questo impianto può essere stimato in circa 15.000€, IVA esclusa.

QUANTO COSTA IL CHILOWATTORA?

Per questo impianto il costo del chilowattora è di circa 0,34€, IVA esclusa. Questo valore è calcolato tenendo conto del costo dell’investimento, del costo di manutenzione annuo dell’impianto, del numero di chilowattora prodotti in un anno e della durata dell’impianto, di solito considerata superiore ai 30 anni.

Il costo di produzione dell’energia elettrica prodotta con un impianto fotovoltaico è quindi ancora troppo elevato per competere con quello da fonti fossili, che è di circa 0,18€ a kWh.

Però, installare un impianto fotovoltaico diventa economicamente conveniente quando intervengono forme di incentivazione finanziaria da parte dello Stato.

Per riassumere possiamo dire che l’energia fotovoltaica richiede un forte impegno di capitale iniziale e basse spese di mantenimento: si può dire che “è come se si comprasse in anticipo l’energia che verrà consumata nei prossimi anni”.

Una volta il recuperato l’investimento, per il resto della vita utile dell’impianto si dispone di energia praticamente a costo zero”. Quindi, dotare la propria casa, azienda, ufficio od altro di un impianto di questo genere, usufruendo dei contributi pubblici, può rivelarsi un buon investimento.
I BENEFICI AMBIENTALI

l’energia elettrica prodotta con il fotovoltaico ha un costo nullo per combustibile: per ogni kWh prodotto si risparmiano circa 250 grammi di olio combustibile e si evita l’emissione di circa 700 grammi di CO2, nonché di altri gas responsabili dell’effetto serra, con un sicuro vantaggio economico e soprattutto ambientale per la collettività.

Si può valutare in 30 anni la vita utile di un impianto (ma molto probabilmente essi dureranno molto di più); il che significa che un piccolo impianto da 1,5kWp, in grado di coprire i due terzi del fabbisogno annuo di energia elettrica di una famiglia media italiana (2.500kWh), produrrà, nell’arco della sua vita efficace, quasi 60.000kWh, con un risparmio di circa 14 tonnellate di combustibili fossili, evitando l’emissione di circa 40 tonnellate di CO2.

ALCUNE RACCOMANDAZIONI

Realizzare un impianto fotovoltaico non è troppo complesso, ma è un lavoro che va affidato a degli specialisti. È utile comunque conoscere alcune prescrizioni e raccomandazioni a cui attenersi nelle fasi di progettazione e poi di messa in opera.

Le strutture di supporto devono essere realizzate in modo da durare almeno quanto l’impianto, cioè 25-30 anni, e devono essere montate in modo da permettere un facile accesso ai moduli per la sostituzione e la pulizia, e alle scatole di giunzione elettrica, per l’ispezione e la manutenzione.

Esse devono, altresì, garantire la resistenza alla corrosione ed al vento.

I generatori fotovoltaici collocati sui tetti e sulle coperture non devono interferire con la impermeabilizzazione e la coibentazione delle superfici e in alcuni casi possono richiedere la creazione di passerelle fisse o mobili.

Fra i moduli è necessario interporre uno spazio vuoto, da un minimo di 5mm, per i generatori posti parallelamente e a poca distanza da altre superfici fisse, fino a 5cm, per i generatori sui quali la pressione del vento può raggiungere valori elevati.

In caso di montaggio dei moduli su tetti o su facciate, è indispensabile che fra i moduli e la superficie rimanga uno spazio (4-6cm) tale da assicurare una buona circolazione d’aria e quindi un buon raffreddamento della superficie del modulo.

I cavi elettrici e le scatole di derivazione e di interconnessione devono essere di dimensione idonea, rispondenti alle norme elettriche e assicurare il prescritto grado di isolamento, di protezione e di impermeabilizzazione richiesto.

LA MANUTENZIONE

La manutenzione di un impianto fotovoltaico è riconducibile a quella di un impianto elettrico.

Infatti i moduli, che rappresentano la parte attiva dell’impianto che converte la radiazione solare in energia elettrica sono costituiti da materiali praticamente inattaccabili dagli agenti atmosferici, come è dimostrato da esperienze in campo ed in laboratorio.

È consigliabile effettuare con cadenza annuale una ispezione visiva, volta a verificare l’integrità del vetro che incapsula le celle fotovoltaiche costituenti il modulo.

Per la parte elettrica è necessario effettuare una verifica, con cadenza annuale, dell’isolamento dell’impianto verso terra, della continuità elettrica dei circuiti di stringa e del corretto funzionamento dell’inverter.

GLI INCENTIVI STATALI

Già da qualche anno il governo italiano promuove la diffusione della tecnologia fotovoltaica attraverso un sistema di incentivi finanziari.

Ricordiamo il Programma Tetti Fotovoltaici (2001-2003) che ha erogato contributi in conto capitale per la costruzione di impianti fotovoltaici di piccola potenza (da 1 a 50kWp) collegati alla rete elettrica.

Dal 19 settembre 2005 è in vigore il Conto Energia che prevede non più un contributo per la costruzione dell’impianto fotovoltaico ma la remunerazione dei kWh prodotti ad un prezzo superiore a quello di mercato per un periodo di 20 anni. Quindi, chi autoproduce energia con impianti fotovoltaici non solo non dovrà più pagare le bollette all’azienda locale distributrice (salvo le spese fisse pari a circa 30€ l’anno) ma incasserà addirittura, per ben 20 anni, un contributo proporzionale alla quantità di energia prodotta.

Il Conto Energia

Il Conto Energia recepisce la Direttiva Europea 2001/77/CE per le fonti rinnovabili. La delibera fissa al 2010 l’obiettivo di una generazione elettrica da fonti rinnovabili pari al 22% del consumo interno lordo.

Il Conto Energia è in vigore già da qualche anno in Germania, Spagna e Austria dove ha portato ad un sviluppo del mercato fotovoltaico sopra ogni aspettativa. Lo stesso si spera accadrà in Italia.
In Italia il Conto Energia è stato elaborato dal Ministero delle Attività Produttive di concerto con il Ministero dell’Ambiente con il parere favorevole della Conferenza Unificata.

È stato attivato con il DM del 28 luglio 2005 e con la delibera 188/05 dell’Autorità per l’Energia Elettrica e il Gas che ha nominato il Gestore del Sistema Elettrico quale soggetto attuatore ed erogatore degli incentivi. Il decreto è stato poi modificato e integrato con il DM del 6 febbraio 2006 e con la delibera 40/06 dell’Autorità per l’Energia Elettrica e il Gas.

PRODUZIONE DI ELETTRICITÀ DA FOTOVOLTAICO NEI PRINCIPALI STATI EUROPEI (APRILE 2005) (MW)

Germania 794.000
Paesi Bassi 47.740
Spagna 38.696
Italia 30.300
Lussemburgo 26.000
Francia 20.119
Austria 19.833
Regno unito 7.803
Portogallo 2.275
Totale 1,004.063

COSA È IL CONTO ENERGIA?

Il Conto Energia un particolare incentivo per l’installazione degli impianti fotovoltaici grid connected (connessi alla rete) da 1kWp a 1MWp. Prevede la remunerazione per 20 anni, da parte del Gestore della Rete di trasmissione Nazionale (GRTN), dei kWh prodotti dall’impianto fotovoltaico ad un prezzo superiore a quello di mercato.

Il meccanismo italiano del Conto Energia può essere considerato una sorta di “sistema di incentivazione misto o ibrido”. Infatti, l’energia elettrica prodotta dall’impianto fotovoltaico beneficerà della tariffa incentivante sia se autoconsumata sia se immessa nella rete pubblica locale.

CHI PUÒ BENEFICIARE DELLA TARIFFA INCENTIVANTE?

Possono presentare domanda le persone fisiche e giuridiche quindi privati, aziende, enti pubblici e condomini.

Le tariffe incentivanti saranno riconosciute fino a quando la potenza cumulativa di tutti gli impianti che le ottengono raggiungerà la quota di 500MW, 360MW per gli impianti fino a 50kWp e 140MW per gli impianti da 50kWp a 1MWp.

È fissato anche un limite totale annuo che dal 2006 al 2012 sarà di 85MW, 60MW per impianti con potenza inferiore a 50kW e 25MW per impianti con potenza superiore a 50kW.

QUANTO È l’INCENTIVO E PER QUANTO TEMPO?

Le tariffe per kWh sono definite in base alla taglia dell’impianto e verranno erogate per 20 anni.

Impianti fino ai 20kW di potenza

Gli impianti con potenza non superiore a 20kW possono optare per il servizio di scambio sul posto o per la cessione in rete dell’energia prodotta.

Nel primo caso la tariffa incentivante è pagata solo per l’energia prodotta e consumata in loco (pari a 0,445€ per kWh), mentre i kWh prodotti in eccesso rispetto ai consumi, entrambi riferiti a fine anno, non saranno retribuiti, ma sarà possibile accumularli per un successivo autoconsumo.

Nel secondo caso viene incentivata tutta la produzione FV, anche se superiore ai consumi, ad una tariffa di 0,46€ per kWh e per tutti i kWh ceduti alla rete verrà pagata una tariffa aggiuntiva di 0,095€ per kWh.

Impianti tra 20kW e 50kW di potenza

Oltre all’incentivo ventennale proveniente dalla produzione moltiplicato per la tariffa incentivante (0,46€/kWh), si potranno aggiungere i benefici derivanti dalla vendita delle eccedenze alla rete locale con una tariffa aggiuntiva di 0,095€/kWh (fino a 500mila kWh/anno ceduti alla rete).

Impianti tra 50kW e 1.000kW di potenza

In questo caso l’incentivo ventennale proveniente dalla produzione è moltiplicato per una tariffa incentivante che dovrà essere proposta dal richiedente e il cui valore massimo è stabilito in 0,49€/kWh; questa tariffa è sottoposta ad un meccanismo di gara. Anche per queste taglie di impianto si potrà aggiungere il ricavato derivante dalla vendita delle eccedenze alla rete locale con una tariffa aggiuntiva di 0,095€/kWh fino a 500mila kWh/anno ceduti alla rete, di 0,080€/kWh da 500mila a 1 milione di kWh/anno e di 0,070€/kWh da 1 milione a 2 milioni di kWh/anno.

Per le domande pervenute entro il 2006 la tariffa iniziale comunicata dal GRTN rimane costante per tutti i 20 anni.

Mentre dal 2007 la tariffa decrescerà del 5% ogni anno ma avrà la rivalutazione dell’indice ISTAT.

TARIFFE INCENTIVANTI, FISSE PER 20 ANNI, PER LE DOMANDE CONSEGNATE NEGLI ANNI 2005-…

Impianti da 1 a 20kW (con scambio sul posto) 0,445€/kWh 0,460€/kWh + 0,095€/kWh ceduto alla rete

Impianti da 1 a 20kW (senza scambio sul posto) 0,460€/kWh + 0,095€/kWh ceduto alla rete (fino a 500.000kWh/anno)

Impianti da 20kW a 50kW 0,490€/kWh (valore massimo della tariffa soggetto a gara)

Impianti da 50kW a 1.000kW + 0,095€/kWh fino a 500.000kWh/anno ceduti alla rete + 0,080€/kWh da 500.000 a 1.000.000 di kWh/anno ceduti alla rete + 0,070€/kWh da 1.000 a 2.000.000 di kWh/anno

La tariffa incentivante sarà aumentata del 10% rispetto a quella stabilita se gli impianti sono integrati negli edifici, sia di nuova costruzione o oggetto di ristrutturazione. Queste tariffe rimangono costanti fino al 2012 incluso e non subiscono la variazione Istat.

l’aggiornamento delle tariffe incentivanti sarà a cura del GRTN e potranno essere consultate sul sito internet www.grtn.it

Ma se chi realizza l’impianto beneficia della detrazione fiscale IRPEF del 41% (Iva inclusa), le tariffe incentivanti verranno ridotte del 30%.

Se gli impianti hanno ricevuto incentivi pubblici in conto capitale superiori al 20% del costo di investimento o se usufruiscono dei certificati verdi, le tariffe incentivanti non verranno erogate.

COME E QUANDO PRESENTARE LA DOMANDA?

Le domande dovranno essere inviate direttamente al GRTN secondo lo schema predisposto dall’Autorità nell’allegato “A” della delibera 40/06 nei giorni dell’ultimo mese di ciascuno trimestre, 1-31 marzo, 1-30 giugno, 1-30 settembre, 1-31 dicembre di ogni anno.

La domanda dovrà contenere il progetto preliminare dell’impianto fotovoltaico comprendente la scheda tecnica firmata da un tecnico abilitato o da un professionista iscritto agli albi professionali.

Il GRTN dovrà quindi valutare l’ammissibilità tecnica delle richieste pervenute e entro 90 giorni dalla presentazione delle domande informare i richiedenti in merito all’accettazione della domanda inoltrata.

Per gli impianti fino a 50kWp verrà dato l’incentivo in base alla tempistica delle domande, mentre per quelli superiori ai 50kWp dipenderà dall’incentivo richiesto, più basso è l’incentivo maggiori saranno le possibilità di riceverlo.

COME VENGONO PAGATI GLI INCENTIVI?

Il pagamento delle “tariffe incentivanti” in Conto Energia è erogato dal GRTN su base mensile a partire dal mese successivo a quello in cui l’ammontare cumulato di detto corrispettivo supera il valore di 250€ per impianti fino a 20kW e di 500€ per impianti con potenza superiore ai 20kW.

CHI PAGA IL CONTO ENERGIA?

I costi dell’incentivazione degli impianti fotovoltaici non sono a carico dello Stato, ma saranno coperti con un prelievo sulle tariffe elettriche di tutti i consumatori (componente tariffaria A3).

A regime l’aggravio sulla bolletta elettrica, per la produzione di impianti FV pari a 1000MW di potenza, si stima sia di circa 0,0017€ per ogni kWh, pari a circa 4€ in più all’anno per famiglia.

ESEMPIO DI CALCOLO SEMPLIFICATO DI COSTO E TEMPO DI RIENTRO ECONOMICO PER IL CONTO ENERGIA CON SERVIZIO DI SCAMBIO SUL POSTO

Consideriamo un impianto FV residenziale da 2kWp (16m2 di superficie) installato in Italia centrale, il cui proprietario consuma 3.000kWh/anno

Il costo dell’impianto chiavi in mano è di circa 14.000€ + IVA 10% = 15.400€

Produzione dell’impianto = 2.600kWh all’anno

Guadagno dalla vendita dei kWh prodotti = 2.600kWh x 0,445€ = 1.157€ all’anno

Costo evitato dell’energia consumata, pari ai kWh prodotti dall’impianto per il costo medio del kWh = 2.600 x 0,18€ = 468€ all’anno

In questo caso verranno pagati alla società elettrica solo 400kWh (pari alla differenza tra l’energia consumata e l’energia prodotta dall’impianto) = 400 x 0,18 = 72€ all’anno più 31€ di spese fisse

Vantaggio economico totale annuale = 1.157 + 468 - 72 - 31 = 1.522€ all’anno

Tempo di ritorno dell’investimento = 15.400 : 1.522 = ~ 10 anni

Considerando che la vita media di un impianto fotovoltaico è superiore ai 30 anni, e che dopo 10 anni si rientra dell’investimento, avremo vantaggi economici per oltre 20 anni.


Fotovoltaico a Concentrazione

Il progetto PhoCUS (Photovoltaic Concentrators to Utility Scale) ha lo scopo di dimostrare la fattibilità tecnica del fotovoltaico a concentrazione e la sua maggiore potenzialità rispetto al fotovoltaico convenzionale (piano), ai fini del conseguimento della competitività economica con le altre fonti di energia.

A livello internazionale il fotovoltaico a concentrazione è considerato un’interessante opzione per ridurre in maniera significativa l’incidenza dei costi del componente fotovoltaico (il costo di investimento di un sistema fotovoltaico piano, che si aggira intorno ai 7 €/W, è per il 50% dovuto al componente fotovoltaico e per il 30-35% alle sole celle solari), che viene sostituito con materiali semi-convenzionali meno costosi.

Negli impianti fotovoltaici a concentrazione la radiazione solare non va ad incidere direttamente sulle celle ma viene concentrata da opportune lenti; è come se le celle fossero investite non dalla radiazione proveniente da un unico sole ma da 100, 200 o più soli (in funzione del tipo di lente utilizzata) con una proporzionale riduzione dell’area effettiva delle celle solari da utilizzare.

La diffusione di tale applicazione, parallelamente allo sviluppo di componenti non fotovoltaici a basso costo, fa intravedere la possibilità di raggiungere, nel medio—lungo termine, un costo di sistema inferiore a 2 €/W.

Fasi

Nell’ambito del progetto PhoCUS sono previste attività sia di Ricerca & Sviluppo sia di dimostrazione e sperimentazione sul campo.
Le prime, da svolgere presso i laboratori dei Centri di Ricerca di Portici e Casaccia, sono relative ai principali componenti dell’impianto, quali la cella, il dispositivo ottico, il modulo, la struttura ad inseguimento ed il sistema di condizionamento della potenza.
Le seconde prevedono l’installazione di impianti sperimentali presso il Centro Ricerche Portici e la realizzazione di un impianto pilota da 25 kW nell’Area Sperimentale Monte Aquilone presso Manfredonia.
Le attività di R&S e quelle di dimostrazione e sperimentazione sul campo sono state avviate in parallelo in modo tale che, con la progettazione e realizzazione dei componenti prototipali dell’impianto pilota, vengano individuate le azioni specifiche finalizzate all’ottimizzazione dei singoli componenti.
Lo sviluppo e la messa a punto delle tecnologie relative ai principali componenti, quali i concentratori ottici, il modulo, l’inseguitore solare, fino alla realizzazione dei prototipi da utilizzare nell’impianto pilota, saranno oggetto di specifiche collaborazioni con operatori nazionali.
Si intende progettare e realizzare una unità standard da 5 kW, che possa costituire un sistema autonomo o un elemento modulare di un impianto di maggiori dimensioni. l’impianto pilota sarà costituito da 5 unità base da 5 kW.
l’installazione dell’impianto avverrà per fasi successive, in modo che possano essere apportati tutti i miglioramenti che, sulla base delle prime prove sperimentali, risulteranno necessari.
La messa in funzione della prima unità da 5 kW nell’Area Sperimentale Monte Aquilone è prevista entro il 2003; il completamento dell’impianto (con l’installazione degli ultimi 10 kW) è previsto entro il 2004??????.

Aspetti tecnologici e ricadute industriali

La progettazione di un sistema fotovoltaico a concentrazione è più complessa rispetto al fotovoltaico piano, soprattutto se si vuole assicurare un alto grado di affidabilità, mantenere bassa l’incidenza della manutenzione e cogliere tutti i vantaggi tecnici ed operativi legati alla concentrazione della radiazione solare. In particolare: il modulo presenta una maggiore complessità, dovuta alla numerosità dei componenti da assemblare; risulta necessario far uso di un sistema di supporto dei moduli capace di "inseguire" il sole durante la giornata in modo da massimizzare la radiazione incidente; la struttura di cella deve essere più sofisticata per poter ottenere alti valori di efficienza in presenza di una maggiore radiazione solare incidente.
Si riportano nel seguito alcune delle principali caratteristiche del sistema in fase di progetto.
Ogni unità da 5 kW sarà costituita da un generatore fotovoltaico formato da 24 moduli per una superficie complessiva dell’ordine dei 32 m² installato su una singola struttura ad inseguimento (eliostato).
Il sistema di condizionamento della potenza della singola unità si basa sull’uso di inverter di tipo multistringa da connettere ad una rete in bassa tensione.
Il modulo fotovoltaico avrà dimensioni dell’ordine di 1x1,3 m2 ed un’altezza di 20-25 cm. l’efficienza nominale sarà dipendente dall’efficienza delle celle che saranno utilizzate. Nel caso di celle con efficienza dell’ordine del 23,5% a 200 soli, una buona progettazione del componente potrà assicurare una efficienza di modulo del 20%. Il dispositivo ottico, che sarà integrato nei moduli (uno per ogni cella) sarà un concentratore rifrattivo prismatico, sviluppato da ENEA ed in corso di brevetto. Esso garantirà sulla cella, di dimensioni dell’ordine di 1 cm², un fattore di concentrazione di 200.
La struttura ad inseguimento sui due assi (alt-azimutale) dovrà coniugare bassi costi con soluzioni progettuali semplici che nello stesso tempo garantiscano affidabilità e correttezza di funzionamento. Ciò richiede una particolare attenzione nel sistema di movimentazione e nel relativo sistema di controllo.
Il prodotto, in termini di unità standard da 5 kW o di impianto di maggiore potenza, è indirizzato al mercato della green electricity (energia elettrica da fonti rinnovabili), a livello di generazione sia diffusa (piccoli impianti, 5÷20 kW) che centralizzata (impianti di potenza).
Infatti il fotovoltaico a concentrazione, per le sue caratteristiche operative, consente di ottenere un profilo di produzione costante ed un maggiore fattore di utilizzo annuo (capacity factor).
Il coinvolgimento di un sistema industriale già consolidato per lo sviluppo dei componenti di un impianto fotovoltaico a concentrazione potrà validamente contribuire alla diffusione di tale tipo di applicazione.


Biomasse per produzione di energia e nuovi vettori energetici

Obiettivi

Il progetto integrato, che vede coinvolti, oltre all’ENEA, diversi partner industriali (Ansaldo, Fiat, Peugeot, Renault), università italiane e straniere (l’Aquila, Vienna, Londra, Belfast, Patrasso) ed enti di ricerca europei (VTT, ECN), si propone di:

• sviluppare processi e tecnologie per la produzione di biocarburanti liquidi (etanolo) da destinare alla produzione di H2 per autotrazione on board;
• sviluppare processi e tecnologie per la produzione di idrogeno mediante reforming catalitico di oli di pirolisi;
• sviluppare, mettere a punto e caratterizzare un processo di gassificazione a vapore di biomasse per la produzione di syngas ad alto contenuto di idrogeno per la generazione distribuita di energia elettrica mediante celle a combustibile;
• sviluppare e caratterizzare un processo di gassificazione con ossigeno per la produzione di un syngas ad alto contenuto di idrogeno da utilizzare in combustori di turbine a gas e in caldaie di post combustione;
• sviluppare processi e tecnologie di separazione dell’idrogeno dal gas prodotto da impianti di gassificazione che sfruttano differenti tecnologie.

Fasi

Le attività ENEA previste, svolte presso il Centro Ricerche Trisaia, sono così articolate:

• ottimizzazione dei processi di pretrattamento delle biomasse, dell’idrolisi enzimatica e della fermentazione per rendere competitiva la produzione di etanolo mediante processi biologici;
• upgrading degli oli ottenuti dalla pirolisi delle biomasse mediante stabilizzazione del prodotto;
• messa a punto di differenti tecnologie per la gassificazione da biomasse con produzione di syngas ad alto tenore di idrogeno;
• sviluppo di tecnologie innovative per il cleaning e l’arricchimento in idrogeno del syngas prodotto;
• sperimentazione dell’integrazione dell’impianto di gassificazione con cella combustibile a carbonati fusi (MCFC).

Aspetti tecnologici e ricadute industriali

l’utilizzo di biocarburanti liquidi, in alternativa ai derivati del petrolio, sarà praticabile solo se ne sarà aumentata la disponibilità ed abbassato il costo.

Una delle possibilità più concrete per ridurre i costi è l’utilizzo delle parti lignocellulosiche delle piante (fusto, foglie ecc.) che spesso costituiscono un residuo delle coltivazioni e processi industriali. l’etanolo prodotto può a sua volta essere utilizzato in motori a combustione interna, miscelato con la benzina o sotto forma di ETBE.

Un’altra possibilità consiste nella produzione on board di idrogeno e utilizzazione in celle a combustibile, eliminando quindi tutti i problemi connessi allo stoccaggio dell’idrogeno.

La produzione di biocombustibili gassosi rende molto più versatile l’impiego delle biomasse e permette di utilizzarle direttamente in motori a combustione interna e in cicli combinati, con sensibili incrementi dei rendimenti energetici di conversione e con possibilità di produrre direttamente energia elettrica per potenze e richieste specifiche.

In particolare la gassificazione con ossigeno e/o vapore permette di produrre gas ad alto tenore di idrogeno che si presta ad essere utilizzato anche in celle a combustibile e/o per la produzione diretta di idrogeno.


Trasferimento di calore e di massa in microscale

Obiettivi

Gli obiettivi del progetto, finanziato da UE, ASI ed ESA, si riferiscono alla caratterizzazione termofluidodinamica di microtubi, ovvero tubazioni caratterizzate da un diametro interno inferiore ai 500 micron per deflussi monofase, e 1-2 mm per deflussi bifase.

I microtubi utilizzano come fluidi di processo generalmente fluidi refrigeranti (quali FC-72 e R-134a) ed acqua. La caratterizzazione termofluidodinamica è relativa ad alcuni aspetti specifici, quali: caratteristiche idrauliche, scambio termico in monofase, ebollizione, visualizzazione del flow pattern, verifica delle correlazioni termofluidodinamiche note in geometrie tradizionali e sviluppo di eventuali nuove correlazioni e/o modelli.

I vantaggi offerti dall’utilizzo di questi componenti avanzati sono legati al miglioramento delle prestazioni termiche che consente una notevole riduzione (miniaturizzazione) delle apparecchiature di scambio termico, con conseguente riduzione dei volumi e dei pesi, quando questi parametri rappresentano una limitazione alla progettazione (come ad esempio nelle applicazioni spaziali), e della carica di fluido refrigerante, con conseguente riduzione dell’impatto ambientale, quando sia richiesto l’uso specifico di questi fluidi (come ad esempio nel settore del condizionamento ambientale e del raffreddamento dei componenti elettronici).

Fasi

• Prove sperimentali per la caratterizzazione termofluidodinamica di microtubi di acciaio inossidabile, silice fusa e di materiale polimerico, per l’utilizzo in microscambiatori compatti, mediante l’impianto sperimentale MISHTRA (MIcroScale Heat TRAnsfer), disponibile presso i laboratori dell’Istituto di Termofluidodinamica Energetica nel Centro Ricerche Casaccia.

• Caratterizzazione in condizioni di gravità ridotta, utilizzando l’impianto MICROBO (MICROgravity BOiling) nel contesto di campagne sperimentali su volo parabolico, previa caratterizzazione a terra per le condizioni di riferimento.

Aspetti tecnologici e ricadute industriali

La potenzialità offerta dall’utilizzo di microtubi in scambiatori di calore di dimensioni notevolmente ridotte rende questi componenti particolarmente attraenti per le applicazioni spaziali oltre che per numerose altre possibili applicazioni. l’applicazione spaziale introduce un’altra variabile che rende lo studio e la ricerca ulteriormente complicati, ovvero la condizione di microgravità, particolarmente importante nel caso in cui il trasferimento del calore avvenga con cambiamento di fase del fluido di processo.

l’impianto sperimentale MISHTRA, in funzione presso l’Istituto di Termofluidodinamica Energetica, è caratterizzato da componenti e strumentazione particolarmente avanzati al fine di consentire l’esecuzione di prove accurate e ripetibili. l’utilizzo di microgeometrie richiede una sperimentazione caratterizzata da una precisione ed un’accuratezza nelle misure particolarmente spinte, onde evitare di incorrere in errori inaccettabili che possono rendere aleatoria e casuale ogni conclusione derivante dai risultati di ricerca ottenuti. Particolarmente critiche risultano le misure di caduta di pressione e di temperatura locale, per la difficoltà di realizzare prese di pressione e di fissare termocoppie in tubi di diametro così piccolo, ed il riscaldamento del tubo, specie quando si usano tubi di silice fusa. Questi ultimi sono fondamentali per la visualizzazione interna dell’ebollizione, che viene effettuata con tecniche di microcinematografia ultrarapida.

l’impianto sperimentale MICROBO, in fase di realizzazione presso l’Istituto di Termofluidodinamica Energetica, sarà montato, per ottenere condizioni di microgravità ridotta (fino a 10-3 g), a bordo di un aereo Airbus A-300 che eseguirà voli parabolici, con campagne sperimentali di tre giorni per ogni semestre. La sperimentazione è decisamente challenging per le severe problematiche tecnologiche connesse con le microgeometrie, come già descritto per l’impianto MISHTRA, oltre alle condizioni al contorno di microgravità (vincoli ingombro, pesi, potenze termiche disponibili particolarmente spinti).

Le ricadute industriali riguardano il settore spaziale, i microscambiatori per il condizionamento ambientale, il raffreddamento di componenti elettronici di potenza, di computer portatili, di diodi laser ad alta potenza, la bioingegneria (applicazioni medicali).


Combustione dell’idrogeno e cicli energetici ad emissione zero

Obiettivi

Il progetto è rivolto principalmente allo studio ed allo sviluppo di processi innovativi di combustione di idrogeno per la generazione di energia in impianti turbogas e a ciclo combinato.
 
Verrà anche studiato l’impiego di syngas ricco di idrogeno, ottenuto da gassificazione di sottoprodotti di processi industriali, biomasse ecc., e verranno messi a punto cicli termodinamici innovativi con utilizzo di combustibili idrogenati - fino a H2 puro - in grado di garantire elevata efficienza di conversione energetica ed emissioni nulle.

Fasi

Le attività, condotte presso il Centro Ricerche Casaccia, si articolano nelle seguenti fasi:

• caratterizzazione di differenti tecnologie di combustione di H2 in turbina a gas, in configurazioni combustive del tipo a diffusione o premiscelata, diluita a stadi o senza fiamma (mild), con iniezione di acqua (in forma liquida o vapore), catalitica;
• sviluppo di modelli di simulazione sia di cinetica chimica, sia di termofluidodinamica, facendo ricorso anche a metodologie di calcolo ad alte prestazioni e a metodologie di Large Eddy Simulation (LES);
• sperimentazione delle possibili opzioni realizzative di combustione e individuazione delle migliori soluzioni;
• studio e sviluppo di cicli per la produzione di energia basati sull’impiego di idrogeno, con comburente aria oppure O2, caratterizzati da elevata efficienza di conversione energetica;
• realizzazione di un apparato sperimentale per lo studio dei cicli idrogeno-ossigeno di scala significativa (potenza termica 1-2 MW), per prove sperimentali di cicli innovativi per impianti di generazione di potenza;
• sviluppo di un simulatore s/w dedicato ad impianti operanti con cicli idrogeno-aria e idrogeno-ossigeno;
• campagne di prova per lo studio e l’ottimizzazione di cicli idrogeno/ossigeno, testando differenti opzioni di sistema e modalità operative, condotte presso il Centro Ricerche Casaccia e presso le installazioni sperimentali di Ansaldo Caldaie.

Verranno individuati e caratterizzati due cicli ottimali da prendere a riferimento per ulteriori studi ed attività di ricerca pre-competitiva, di medio e lungo periodo.

Aspetti tecnologici e ricadute industriali

I combustibili tradizionali per turbine a gas a ciclo aperto, e in cicli combinati, sono olio distillato leggero e gas naturale; utilizzando questi combustibili pregiati si riesce ad ottenere livelli di emissioni di ossidi di azoto molto bassi. Tuttavia, il rilascio in atmosfera di CO2 non è limitato dalla natura nobile di tali fonti energetiche che, anzi, costituisce una misura della completezza di reazione.

Il ricorso all’idrogeno, o a miscele gassose ad alto contenuto di idrogeno, permette di ridurre la quantità di ossidi di carbonio immessa in atmosfera.

Vi sono, tuttavia, importanti problemi di tipo tecnologico da superare per offrire sul mercato un prodotto affidabile, in grado di avere una vita media comparabile con i sistemi a combustibili tradizionali; per raggiungere tale scopo è fondamentale una fase di ricerca industriale.

Dal punto di vista tecnologico, l’orientamento attuale del mercato energetico è quello di individuare e sfruttare fonti cosiddette alternative, cioè che possono essere utilizzate in dispositivi già esistenti effettuando solo accettabili modifiche hardware.

Dal punto di vista dei cicli, quelli di Rankine e Brigton, legati alla soluzione di problemi tecnologici sui materiali, rappresentano lo stato dell’arte per quanto attiene lo sfruttamento di combustibili convenzionali.

l’introduzione di nuovi cicli, basati sulla iniezione di vapore in camera di combustione di una turbina a gas, avranno il vantaggio di:

• controllare la temperatura massima;
• aumentare la potenza del ciclo;
• sfruttare il riscaldamento diretto del vapore.

l’impiego dell’idrogeno e della tecnologia di combustione mild realizzeranno, inoltre, un forte abbattimento di inquinanti e di gas serra (CO2).

Dal punto di vista delle ricadute economiche, occorre osservare che il mercato dei turbogas e del repowering di impianti esistenti sta vivendo un periodo di grande espansione. La domanda è trainata da Stati Uniti e, a livello europeo, con le dovute proporzioni, da Italia e Spagna.

Tutti gli analisti concordano nel prevedere un mantenimento della domanda sugli attuali livelli nel medio e lungo periodo, attendendo una crescita di richieste in Europa, conseguentemente alle privatizzazioni in corso e future, ed un risveglio dell’Estremo Oriente.

Il progetto ENEA, rafforzando la capacità competitiva dell’industria nazionale, contribuirà ad assicurare i volumi di ordini previsti e, di conseguenza, la redditività complessiva.

Il progetto prevede la realizzazione di infrastrutture ad hoc — a partire da impianti esistenti — per l’effettuazione di campagne di prova fino a 10 bar.

I componenti principali del sistema sperimentale per lo studio dei cicli idrogeno—ossigeno da realizzare sono: un generatore di idrogeno e ossigeno per elettrolisi dell’acqua, una camera di combustione in scala ridotta operante a pressione atmosferica, una turbina a gas ed, in parallelo, sistemi valvolari di perdita di pressione e laminazione.

Il simulatore s/w sarà caratterizzato da un’elevata flessibililità relativamente alle possibili configurazioni d’impianto (cicli combinati, rigenerazione e recupero del calore da svariate sezioni ecc.), nonché alla capacità di simulare con estrema accuratezza i componenti critici; esso verrà messo a punto mediante i dati sperimentali e, allo stesso tempo, sarà di ausilio nella fase di ottimizzazione dei cicli più complessi.


Artificial Brother

Obiettivi

"Artificial Brother" è un progetto di ricerca congiunto tra ENEA e UCSD (University of California San Diego) che punta allo sviluppo di una metodologia fortemente innovativa per la gestione e ottimizzazione di processi complessi, come ad esempio quelli relativi ad impianti per la produzione di energia, ispirandosi alle capacità di adattamento delle specie biologiche.

L'idea chiave è quella di un nuovo approccio dell’Intelligenza Artificiale: anziché trasferire l’intelligenza di un esperto ad una macchina che controlla e guida il processo, si vuole fare in modo che la macchina sviluppi autonomamente intelligenza per risolvere lo specifico problema.

Fasi

Il progetto si articola in tre fasi.

La prima fase è stata quella della ideazione del progetto e dello studio di fattibilità. Questa fase, condotta insieme alla UCSD (University of California San Diego) dove risiede uno dei più importanti gruppi di ricerca sulla teoria del Caos, si è conclusa con successo e con una serie di riconoscimenti internazionali che hanno stimolato l’avvio della seconda fase: quella della dimostrazione industriale prototipale del sistema.

La seconda fase ha riguardato il lancio e l’approvazione di un progetto europeo, il progetto ECOTHERM (Evolutionary Control of Thermal Sustainable Processes), che mira alla ottimizzazione e al controllo in linea di un processo energetico, al fine di massimizzare l’efficienza energetica e contenere quanto più possibile le emissioni inquinanti. Il progetto si concluderà con la dimostrazione su due impianti a piena scala per la termovalorizzazione dei rifiuti solidi urbani (impianto AGEA di Ferrara ed impianto AVR di Rotterdam).

La terza fase consiste nella estensione della metodologia a diversi altri settori, dato il carattere assolutamente generale del principio di ottimizzazione evolutiva. In questo senso sono già stati realizzati un apparato per il controllo adattivo ottimale di un circuito elettronico (circuito di Chua), uno studio di fattibilità per la ottimizzazione di una rete internet (rete MPLS) e di una rete di distribuzione dell’energia (vapore), un sistema per la predizione dei flussi di traffico al fine di prevenire le emergenze (progetto MERLINO).

Aspetti tecnologici e ricadute industriali

Il cuore di questo approccio metodologico è "una società di individui artificiali" che vive in un computer e riceve continuamente informazioni dal processo (misure, regolazioni, prestazioni).

Queste informazioni vengono codificate nel patrimonio genetico di "esseri" che vengono immessi nella società artificiale.

Gli "individui" possono muoversi ed interagire in questo ambiente, competere, riprodursi ed evolvere attraverso mutazioni genetiche e meccanismi di intercomunicazione producendo nuove configurazioni di regolazione del processo.

Una sorta di meccanismo competitivo porta a selezionare progressivamente quegli individui che corrispondono a prestazioni ottimali (ad esempio: basso inquinamento, alta efficienza energetica).

In sostanza il sistema sviluppa adattamento che corrisponde alla ricerca di una soluzione ottimale del problema del controllo.

In virtù di questa capacità intrinseca la società artificiale non ha bisogno della definizione di modelli a priori o di strategie di controllo predefinite, ma è in grado di svilupparle in modo autonomo e progressivo.

All’inizio "artificial brother" deve apprendere le diverse condizioni operative assunte dal processo, ma progressivamente sviluppa una capacità di selezione delle migliori condizioni operative e diventa in grado di guidare esso stesso il processo adattandosi continuamente ai cambiamenti (invecchiamento, cambiamenti strutturali), modificando di volta in volta le strategie di controllo ed ottimizzazione.

Il metodo, che permette di ricostruire autonomamente la modellizzazione del fenomeno in studio, può consentire notevoli ricadute industriali:

• in primo luogo, relativamente alla definizione di una serie di prodotti commerciabili per gli impianti di termovalorizzazione di rifiuti solidi urbani (sistema FDD per la analisi dinamica delle fiamme, sistema di supervisione remotizzato, sistema di controllo);
• in secondo luogo, riguardo alla disponibilità di piattaforme software ingegnerizzate per affrontare le problematiche di ottimizzazione, diagnostica precoce, controllo, predizione, modellazione di processi complessi, quali regolazione del traffico, sistemi estremamente compatti (chips) per l’industria elettronica di massa e sistemi di smistamento per le reti energetiche ed informative.


Tetti fotovoltaici

OBIETTIVI

Le attività di ricerca e sviluppo della cosiddetta "generazione distribuita" per via fotovoltaica (FV) e la diffusione di questa tecnologia, costituiscono il cuore del "Programma Tetti Fotovoltaici".
 
Nato da una collaborazione tra ENEA e Ministero Ambiente e Tutela del Territorio che lo promuove e finanzia, persegue i seguenti obiettivi:

• diffusione della tecnologia fotovoltaica per applicazioni nella edilizia;
• indirizzamento del costo degli impianti (che si prevede decresca nel corso del programma, per raggiungere al suo termine gli stessi obiettivi di costo assunti a livello internazionale);
• instaurazione di un mercato certo e duraturo;
• rafforzamento della competitività dell’industria italiana;
• miglioramento della qualità delle installazioni;
• disseminazione delle conoscenze sul territorio nazionale e creazione di un clima favorevole di stimolo per gli investimenti di settore e per l’imprenditorialità locale.

FASI

l’ENEA, che è responsabile delle attività tecnico-scientifiche del programma, cura la predisposizione delle specifiche tecniche (criteri di progettazione, requisiti tecnici e funzionali degli impianti, valutazione dei progetti, modalità di verifica tecnico-funzionale degli impianti ecc.), effettua il monitoraggio e l’analisi del funzionamento di un campione di impianti, assicura il monitoraggio e il reporting dell’iniziativa e svolge campagne informative e attività formativa di settore.

l’ENEA svolge anche attività di ricerca, sviluppo e sperimentazione di componenti e sistemi fotovoltaici dedicati alla generazione distribuita in connessione alla rete elettrica.

Si prevede lo sviluppo di competenze e procedure di prova e l’allestimento di infrastrutture per:

• l’esecuzione di prove di moduli fotovoltaici, con particolare riferimento a quelli dedicati all’integrazione nelle strutture edilizie;
• la caratterizzazione di inverter, prioritariamente di piccola taglia, che dovrà includere anche l’esecuzione di prove di tipo, eventualmente fino a pervenire alla qualificazione di prodotto;
• la definizione delle modalità di connessione alla rete e la sperimentazione dei dispositivi di protezione, alla luce delle norme di riferimento in vigore, analizzando le problematiche e le possibili soluzioni anche sulla base delle esperienze maturate all’estero e delle caratteristiche dei componenti oggi in commercio;
• il monitoraggio e l’analisi delle prestazioni funzionali ed energetiche degli impianti fotovoltaici realizzati nell’ambito del programma strumentando opportunamente un campione significativo di tali impianti; l’analisi includerà sia la valutazione di produzione di impianti tipo (efficienze, analisi delle perdite ecc.), sia l’esame delle anomalie di guasto, dei guasti e dei problemi di esercizio degli stessi impianti.

Aspetti tecnologici e ricadute industriali

Il programma si propone di diffondere le applicazioni fotovoltaiche integrate negli edifici e connesse alla rete elettrica, al fine di creare condizioni favorevoli all’abbattimento dei costi e alla messa a punto da parte dell’industria nazionale di prodotti e componenti più affidabili.

Gli incentivi pubblici offerti potranno creare condizioni economicamente accettabili (soprattutto per la piccola utenza), tali da determinare, nell’arco di alcuni anni, la creazione di un vero mercato, sempre meno assistito dal contributo pubblico.

La più importante ricaduta del progetto riguarda, quindi, lo stimolo alla creazione in Italia di una domanda di fotovoltaico stabile e duratura nel tempo, costituendo così un sostegno al rafforzamento dell’industria nazionale del settore, che vede importanti sbocchi e prospettive di sviluppo anche nei mercati internazionali, in fortissima crescita negli ultimi anni.


Qualificazione pannelli solari

Servizi offerti

Il Laboratorio per la qualificazione di pannelli solari termici, ubicato presso il Centro Ricerche Trisaia e in fase di accreditamento presso il SINAL, esegue:

• prove su pannelli solari sia vetrati che scoperti secondo normative internazionali ed europee (ISO 9806 ed EN 12975) per quanto attiene:

- la determinazione di: curva di efficienza istantanea in condizioni stazionarie e resa energetica in condizioni transitorie; perdite di carico; costante di tempo; capacità termica; modificatore dell’angolo di incidenza;

- la qualificazione in senso stretto, mediante prove atte a verificarne le capacità di resistenza a condizioni di funzionamento anomale, agli agenti atmosferici ed all’invecchiamento.

• prove di caratterizzazione delle prestazioni termiche giornaliere ed annuali di sistemi solari per la produzione di acqua calda per uso igienico-sanitario, per varie tipologie climatiche e in diverse condizioni operative, secondo le metodologie riportate nelle normative ISO 9459—2 ed EN 12976—2.

Utenti

Produttori di pannelli e sistemi solari.

Attrezzature, laboratori e impianti

Il laboratorio è dotato di:

• impianti per la caratterizzazione termica dei collettori solari dotati di piattaforme ad inseguimento
• impianti per la caratterizzazione termica di sistemi solari per la produzione di acqua calda sanitaria
• un sistema di verifica della tenuta del collettore a pressioni elevate
• un sistema per la verifica della resistenza a brusche variazioni di temperatura a seguito di shock termici interni ed esterni
• una stazione di prova per la verifica degli effetti di invecchiamento del collettore dovuti all’assenza di fluido per lunghi periodi
• un impianto per la simulazione della caduta di pioggia sul collettore e il rilevamento delle eventuali infiltrazioni
• un impianto per la simulazione di carichi positivi (neve) e negativi (vento) sulla copertura del collettore e sul sistema di fissaggio
• un sistema di verifica della resistenza della copertura del collettore agli impatti (grandine).

Il laboratorio utilizza, inoltre, avanzati software di simulazione numerica ed elabora codici di calcolo relativi alla simulazione di impianti solari temici a basse temperature.
l’eolico, 40 mila MW installati in tutto il mondo. Una tecnologia già oggi conveniente dal punto di vista economico che però incontra forti resistenze dal fronte ambientalista per l’impatto visivo degli areogeneratori. La Danimarca ha uno dei sistemi all’avanguardia….
l’energia eolica è l’energia posseduta dal vento.

l’uomo ha impiegato la sua forza sin dall’antichità, per navigare e per muovere le pale dei mulini utilizzati per macinare i cereali, per spremere olive o per pompare l’acqua.

Solo da pochi decenni l’energia eolica viene impiegata per produrre elettricità. I moderni mulini a vento sono chiamati aerogeneratori.

GLI AEROGENERATORI

Esistono aerogeneratori diversi per forma e dimensione. Possono, infatti, avere una, due o tre pale di varie lunghezze: quelli con pale lunghe 50 centimetri vengono utilizzati come caricabatterie, quelli con pale lunghe circa 30 metri, sono in grado di erogare una potenza di 1,500 kW, riuscendo a soddisfare il fabbisogno elettrico giornaliero di circa 1,000 famiglie.

Il tipo più diffuso è l’aerogeneratore di taglia media, alto oltre 50 metri, con due o tre pale lunghe circa 20 metri. Questo tipo di aerogeneratore è in grado di erogare una potenza di 500-600 kW e soddisfa il fabbisogno elettrico giornaliero di circa 500 famiglie.

Il principio di funzionamento degli aerogeneratori è lo stesso dei mulini a vento: il vento che spinge le pale. Ma nel caso degli aerogeneratori il movimento di rotazione delle pale viene trasmesso ad un generatore che produce elettricità.

AEROGENERATORE

Il rotore

Il rotore è costituito da un mozzo su cui sono fissate le pale. Le pale più utilizzate sono realizzate in fibra di vetro.

I rotori a due pale sono meno costosi e girano a velocità più elevate. Sono però più rumorosi e vibrano di più di quelli a tre pale. Tra i due la resa energetica è quasi equivalente.

Sono stati realizzati anche rotori con una sola pala, equilibrata da un contrappeso.

A parità di condizioni, questi rotori sono ancor più veloci dei bipala, ma hanno rese energetiche leggermente inferiori.

Ci sono anche rotori con numerose pale, di solito 24, che vengono impiegati per l’azionamento diretto di macchine, come le pompe.

Sono stati messi a punto dei rotori con pale “mobili”.

Variando l’inclinazione delle pale al variare della velocità del vento è possibile mantenere costante la quantità di elettricità prodotta dall’aerogeneratore.

Il sistema frenante

È costituito da due sistemi indipendenti di arresto delle pale: un sistema di frenaggio aerodinamico e uno meccanico.

Il primo viene utilizzato per controllare la potenza dell’aerogeneratore, come freno di emergenza in caso si sovravelocità del vento e per arrestare il rotore.

Il secondo viene utilizzato per completare l’arresto del rotore e come freno di stazionamento.

La torre e le fondamenta

La torre sostiene la navicella e il rotore, può essere a forma tubolare o a traliccio. In genere è costruita in legno, in cemento armato, in acciaio o con fibre sintetiche.

La struttura dell’aerogeneratore per poter resistere alle oscillazioni ed alle vibrazioni causate dalla pressione del vento deve essere ancorata al terreno mediante fondamenta.

Le fondamenta molto spesso sono completamente interrate e costruite con cemento armato.

Il moltiplicatore di giri

Il moltiplicatore di giri serve per trasformare la rotazione lenta delle pale in una rotazione più veloce in grado di far funzionare il generatore di elettricità.

Il generatore
Il generatore trasforma l’energia meccanica in energia elettrica. La potenza del generatore viene indicata in chilowatt (kW).

Il sistema di controllo

Il funzionamento di un aerogeneratore è gestito da un sistema di controllo che svolge due diverse funzioni.

Gestisce, automaticamente e non, l’aerogeneratore nelle diverse operazioni di lavoro e aziona il dispositivo di sicurezza che blocca il funzionamento dell’aerogeneratore in caso di malfunzionamento e di sovraccarico dovuto ad eccessiva velocità del vento.

La navicella e il sistema di imbardata

La navicella è una cabina in cui sono ubicati tutti i componenti di un aerogeneratore, ad eccezione, naturalmente, del rotore e del mozzo.

La navicella è posizionata sulla cima della torre e può girare di 180° sul proprio asse.

Per assicurare sempre il massimo rendimento dell’aerogeneratore è importante mantenere un allineamento più continuo possibile tra l’asse del rotore e la direzione del vento.

Negli aerogeneratori di media e grossa taglia, l’allineamento è garantito da un servomeccanismo, detto sistema di imbardata, mentre nei piccoli aerogeneratori è sufficiente l’impiego di una pinna direzionale.

Nel sistema di imbardata un sensore, la banderuola, indica lo scostamento dell’asse della direzione del vento e aziona un motore che riallinea la navicella.

LE WIND-FARM

Più aerogeneratori collegati insieme formano le wind-farm, “fattorie del vento”, che sono delle vere e proprie centrali elettriche.

Nelle wind-farm la distanza tra gli aerogeneratori non è casuale, ma viene calcolata per evitare interferenze reciproche che potrebbero causare cadute di produzione.

Di regola gli aerogeneratori vengono situati ad una distanza di almeno cinque-dieci volte il diametro delle pale.

Nel caso di un aerogeneratore medio, con pale lunghe circa 20 metri, questo significa istallarne uno ogni 200 metri circa.

DOVE INSTALLARE UN IMPIANTO EOLICO

Una fattoria del vento, ad esempio, costituita da 30 aerogeneratori da 300 kW l’uno in una zona con venti dalla velocità media di 25 chilometri orari, può produrre 20 milioni di kWh all’anno. Vale a dire quanto basterebbe a soddisfare le esigenze di circa 7.000 famiglie.

Per raggiungere lo stesso risultato con una centrale a carbone si libererebbero nell’aria ben 22 mila tonnellate di anidride carbonica, 125 tonnellate di anidride solforosa e 43 tonnellate di ossido di azoto.

GLI IMPIANTI OFFSHORE

Sono le wind-farm costruite in mare. Rappresentano un’utile soluzione per quei paesi densamente popolati e con forte impegno del territorio che si trovano vicino al mare.

IMPIANTO OFFSHORE

La tecnologia degli aerogeneratori da utilizzare in siti offshore è in pieno sviluppo: a livello commerciale esistono macchine da 1 MW ed esistono prototipi da circa 3 MW.

Secondo alcune stime, gli impianti eolici nei mari europei protrebbero fornire oltre il 20% del fabbisogno elettrico dei paesi costieri.

Attualmente in Europa sono operative 5 centrali costruite in Olanda, Svezia e Danimarca con una potenza totale di 30 MW. In Italia non esiste ancora alcun impianto offshore, ma è stato calcolato un potenziale sfruttabile di 3,000 MW, pari a quello sulla terraferma, in grado di soddisfare il 4% degli attuali consumi di elettricità.

Per produrre energia elettrica in quantità sufficiente è necessario che il luogo dove si installa l’aerogeneratore sia molto ventoso.

Per determinare l’energia eolica potenzialmente sfruttabile in una data zona bisogna conoscere la conformazione del terreno e l’andamento nel tempo della direzione e della velocità del vento.

Come si forma il vento

La terra cede all’atmosfera il calore ricevuto dal sole, ma non lo fa in modo uniforme.

Nelle zone in cui viene ceduto meno calore la pressione dei gas atmosferici aumenta, mentre dove viene ceduto più calore, l’aria diventa calda e la pressione dei gas diminuisce. Si formano così aree di alta pressione e aree di bassa pressione, influenzate anche dalla rotazione della terra.

Quando diverse masse d’aria vengono a contatto, la zona dove la pressione è maggiore tende a trasferire aria dove la pressione è minore. Succede la stessa cosa quando lasciamo sgonfiare un palloncino. l’alta pressione all’interno del palloncino tende a trasferire l’aria verso l’esterno, dove la pressione è più bassa, dando luogo a un piccolo flusso.

Il vento è dunque lo spostamento d’aria, più o meno veloce, tra zone di diversa pressione.

E tanto più alta è la differenza di pressione, tanto più veloce sarà lo spostamento d’aria, tanto più forte sarà il vento.

LA CONFORMAZIONE DEL TERRENO

La conformazione di un terreno influenza la velocità del vento. Infatti, il suo valore dipende, oltre che dai parametri atmosferici, anche dalla conformazione del terreno.

Più un terreno è rugoso, cioè presenta variazioni brusche di pendenza, boschi, edifici e montagne, più il vento incontrerà ostacoli che ridurranno la sua velocità.

Le classi di rugosità

Per definire la conformazione di un terreno sono state individuate quattro classi di rugosità:

Classe di rugosità 0: suolo piatto come il mare, la spiaggia e le distese nevose.
Classe di rugosità 1: suolo aperto come terreni non coltivati con vegetazione bassa e aeroporti.
Classe di rugosità 2: aree agricole con rari edifici e pochi alberi.
Classe di rugosità 3: suolo rugoso in cui vi sono molte variazioni di pendenza del terreno, boschi e paesi.

In generale la posizione ideale di un aerogeneratore è in un terreno appartenente ad una bassa classe di rugosità e che presenta una pendenza compresa tra i 6 e i 16 gradi.

Il vento deve superare la velocità di almeno 5,5 metri al secondo e deve soffiare in modo costante per gran parte dell’anno. Mentre i migliori siti eolici offshore sono quelli con venti che superano la velocità di 7-8 metri al secondo, che hanno bassi fondali (da 5 a 40 metri) e che sono situati ad oltre 3 chilometri dalla costa.

COME SI MISURA IL VENTO

Tutti abbiamo potuto sperimentare che il vento non è costante, cambia di forza e di direzione.

Per classificare il vento in base alla sua direzione si usa definirlo col luogo da cui proviene. A volte si prende spunto dalla provenienza geografica - Greco, Libeccio se viene dalla Libia, Scirocco se viene dalla Siria -, altre, come nella “Rosa dei venti”, viene indicato con i punti cardinali - vento di Nord-Est, vento di Sud-Ovest -.

La forza del vento può essere indicata o con la misura della sua velocità, e cioè in nodi, che corrispondono alle miglia orarie (1 nodo = 1 miglio orario = 1,85 chilometri orari), o attraverso la scala proposta da Francis Beaufort.

La scala “Beaufort”

Francis Beaufort fu un ammiraglio inglese vissuto nei primi anni dell’ottocento.

Egli per classificare la forza del vento ideò una scala da zero a dodici, crescente a seconda della velocità del vento, dell’altezza delle onde marine e degli effetti prodotti.

Un vento di forza zero, viene definito da Beaufort “Calma”, e corrisponde alla descrizione di questi effetti: “il vento non sposta il fumo che esce dai camini; mare calmo”.

Il vento di forza dodici, il massimo grado della scala, è invece chiamato “Uragano” e definito così: “Provoca devastazioni gravissime; case seriamente danneggiate o distrutte; onde alte fino a 14 metri”.

LE WIND-FARM E l’AMBIENTE

l’energia eolica è una fonte rinnovabile e pulita. I possibili effetti indesiderati degli impianti hanno luogo solo su scala locale e sono: l’occupazione del territorio, l’impatto visivo, il rumore, gli effetti sulla flora e la fauna e le interferenze sulle telecomunicazioni.

l’ENERGIA EOLICA NEL MONDO

Nel 1981 la produzione di energia eolica mondiale era ancora praticamente nulla. Oggi la potenza eolica installata ha superato i 13,000 MW.

Di questi circa 9.000 MW sono prodotti in Europa, soprattutto in Germania e Danimarca, i paesi europei che per primi hanno creduto alle opportunità economiche e ambientali offerte dallo sfruttamento di questa forma di energia.

In questi due paesi, così come in Spagna, Olanda e Gran Bretagna, l’occupazione associata allo sviluppo e alla diffusione di tale tecnologia è in continua espansione, anche grazie agli strumenti di sostegno finanziario messi a disposizione dallo Stato.

Un andamento analogo a quello dell’Europa è stato registrato in Asia, soprattutto in India, anche se con uno scarto temporale di circa dieci anni.

POTENZA EOLICA INSTALLATA NEL MONDO A FINE 1999

OCCUPAZIONE DEL TERRITORIO

Gli aerogeneratori e le opere a supporto (cabine elettriche, strade) occupano solamente il 2-3% del territorio necessario per la costruzione di un impianto. È importante notare che nelle windfarm, a differenza delle centrali elettriche convenzionali, la parte del territorio non occupata dalle macchine può essere impiegata per l’agricoltura e la pastorizia.

IMPATTO VISIVO

Gli aerogeneratori per la loro configurazione sono visibili in ogni contesto ove vengono inseriti.

Ma una scelta accurata della forma e del colore dei componenti, per evitare che le parti metalliche riflettano i raggi solari, consente di armonizzare la presenza degli impianti eolici nel paesaggio.

RUMORE

Il rumore che emette un aerogeneratore viene causato dall’attrito delle pale con l’aria e dal moltiplicatore di giri. Questo rumore può essere smorzato migliorando l’inclinazione delle pale e la loro conformazione, e la struttura e l’isolamento acustico della navicella. Il rumore proveniente da un aerogeneratore deve essere inferiore ai 45 decibel in prossimità delle vicine abitazioni.

Tale valore corrisponde ad una conversazione a bassa voce.

I moderni aerogeneratori soddisfano questa richiesta a partire da distanze di 150/180 metri.

EFFETTI SU FLORA E FAUNA

I soli effetti riscontrati riguardano il possibile impatto degli uccelli con il rotore delle macchine.

Il numero di uccelli che muoiono è comunque inferiore a quello dovuto al traffico automobilistico, ai pali della luce o del telefono.

INTERFERENZE SULLE TELECOMUNICAZIONI ED EFFETTI ELETTROMAGNETICI

Per evitare possibili interferenze sulle telecomunicazioni e la formazione di campi elettromagnetici basta stabilire e mantenere la distanza minima fra l’aerogeneratore e, ad esempio, stazioni terminali di ponti radio, apparati di assistenza alla navigazione aerea e televisori.

EMISSIONI EVITATE

l’utilizzo dell’energia eolica consente di evitare l’immissione nell’atmosfera delle sostanze inquinanti e dei gas serra prodotti dalle centrali convenzionali. Facciamo il conto delle emissioni evitate per kWh prodotto:

Una centrale elettrica convenzionale emette mediamente

1.000 g/kWh di CO2 (anidride carbonica)
1,4 g/kWh di SO2 (anidride solforosa)
1,9 g/kWh di NOX (ossidi di azoto)

Prendiamo ora in considerazione i 700 MW di impianti eolici, che dovranno essere realizzati in Italia nei prossimi anni.

Nell’ipotesi che l’energia annua prodotta sia pari a 1,4 TWh, pari a poco più dello 0,5% del fabbisogno elettrico nazionale, le emissioni annue evitate sono del seguente ordine:

1,4 milioni di tonnellate di CO2
1.960 tonnellate di SO2
2.660 tonnellate di NOX

l’ENERGIA EOLICA IN ITALIA

In Italia le attività sull’eolico sono iniziate nei primi anni ’80, e furono svolte principalmente dell’ENEA, dall’ENEL e da alcuni operatori privati, con l’obiettivo di sviluppare tecnologie e di individuare il potenziale eolico sfruttabile a livello nazionale.

l’ENEA ha svolto essenzialmente il compito di sostenere lo sviluppo, la sperimentazione e la dimostrazione di aerogeneratori di tecnologia nazionale. Oggi continua a studiare i siti per individuarne le potenziali risorse eoliche, collabora con le pubbliche amministrazioni fornendo supporto tecnico e svolge campagne di informazione rivolte agli amministratori e alla popolazione per favorire l’accettazione sociale di nuovi impianti.

Un po’ di storia

In Italia le prime macchine eoliche sono state installate nel 1990 ma solo dal 1996 si è avuto un significativo numero di impianti collegati alla rete di distribuzione elettrica.

Il primo prototipo di aerogeneratore fu installato nel 1989 ad Alta Nurra in Sardegna, dove è stata condotta una campagna sperimentale. Oggi a distanza di oltre 10 anni esistono delle vere centrali eoliche, alcune delle quali sono costituite da più di 50 aerogeneratori di media taglia (600 kW l’uno).

A dicembre 1999, in Italia risultavano installate circa 583 macchine, distribuite in 40 impianti, per una potenza complessiva di 282 MW. Alcuni di questi impianti sono stati costruiti a scopo dimostrativo dall’ENEL, mentre la maggioranza producono energia elettrica e sono gestiti da operatori privati che vendono l’energia alla rete elettrica di distribuzione nazionale.

PARCO EOLICO DI FROSOLONE

LA RISORSA EOLICA IN ITALIA

La posizione geografica dell’Italia, unita alla presenza di catene montuose e di masse d’acqua, determina un diverso andamento dei venti sia nel corso dell’anno che da regione a regione.

l’Italia può comunque contare, specie nelle zone mediterranee meridionali e nelle isole, su venti di buona intensità, quali il maestrale, la tramontana, lo scirocco e il libeccio.

• Il Piano Energetico Nazionale del 1988, che stabiliva un obiettivo di 300-600 MW di eolico

I risultati di un’indagine, cui anche l’ENEA ha partecipato, hanno evidenziato che i siti più idonei allo sfruttamento dell’eolico si trovano lungo il crinale appenninico, al di sopra dei 600 m slm e, in misura minore, nelle zone costiere. Le regioni più interessanti sono quelle del Sud, in particolare Campania, Puglia, Molise, Sicilia e Sardegna, e il territorio compreso tra le province di Trapani, Foggia, Benevento, Avellino e Potenza è il principale polo eolico nazionale.

Tuttavia la quantità di energia prodotta da fonte eolica è ancora trascurabile rispetto al potenziale sfruttabile stimato in circa 3.000 MW sulla terraferma e altrettanti in offshore.

IL QUADRO NORMATIVO E GLI INCENTIVI

Gli strumenti governativi a sostegno delle fonti rinnovabili in generale, e dell’eolico in particolare, sono:

• Le leggi 9/91 e 10/91, il provvedimento Cip 6/92 che per la prima volta ha introdotto tariffe incentivanti per la cessione all’ENEL di energia elettrica prodotta con impianti da fonti rinnovabili.

• I fondi strutturali europei utilizzati dalle regioni Puglia, Campania, Umbria e Sicilia per realizzare impianti eolici.

• Il decreto Bersani (79/99) che ha introdotto un nuovo concetto di incentivazione delle fonti rinnovabili. Questo decreto obbliga i produttori di energia elettrica da fonti convenzionali a immettere annualmente, nella rete di distribuzione nazionale, una quota di energia prodotta da fonti rinnovabili pari al 2% della loro produzione annua. Tale quota di energia può essere prodotta all’interno stesso dell’impianto o acquistata da altri.

• La legge 394/91, in particolare l’art. 7 - comma 1 nel quale sono previste misure d’incentivazione alle amministrazioni comprese nelle aree protette che promuovano interventi volti a favorire l’uso di tali forme di energia.

Esiste inoltre una legislazione generale che disciplina la pianificazione e la localizzazione degli impianti eolici, anche in termini di tutela del paesaggio, dell’ambiente e della salute, nonché di uso del suolo.


Oltre a elettricità, il petrolio vuol dire benzina. Sarà mai possibile affrancarsi dalla dipendenza del petrolio?

l’elevato prezzo del petrolio dà slancio non solo alle fonti rinnovabili ma anche alla tecnologia dell’idrogeno. l’idrogeno, che sembra annunciarsi fra qualche decennio come il combustibile sostitutivo del greggio, è l’elemento più disponibile in natura.

Non va dimenticato però che l’idrogeno stesso si produce ricorrendo al petrolio. Il Ministero dell’Ambiente italiano ha stanziato per lo sviluppo delle tecnologie dell’idrogeno, a cominciare dalle celle a combustibile, un cofinanziamento di 89.8 milioni di euro per quattordici progetti, pari ad un investimento di 128 milioni di euro.
La continua crescita della popolazione mondiale e la naturale aspirazione dei paesi in via di sviluppo a raggiungere standard economici e di qualità della vita vicini a quelli dei paesi industrializzati sono le principali cause della crescita inarrestabile della domanda di energia e del contemporaneo aumento delle emissioni di gas serra, prima fra tutte l’anidride carbonica. Soddisfare tale domanda, mantenendo questi gas a livelli non pericolosi per l’ambiente e riducendo così il rischio di cambiamenti climatici nel medio termine (oltre che, naturalmente, garantire l’approvvigionamento energetico) rappresenta la sfida tecnologica del nuovo secolo.

Una sfida che può essere vinta solo con l’aumento dell’efficienza dei sistemi e la contemporanea riduzione del consumo di idrocarburi; con l’espansione dell’impiego di fonti a basso o nullo contenuto di carbonio quali gas naturale, rinnovabili, nucleare; con la separazione della CO2, prodotta nella trasformazione dei combustibili fossili e il confinamento della stessa; con l’aumento, infine, del potenziale di assorbimento della stessa CO2

Il problema delle emissioni di gas serra

Il principale responsabile dell’effetto serra è l’anidride carbonica, prodotto finale dell’uso dei combustibili fossili nella generazione di energia termica, meccanica ed elettrica.

2 nell’aria era pari a 300 parti All’inizio del secolo scorso la concentrazione della CO per milione (ppm). Ora è circa 380 ppm.

La combustione è il maggior responsabile delle emissioni di gas serra (quasi l’80% in Italia).

A livello globale circa il 30% delle emissioni di CO2 in atmosfera è causato dai trasporti.

Le previsioni dei consumi di energia per il prossimo secolo fanno prevedere un continuo aumento delle emissioni di CO e della sua concentrazione in atmosfera, a meno di sostanziali cambiamenti del sistema energetico; l’andamento sotto riportato è stato stimato dall’IPCC in uno scenario senza particolari correttivi e con pieno sviluppo tecnologico ed economico. Tuttavia, in particolare per i trasporti, oltre a ridurre drasticamente l’uso dell’automobile, si può cercare di intervenire sull’efficienza dei veicoli o introducendo combustibili più puliti.

LA CONCENTRAZIONE DI CO2 IN ATMOSFERA - TREND DI CRESCITA

L'Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) ha valutato la possibile evoluzione della concentrazione di CO2 senza interventi specifici l’idrogeno è un vettore in grado di soddisfare i requisiti precedentemente indicati; infatti:

• è un gas che brucia nell’aria secondo la semplice reazione: idrogeno più ossigeno uguale acqua e calore 2 + 1/2 O2 = H2O + calore H dando quindi come unico prodotto di reazione acqua pura;
• può essere prodotto sia da fonti fossili, sia da fonti rinnovabili, sia da fonte nucleare;
• può essere distribuito in rete abbastanza agevolmente compatibilmente con gli usi finali e con lo sviluppo delle tecnologie di trasporto e di stoccaggio;
• può essere impiegato in diverse applicazioni (produzione di energia elettrica centralizzata o distribuita, generazione di calore, trazione) con un impatto locale nullo o estremamente ridotto.

Come vedremo meglio in seguito, sono indubbi i vantaggi energetici e soprattutto ambientali che conseguirebbero dall’uso esteso dell’idrogeno in particolari sistemi elettrochimici denominati “celle a combustibile” che permettono la trasformazione diretta dell’energia chimica contenuta nel gas in energia elettrica, senza altre emissioni dannose.

Si può dire, quindi, che l’idrogeno rappresenta in prospettiva un componente ideale di un futuro sistema energetico sostenibile, costituendo un incentivo verso l’impiego diffuso delle fonti rinnovabili (e di un “nuovo nucleare”), ma già nel breve-medio termine può rendere i combustibili fossili compatibili con le esigenze ambientali.

Lo sviluppo come vettore energetico richiede però la predisposizione anche di una vasta gamma di infrastrutture integrate, se non altro per rendere l’impiego economico e affidabile in tutte le varie fasi della catena tecnologica (produzione, confinamento dell’anidride carbonica generata nel processo, trasporto, accumulo, usi finali). Ad esempio, si pensi solo che nell’applicazione all’autotrazione occorre sviluppare non solo le celle a combustibile più adatte, ma anche serbatoi per equipaggiare i veicoli, sistemi di trasporto e reti di distribuzione paragonabili a quelli dei carburanti tradizionali.

Tutto ciò, ovviamente, costituisce una grossa sfida per i prossimi anni che tuttavia non potrà non avere benefiche ricadute - in termini economici e occupazionali - immediatamente nel comparto della ricerca e sviluppo e a seguire sull’intera industria manifatturiera di ogni Paese.

COS’È E COME SI PRODUCE

l’idrogeno, l’elemento più leggero e abbondante dell’universo, è assai raro sulla Terra allo stato elementare a causa della sua estrema volatilità - si trova, ad esempio, nelle emanazioni vulcaniche, nelle sorgenti petrolifere, nelle fumarole - ma viceversa è molto diffuso sotto forma di composti (acqua, idrocarburi, sostanze minerali, organismi animali e vegetali) e può quindi essere prodotto a partire da diverse fonti. l’interesse per il suo impiego come combustibile, sia per applicazioni stazionarie che per la trazione, deriva dal fatto che l’inquinamento prodotto è quasi nullo; infatti, come già accennato, se usato in sistemi a combustione produce vapor d’acqua e tracce di ossidi di azoto, oppure solo vapor d’acqua se utilizzato con sistemi elettrochimici con celle a combustibile.

Rispetto agli altri combustibili, l’idrogeno è un gas incolore, inodore, non velenoso, estremamente volatile e leggero: presenta quindi un ridotto contenuto energetico per unità di volume, mentre ha il più alto contenuto di energia per unità di massa. Per fare un confronto con un altro combustibile, ad esempio il gasolio, possiamo dire che un litro di gasolio, come contenuto energetico, equivale a:

• 3,12 m3 di idrogeno gassoso (in condizioni normali);
• 4,13 litri di idrogeno liquido dove però la combustione dell’idrogeno può essere realizzata con un’efficienza più alta.

A fronte di queste qualità energetiche e soprattutto ambientali, tuttavia l’introduzione dell’idrogeno come combustibile - e più in generale come vettore energetico - richiede che siano messe a punto le tecnologie necessarie per agevolare la produzione, il trasporto, l’accumulo e l’utilizzo. A titolo di esempio, solo per la liquefazione a -253 °C occorrono particolari tecnologie oltre che la predisposizione di speciali container per il trasporto.

Per quanto riguarda la produzione, ricordiamo che le fonti primarie di partenza possono essere sia fossili che rinnovabili in modo da contribuire alla diversificazione ed all’integrazione tra i diversi tipi di energia. In figura 3 sono schematizzati alcuni metodi di produzione dell’idrogeno.

PRODUZIONE DA FONTI FOSSILI

Le tecnologie di produzione dell’idrogeno a partire dai combustibili fossili sono mature e ampiamente utilizzate, anche se vanno ottimizzate da un punto di vista economico, energetico e di impatto ambientale. Dei circa 500 miliardi di Nm3 di idrogeno prodotti annualmente a livello mondiale, circa 190 miliardi rappresentano un sottoprodotto dell’industria chimica (ad es. dagli impianti cloro-soda), mentre la maggior frazione deriva da combustibili fossili, gas naturale ed olio pesante, attraverso processi di reforming e di ossidazione parziale.

Tali processi prevedono la produzione del gas attraverso successivi stadi di raffinazione e di frazionamento delle molecole degli idrocarburi fino alla completa eliminazione del carbonio. Con questa linea oggi viene prodotta una grandissima quantità di idrogeno, tutta quella consumata sul mercato della chimica dei fertilizzanti di sintesi e nella metallurgia dell’acciaio. Il processo più diffuso, “steam reforming”, reazione a caldo del metano con vapore a 800 °C in modo da ossidare il carbonio e liberare idrogeno dalla molecola con emissione di anidride carbonica secondo la reazione CH4 + 2H2O + calore = 4H2 + CO2 è tecnicamente molto ben sperimentato e viene realizzato industrialmente con reattori di grosse capacità dell’ordine, di 100.000 Nm3/h. Unità molto più piccole, realizzate specificamente per l’uso sui veicoli o per impianti di generazione distribuita di piccola taglia, sono attualmente in via di sviluppo soprattutto per l’utilizzo in sistemi con celle a combustibile.

La produzione da fonti fossili, però, ha l’inconveniente di dar luogo - come prodotto di scarto - alla emissione di grandi quantità di CO , cosicché l’idrogeno - pur utilizzabile in modo pulito - non è comunque incolpevole a causa dell’inquinamento prodotto nel ciclo di lavorazione.

Per ovviare a ciò occorrerebbe raccogliere e confinare(2) la CO prodotta nei grossi impianti, sfruttando l’esperienza in materia delle compagnie petrolifere. Per queste si può anche ipotizzare una parziale riconversione che consenta di produrre idrogeno dagli idrocarburi, idrogeno che verrebbe poi utilizzato negli autoveicoli (conservando ovviamente il profitto per le compagnie).

Dal punto di vista ambientale, questa soluzione ha il vantaggio di evitare le emissioni di CO2 di una miriade di veicoli sparsi sul territorio, concentrandole negli impianti petrolchimici da dove però potrebbero essere catturate con opportuni filtri, trasformate in forma liquida o solida e poi immagazzinate in giacimenti geologici profondi e di caratteristiche adeguate che ne dovrebbero impedire la reimmissione in atmosfera. Nel nostro Paese, come in altri, le opzioni principali sono due:

• pompaggio nei giacimenti esauriti di gas e petrolio;
• immissione nei cosiddetti acquiferi salini(3), formazioni stabili sotterranee non altrimenti utilizzabili, e in fondali oceanici situati a grande profondità (oltre 1.000 m sotto il livello del masi manterrebbe allo stato liquido indefinitamente a causa dell’enorme pressione ivi esistente.

Dal punto di vista tecnico, queste proposte - il cui sviluppo già costituisce di per sé un programma di ampie dimensioni - sono già oggi realizzabili con qualche aggiustamento e modifica di tecnologie esistenti in modo da consentire uno sviluppo graduale delle infrastrutture del settore energetico e quindi una riduzione degli inquinanti nel breve-medio termine. È tuttavia da tener presente che la produzione di idrogeno da combustibili fossili deve essere considerata come una sorta di “ponte tecnologico” verso la produzione da fonti rinnovabili - soluzione più promettente nel lungo termine - in quanto lascerebbe irrisolti in particolare i problemi economici a causa dell’inevitabile progressivo esaurimento delle riserve di combustibili fossili e del costo aggiuntivo del confinamento della CO2.

PRODUZIONE DA FONTI RINNOVABILI

Per quanto riguarda la produzione di idrogeno da fonti rinnovabili - modo sostanzialmente pulito e per questo ben più interessante - i processi possono essere sommariamente distinti in:

• produzione da biomasse;
• produzione dall’acqua.

Nella produzione di idrogeno a partire da biomasse nessuno dei processi proposti ha ancora raggiunto la maturità industriale. Le diverse alternative (gassificazione; pirolisi e successivo reforming della frazione liquida prodotta; produzione di etanolo e reforming dello stesso; produzione biologica attraverso processi basati su fenomeni di fotosintesi o di fermentazione) richiedono tutte un impegno notevole di ricerca, sviluppo e dimostrazione, anche se a livelli diversi. Le premesse sono comunque buone, tenuto anche conto dei diversi materiali utilizzabili.

(2) Immagazzinare in giacimenti geologici per impedire la reimmissione in atmosfera.
(3) Ammassi di rocce sedimentarie porose permeabili e saturate di acqua. l’idrogeno può anche essere prodotto dall’acqua scindendo la stessa nei suoi componenti (idrogeno e ossigeno) attraverso diversi processi, tra i quali quello più consolidato è l’elettrolisi. Schematicamente questa è rappresentata dalla seguente reazione: acqua più energia elettrica uguale idrogeno più ossigeno:

Si può notare subito che la reazione di elettrolisi risulta esattamente inversa a quella che avviene nelle celle a combustibile. Pertanto, l’intero processo di produzione e consumo è ambientalmente sostenibile purché sia disponibile una corrispondente quantità di energia elettrica pulita in grado di alimentare il processo di elettrolisi. È immediato pensare al sole come sorgente di questa energia, sfruttabile attraverso l’utilizzo di impianti di conversione fotovoltaica, la cui tecnologia già oggi può essere considerata tecnicamente affidabile e adeguata, anche se non ancora competitiva.

Infatti, mediante l’uso di energia solare fotovoltaica si può produrre idrogeno elettrolitico e ossigeno che poi possono essere fatti ricombinare nelle celle a combustibile per produrre l’energia elettrica di cui abbiamo bisogno. Come prodotto finale di scarto si genera una quantità di acqua pura pressappoco uguale a quella di partenza, chiudendo in tal modo il ciclo senza emissioni inquinanti. Infine, è evidente che le grandi distese oceaniche altro non sono che enormi riserve di idrogeno: ogni kg di acqua pura contiene 111 g di idrogeno che, una volta bruciato, potrebbe produrre 3,200 chilocalorie di energia termica. Pertanto dall’acqua, in linea di principio, sarebbe possibile estrarre tutto l’idrogeno necessario a soddisfare in modo pulito le esigenze energetiche dell’umanità.

Il problema attualmente è il costo. Con l’elettrolisi dell’acqua, infatti, è vero che si può ottenere idrogeno praticamente puro, ma solo a un prezzo che può diventare economicamente accettabile in una prospettiva ancora lontana, allorquando le innovazioni tecnologiche potrebbero consentire un costo estremamente basso dell’energia elettrica, prodotta da fonti rinnovabili (o da nucleare).

Pertanto tale scelta non appare, allo stato attuale delle conoscenze, economicamente ed energeticamente perseguibile, se non per applicazioni particolari (ad esempio aree remote).

La dissociazione dell’acqua può essere effettuata anche facendo uso di processi termochimici che utilizzano calore ad alta temperatura (800-1000 °C) ottenuto da fonti diverse (prima fra tutte l’energia solare termica); sono in corso, anche in Italia, attività di ricerca e sviluppo tese a dimostrare la fattibilità industriale di tali processi ed il potenziale nel lungo termine sembra esse- Altri processi, ancora allo stato di laboratorio, sono la fotoconversione che scinde l’acqua usando organismi biologici o materiali sintetici, e i processi fotoelettrochimici, che usano per lo stesso scopo una corrente elettrica generata da semiconduttori.

STOCCAGGIO E DISTRIBUZIONE

Nella figura 4 è riportato uno schema dei possibili metodi di produzione e di utilizzazione dell’idrogeno.

A sinistra, notiamo un impianto di produzione tradizionale tipo “steam reforming” alimentato da gas naturale trasportato da un metanodotto. La CO2 coprodotta (linea gialla) viene separata e confinata in giacimenti esauriti di idrocarburi o in acquiferi salini a grande profondità (come si vede in basso).

Nella parte superiore sono indicate le altre tecnologie di produzione da fonti rinnovabili (linea arancione): solare termico, impianti eolici, fotovoltaici, biomasse. l’idrogeno prodotto sarà poi utilizzato in centrali termoelettriche tradizionali, in impianti a celle a combustibile o nei trasporti, sfruttando veicoli a combustione interna o a celle (parte destra della figura). l’energia elettrica così prodotta potrà essere dedicata all’alimentazione delle utenze diffuse (linea nera).

l’idrogeno può essere trasportato e accumulato in forma gassosa, liquida oppure adsorbito su materiali speciali; ogni forma presenta aspetti favorevoli e svantaggi e tutte, se pur in gran parte già utilizzate, richiedono significativi sforzi di ricerca e sviluppo per un impiego su larga scala affidabile e economicamente competitivo, come nel caso di una rete adeguata per il rifornimento degli autoveicoli.

Un ampio uso dell’idrogeno come vettore energetico richiede una sua disponibilità su larga scala, per le diverse applicazioni e in prossimità del punto d’uso UTILIZZO

Sono allo studio diverse soluzioni per il sequestro della CO come il confinamento geologico in acquiferi salini e giacimenti esauriti di metano o petrolio.

Per il trasporto dell’idrogeno gassoso si può pensare a idrogenodotti ed esistono esperienze significative in tal senso ma vanno migliorate le tecnologie per i materiali da impiegare e per la compressione del gas (minore potere calorifico e quindi maggiori portate per la stessa quantità di energia). Il trasporto in forma liquida in bombole utilizzando autocarri presenta problematiche ancora più complesse e sembra, in prospettiva, conveniente solo per quantità limitate e percorrenze elevate.

I metodi di stoccaggio dipendono dalle applicazioni considerate e sono critici soprattutto per l’impiego a bordo di veicoli, richiedendo una elevata densità di energia. Esistono diverse tecnologie di accumulo dell’idrogeno, le quali comunque devono rispondere a requisiti di efficienza, praticità ed economicità. Nessuna di queste è ad oggi pienamente soddisfacente; tuttavia nel seguito vengono descritte brevemente quelle più promettenti, facendo riferimento - per semplicità - all’uso come combustibile per automobili, certamente una delle applicazioni più appetibili. Qui le soluzioni possibili prevedono la compressione del gas, la sua liquefazione e infine l’accumulazione su idruri metallici.

COMPRESSIONE

Il modo più semplice ed economico per accumulare idrogeno è di utilizzarlo sotto forma di gas compresso a pressione di 200-250 bar (ed oltre). La tecnologia risulta tuttavia non facilmente proponibile per l’uso a bordo di auto tradizionali, a causa del peso ed ingombro dei serbatoi attualmente utilizzati, che rappresentano un limite all’autonomia e capacità di carico del veicolo.

Di recente, notevoli progressi sono stati fatti con l’introduzione di serbatoi con struttura metallica o termoplastica rinforzata con fibre di carbonio, di vetro ed arammidiche(4), che presentano un peso 3-4 volte inferiore a quello dei comuni serbatoi e che consentono di superare in parte gli inconvenienti dell’uso delle bombole tradizionali. Questi serbatoi sono in grado di operare a pressioni fino a 350 bar (potenzialmente fino a 700 bar) e consentono quindi di ottenere densità di accumulo di idrogeno adeguate all’uso a bordo di veicoli. Le caratteristiche di sicurezza sono solitamente molto elevate, grazie alla robustezza dei serbatoi ed all’introduzione di fusibili antiscoppio in caso di incendio, e di valvole di interruzione del circuito in caso di urto.

Per quanto riguarda normative di sicurezza e licenze per usi a bordo di veicoli, le bombole di idrogeno sono soggette a restrizioni analoghe a quelle adottate nel caso del gas naturale.

LIQUEFAZIONE

l’idrogeno può essere immagazzinato anche in forma liquida ad una temperatura di -253 °C. Per mantenere queste temperature sono stati messi a punto serbatoi criogenici a doppia parete, con un’intercapedine, dove viene fatto il vuoto (serbatoi tipo “dewar”). Questa tecnologia è ormai consolidata in Germania, dove la BMW la utilizza da oltre 15 anni su auto ad idrogeno alimentate con motori a combustione interna.

l’accumulo in forma liquida è forse la tecnologia che oggi meglio soddisfa, da un punto di vista teorico, le esigenze specifiche dell’autotrazione; tuttavia anch’essa presenta dei limiti. A sfavore dell’idrogeno liquido giocano la maggiore complessità del sistema, non solo a bordo del veicolo ma anche a terra, per la distribuzione ed il rifornimento, ed i maggiori costi ad esso associati.

Anche il costo energetico della liquefazione è considerevole, corrispondendo a circa il 30% del contenuto energetico del combustibile, contro un valore compreso tra il 4% ed il 7% per l’idrogeno compresso.

ACCUMULO CHIMICO

l’idrogeno può legarsi chimicamente con diversi metalli e leghe metalliche formando idruri, composti in grado di intrappolare idrogeno a pressioni relativamente basse. Il gas penetra all’interno del reticolo cristallino del metallo, andando ad occupare i siti interstiziali. Tale tecnologia permette di raggiungere densità energetiche potenzialmente maggiori dell’idrogeno compresso e paragonabili con quelle dell’idrogeno liquido. Il volume di stoccaggio si potrebbe ridurre di 3-4 volte, rendendo possibile l’uso nelle autovetture, mentre l’energia specifica dipende dal peso specifico del metallo di base. Le percentuali in peso dell’idrogeno sul peso del metallo variano dall’1 al 12,7% (idruro di litio) mentre per le comuni bombole tale percentuale è di poco superiore all’1%.

A fronte di tali caratteristiche positive, esistono ancora numerosi problemi da superare per la realizzazione di sistemi di accumulo veramente competitivi. Ad esempio, occorre lavorare ancora per migliorare la stabilità strutturale e termica del materiale, per depurarlo dalle impurità presenti nell’idrogeno, per rendere compatibili temperatura e pressione con le applicazioni previste, ecc.

Comunque, allo stato attuale, i materiali disponibili portano a sistemi di accumulo troppo pesanti:

a parità di peso, il veicolo presenta un’autonomia tre volte inferiore a quella ottenibile con idrogeno liquido o compresso con serbatoi di tipo avanzato. Sono invece indubbi i vantaggi in termini di convenienza, compattezza, stabilità dello stoccaggio, sicurezza.

Una tecnologia recentissima e ancora sperimentale riguarda l’utilizzo di nanostrutture di carbonio (nanotubi e nanofibre di carbonio), scoperte all’inizio degli anni 90, che stanno dimostrando buone capacità di adsorbimento dell’idrogeno, con risultati in alcuni casi sorprendenti. Su questi materiali sono in corso ricerche da parte di numerosi gruppi di lavoro, ma i risultati ottenuti, spesso in contrasto tra di loro, sono per il momento difficilmente confrontabili in quanto le esperienze sono state effettuate su campioni di materiali di diverso tipo, provati in condizioni di pressione e temperatura molto diverse tra loro. Il campo di variazione della pressione va da pochi bar ad alcune centinaia di bar, la temperatura da 80 °K a 800 °K, le percentuali di adsorbimento in peso variano da valori inferiori all’1% ad un incredibile 60%.

DISTRIBUZIONE

A seconda delle quantità interessate, l’idrogeno può essere trasportato per mezzo di autocisterne o con idrogenodotti. Fra le due opzioni, entrambe praticabili con le tecnologie attuali, esistono grosse differenze di costo e quindi solo specifiche analisi tecnico-economiche per le singole applicazioni possono determinare quale sia di volta in volta la soluzione migliore.

Tubazioni di grosse dimensioni in acciaio standard (e quindi senza requisiti specifici) hanno trasportato idrogeno in Germania, nel distretto della Ruhr, dai produttori ai consumatori sin dal 1938, senza particolari problemi di sicurezza (le tubazioni erano provviste di sensori per possibili fughe ed erano previste periodiche ispezioni di controllo).

D’altra parte è utile ricordare come anche in Italia, per più di 70 anni, si è distribuito nelle città senza problemi particolari il cosiddetto “gas di città”, costituito da miscele di idrogeno (50%) e monossido di carbonio (50%), dove l’elemento di maggiore pericolosità era il monossido di carbonio, in quanto altamente tossico. Attualmente anche città a densità di popolazione estremamente elevate, come Pechino, sono servite da reti di distribuzione di questo tipo di gas. Idrogenodotti di dimensioni significative sono attualmente presenti in diverse nazioni: esiste una rete di circa 170 km nella Francia del Nord, per un totale nell’intera Europa di più di 1,500 km. Il Nord America, poi, possiede più di 700 km di condutture per il trasporto dell’idrogeno.

l’esperienza accumulata nel settore della distribuzione gas può quindi essere utilizzata in maniera molto diretta anche per la realizzazione e l’esercizio di reti di distribuzione dell’idrogeno, grosso modo simili alle attuali reti per il gas naturale; le maggiori differenze potrebbero risiedere nei materiali utilizzati (alcuni acciai, tipo quelli al cromo e al molibdeno, hanno migliore compatibilità con l’idrogeno) e nei criteri di progetto delle stazioni di pompaggio. In particolare, sebbene abbia una densità energetica volumetrica minore di quella del gas naturale, l’idrogeno è meno viscoso, per cui, con un’adatta progettazione, l’energia necessaria per il suo pompaggio diventa paragonabile a quella richiesta per la stessa quantità di energia trasportata con il gas naturale.

Reti di distribuzione per idrogeno liquido, risultando particolarmente costose e di difficile gestione, sono state realizzate solo per applicazioni particolarmente specializzate, come il rifornimento di veicoli spaziali.

UTILIZZO

Le due principali utilizzazioni previste in futuro per l’idrogeno e per cui si sta lavorando attualmente nei laboratori di ricerca applicata riguardano l’impiego come combustibile per la generazione di energia elettrica e per il trasporto. Impianti per la produzione centralizzata di energia elettrica e motori a combustione interna alimentati a idrogeno sono già fattibili sulla base delle tecnologie esistenti e anche con emissioni sensibilmente ridotte rispetto a quelle degli impianti convenzionali.

Deve tuttavia essere ulteriormente migliorato il rendimento e abbassati i costi; per questo sono in corso di sperimentazione materiali e soluzioni innovative che dovrebbero arrivare a maturazione nel giro di alcuni anni.

Ma lo strumento principale il cui sviluppo condizionerà pesantemente la reale affermazione dell’idrogeno come vettore energetico pulito è senza dubbio la cella a combustibile. Diamo qui un cenno sul suo funzionamento e alcune indicazioni sullo sviluppo della tecnologia.

LA CELLA A COMBUSTIBILE

Una cella a combustibile è un dispositivo elettrochimico che converte direttamente l’energia di un combustibile in elettricità e calore senza passare attraverso cicli termici e quindi senza risentire delle limitazioni imposte a questi ultimi dalla termodinamica. In sostanza funziona in modo analogo ad una batteria, in quanto produce energia elettrica attraverso un processo elettrochimico; a differenza di quest’ultima, tuttavia, consuma sostanze provenienti dall’esterno ed è quindi in grado di funzionare senza interruzioni, finché al sistema viene fornito combustibile ed ossidante.

Come funziona una cella a combustibile

Una cella a combustibile e un dispositivo elettrochimico che converte direttamente l’energia di un combustibile in elettricita e calore, senza passare attraverso cicli termici.

Una cella e composta da due elettrodi separati da un elettrolita.

Le reazioni che avvengono agli elettrodi consumano fondamentalmente idrogeno e ossigeno e producono acqua, attivando un passaggio di corrente elettrica nel circuito esterno.

l’elettrolita, che ha la funzione di condurre gli ioni prodotti da una reazione e consumati dall’altra, chiude il circuito elettrico all’interno della cella.

La trasformazione elettrochimica e accompagnata da produzione di calore. Elettrolita Anodo

La cella e composta da due elettrodi in materiale poroso, separati da un elettrolita.

Gli elettrodi fungono da siti catalitici per le reazioni di cella che consumano fondamentalmente idrogeno ed ossigeno, con produzione di acqua e passaggio di corrente elettrica nel circuito esterno. l’elettrolita ha la funzione di condurre gli ioni prodotti da una reazione e consumati dall’altra, chiudendo il circuito elettrico all’interno della cella. La trasformazione elettrochimica e accompagnata da produzione di calore, che e necessario estrarre per mantenere costante la temperatura di funzionamento della cella.

ACQUA

Costruttivamente le celle sono disposte in serie, a mezzo di piatti bipolari a formare il cosiddetto “stack”. Gli stack a loro volta sono assemblati in moduli per ottenere generatori della potenza richiesta. Si ottiene in questo modo un dispositivo ad elevata efficienza di conversione energetica, di rendimento quasi indipendente dal carico e dalla taglia dell’impianto, flessibile nell’uso dei combustibili di partenza, di impatto ambientale assai ridotto con emissioni trascurabili e bassa rumorosita.

Comunque, nonostante i notevoli progressi compiuti a livello mondiale per affinare la tecnologia e le caratteristiche delle celle, c’e da fare ancora molto lavoro per migliorare le prestazioni dei materiali; per incrementare le prestazioni energetiche e ambientali; per aumentare l’affidabilita e la durata; per semplificare i sistemi e ridurre i costi; per creare una rete di distribuzione del combustibile; e infine per consentire l’emissione di standard e normative.

Applicazioni
• Applicazioni spaziali
• Generatori portatili
• Trasporto
LA QUESTIONE SICUREZZA

Esistono ancora molte perplessità per agli aspetti di sicurezza a causa della poca familiarità con questo vettore, il che porta ad applicare condizioni particolarmente restrittive per la sua utilizzazione.

Tuttavia, al di là della soggettiva “percezione di rischio”, un’analisi attenta ridimensiona il concetto di pericolosità dell’idrogeno.

Questo gas è meno infiammabile della benzina. Infatti la sua temperatura di autoaccensione è di circa 550 °C, contro i 230-500 °C (a seconda dei tipi) della benzina.

l’idrogeno è il più leggero degli elementi (quindici volte meno dell’aria), e perciò si diluisce molto rapidamente in spazi aperti.

È praticamente impossibile farlo detonare, se non in spazi confinati. Per individuare concentrazioni potenzialmente pericolose (> 4% in aria) si utilizzano sensori che possono facilmente comandare adeguati sistemi di sicurezza.

I veicoli prototipo della BMW, ad esempio, hanno vetri e tettuccio che, in caso di presenza del gas, si aprono automaticamente.

Quando brucia, l’idrogeno si consuma molto rapidamente, sempre con fiamme dirette verso l’alto e caratterizzate da una radiazione termica a lunghezza d’onda molto bassa, quindi facilmente assorbibile dall’atmosfera.

Per contro materiali come la benzina, il gasolio, il GPL od il gas naturale sono più pesanti dell’aria e, non disperdendosi, rimangono una fonte di pericolo per tempi molto più lunghi. È stato calcolato, facendo uso di dati sperimentali, che l’incendio di un veicolo a benzina si protrae per 20-30 minuti, mentre per un veicolo ad idrogeno non dura più di 1-2 minuti.

La bassa radiazione termica, propria delle fiamme da idrogeno, fa sì che esistano poche possibilità (al di là dell’esposizione diretta alla fiamma) che materiali vicini possano essere a loro volta incendiati, riducendo così, oltre alla durata dell’incendio, anche il pericolo di emissioni tossiche.

l’idrogeno, al contrario dei combustibili fossili, non è tossico, né corrosivo ed eventuali perdite dai serbatoi non causano problemi di inquinamento del terreno o di falde idriche sotterranee.

RICERCA E SVILUPPO ALl’ESTERO

I principali Paesi industrializzati nel mondo, in particolare Stati Uniti, Giappone, Unione Europea hanno tutti programmi di ricerca e sviluppo in corso, sia a breve che a medio termine, finalizzati a perfezionare la tecnologia delle celle e ad introdurre lo sfruttamento dell’idrogeno nella produzione di energia nel giro di alcuni anni.

A livello europeo, nell’ottobre 2002, è stato costituito un gruppo di esperti composto da rappresentanti di grandi industrie del settore automobilistico ed energetico, dei servizi pubblici, di istituti di ricerca, con il compito di definire un programma e le priorità per promuovere la diffusione e l’utilizzo dell’idrogeno.

Nel giugno 2003 a Bruxelles è stato da questi presentato un documento sulla “Visione Europea” che, di pari passo con lo sviluppo delle celle a combustibile e delle tecnologie correlate, prevede che intorno al 2050 l’idrogeno prodotto da fonti rinnovabili rivestirà un ruolo importante nella produzione di energia.

IN ITALIA

In Italia, da un punto di vista energetico, la disponibilità di un vettore flessibile e pulito prodotto a partire da fonti diversificate, sia fossili che rinnovabili, è di estremo interesse per il nostro Paese, vista la sua dipendenza dalle importazioni di gas e di petrolio e l’estrema vulnerabilità del sistema elettrico in caso di aumento dei consumi o di difficoltà di importazione dell’energia.

Analogo interesse rivestono i risvolti ambientali connessi con tale scelta che potranno favorire il conseguimento degli obiettivi previsti dal Protocollo di Kyoto(5) e dare un contributo significativo alla riduzione dell’inquinamento locale.

In particolare l’impiego dell’idrogeno nei trasporti contribuirebbe a migliorare la qualità dell’aria nei centri urbani che, nonostante i grandi progressi realizzati e attesi nei veicoli convenzionali e nei relativi sistemi di abbattimento, ancora presenta delle criticità (smog fotochimico, particolato, poliaromatici, ecc.).

Infine, per ultimo ma non ultimo, tutti questi benefici si combinano anche con gli interessi dell’industria nazionale: l’essere presenti nel mercato che si aprirà di qui a pochi anni è indispensabile per aspirare a una posizione competitiva in questo business.

D’altra parte, gli ingenti investimenti necessari richiedono il coinvolgimento attivo e convinto dei principali attori nazionali interessati (governo, società energetiche, industrie, utenti, strutture di ricerca); inoltre le numerose competenze necessarie e i diversi interessi coinvolti devono essere gestite in un quadro organico e unitario, che persegua in maniera coordinata obiettivi di interesse strategico per il Paese, avvalendosi anche di collaborazioni internazionali.

l’ENEA, per il suo ruolo e le sue competenze, intende contribuire allo sviluppo di tale programma in collaborazione con tutti i soggetti nazionali interessati.

Nel sono illustrati, a titolo di esempio, alcuni sistemi di celle a elettrolita polimerico a cui sta lavorando attualmente l’Ente.

(5) Il Protocollo di Kyoto del 1998 prevede che tutti i Paesi industrializzati si impegnino a ridurre, per il periodo 2008-2012, il totale delle emissioni di gas ad effetto serra almeno del 5% rispetto ai livelli del 1990. l’Italia si è impegnata per il 6,5%.

I VEICOLI A IDROGENO

A livello globale circa il 30% delle emissioni di CO2 in atmosfera è causato dai trasporti, del resto responsabili anche per altri tipi di inquinamento. Oltre ad agire sull’efficienza dei veicoli tradizionali e a cercare di utilizzare combustibili più puliti, per cercare di limitare l’effetto serra appare opportuno sviluppare la tecnologia del veicolo elettrico e, fra le varie soluzioni, quella più promettente a medio-lungo termine è basata sull’uso dell’idrogeno in veicoli equipaggiati con celle a combustibile. È per questi motivi che si dedicherà un po’ di attenzione all’approfondimento di questa opportunità.

l’UTILIZZO DELLE CELLE A COMBUSTIBILE NELLA TRAZIONE

l’intervento in questo settore è orientato allo sviluppo sia di motori a combustione interna, sia di motori con celle a combustibile, questi ultimi essenziali per un sistema di trasporto a minimo impatto ambientale. l’uso delle celle a combustibile per la trazione presenta infatti numerosi vantaggi ma comporta un grosso cambiamento rispetto alla filosofia attuale dei veicoli.

Grazie alle caratteristiche delle celle il consumo del veicolo é meno della metà di un veicolo tradizionale alimentato a idrogeno I veicoli con motori a celle a combustibile hanno tutte le caratteristiche di un veicolo elettrico, in quanto il sistema di generazione produce corrente continua. Su questi si troveranno quindi tutti i sistemi di regolazione e controllo della trazione propri dei veicoli a batteria.

Inoltre la presenza di un motore elettrico e di un sistema di accumulo consente il “recupero in frenata”, opzione che, soprattutto in cicli caratterizzati da molte accelerazioni e frenate, come quelli urbani, può portare a notevoli risparmi di combustibile.

Le prestazioni sono paragonabili a quelle dei veicoli tradizionali e l’autonomia dipende ancora una volta dalla tecnologia utilizzata per lo stoccaggio dell’idrogeno ma la maggior efficienza delle celle a combustibile (circa il doppio dell’equivalente motore convenzionale su cicli urbani, in quanto le celle non sono penalizzate nel funzionamento a potenza ridotta) semplifica un poco questo problema.

La guidabilità è quella dei veicoli elettrici che, come detto, ben si presta soprattutto a cicli urbani caratterizzati da accelerazioni a bassa velocità.

l’impatto ambientale di un veicolo a celle alimentato ad idrogeno è praticamente nullo, con i gas di scarico che contengono solamente aria e vapor d’acqua. Le caratteristiche delle celle (modularità, rendimenti elevati anche per dimensioni medio-piccole e per carichi parziali) permettono inoltre la realizzazione di veicoli con taglie anche molto diverse (dalla bici all’auto, all’autobus, alle motrici ferroviarie) con la stessa tecnologia e con caratteristiche di prestazioni, consumi ed impatto ambientale equivalenti.

Nel campo della trazione, dopo i primi prototipi realizzati con tecnologie diverse, il tipo di cella su cui si sono concentrati tutti i costruttori di veicoli è quello ad elettrolita polimerico, che meglio soddisfa i requisiti specifici dell’uso sui veicoli stradali (v. riquadro sotto). Anche il grado di maturità tecnologica sta crescendo, avendo le maggiori case automobilistiche già realizzato i primi prototipi marcianti, sia di autovetture che di autobus, anche se resta ancora molta strada da fare per iniziare una produzione di serie.

Celle a elettrolita polimerico

Rappresentano la tecnologia su cui sono focalizzate le attività di sviluppo dei principali costruttori automobilistici.

Vantaggi

Funzionamento a bassa temperatura

Elevata densità di potenza dello stack (~ 1,7 kW/l, ~ 1,3 kW/kg)

Assenza di problemi di corrosione tipici di altri tipi di celle con elettrolita liquido

Relativa semplicità costruttiva

Rapidità di partenza a freddo (circa un minuto)

Con idrogeno come combustibile il veicolo è a “zero emissioni”

Il fattore chiave su cui occorre focalizzare l’attenzione è rappresentato dalla riduzione dei costi.

Il target per un sistema con celle a combustibile, fissato dai costruttori di veicoli, è dello stesso ordine di grandezza di quello degli odierni motori (50-100 $/kW) ma attualmente il costo di questi ultimi è di gran lunga inferiore a quello degli attuali prototipi di sistemi con celle (5,000-10,000 $/kW).

Data la semplicità costruttiva di queste è facile ipotizzare che, in presenza di produzioni di massa, tali costi potranno essere drasticamente ridotti, almeno per quanto riguarda la manodopera e le lavorazioni meccaniche, ma attualmente il costo dei materiali (particolarmente catalizzatore, elettrodi e membrana) è ancora troppo alto per raggiungere gli obiettivi prefissati. Comunque tutti i principali costruttori automobilistici hanno in corso ricerche per tentare di abbattere i costi di questi componenti.

QUANDO IL VEICOLO A IDROGENO?

Vi sono diversi impedimenti che si oppongono alla penetrazione del veicolo a idrogeno e che richiedono uno sforzo notevole per la loro rimozione da parte di tutti i soggetti coinvolti (ed in particolare da parte delle autorità pubbliche) per far sì che la tecnologia si affermi definitivamente su larga scala nel giro di qualche decennio. Le principali barriere sono tecnologiche, strutturali, economiche, normative, di accettazione sociale.

Tra i problemi tecnologici, il sistema d’accumulo dell’idrogeno a bordo è uno dei più critici in quanto condiziona pesantemente l’autonomia del veicolo rispetto ai concorrenti convenzionali a causa dell’eccessivo peso e ingombro dei serbatoi attuali. Vanno pertanto intensificati gli sforzi in ricerca, sviluppo e dimostrazione sulle opzioni di stoccaggio praticabili, con l’obiettivo di aumentare la densità energetica sia in volume sia in peso. Inoltre, il costo di una cella ad elettrolita polimerico, in un sistema di produzione ottimizzato di scala industriale, risulterà molto influenzato dal contenuto di metalli preziosi nel catalizzatore. È pertanto necessario operare una riduzione del contenuto di platino nei catalizzatori e, in prospettiva, l’utilizzo di nuovi materiali sostitutivi di costo inferiore.

Fra gli ostacoli strutturali si può includere la mancanza di una rete di stazioni di rifornimento: l’avvio della realizzazione delle infrastrutture di distribuzione è un’operazione complessa da attuarsi con i produttori di autoveicoli, sia per l’incertezza sulla redditività dell’investimento, in mancanza di una domanda ben quantificabile, sia per quanto riguarda la scelta delle tecnologie di produzione dell’idrogeno, la fonte da usare, la modalità d’approvvigionamento, la scelta dei siti. Dovranno essere previste almeno due fasi: una prima, sperimentale, durante la quale l’idrogeno potrà essere fornito da strutture ad hoc predisposte presso i gestori delle flotte ed aperte all’utenza esterna; una seconda, accompagnata necessariamente da incentivi pubblici per coprire le perdite iniziali, in cui la commercializzazione dovrà essere accompagnata, se non preceduta, dal la realizzazione di un numero adeguato di strutture di rifornimento distribuite sul territorio, in modo da non pregiudicarne il successo.

I costi di un veicolo a idrogeno rappresentano un altro handicap con cui confrontarsi. Dopo la fase prototipale in cui tali mezzi sono comunque fuori mercato, le valutazioni, dopo circa 15 anni dall’avvio della fase di commercializzazione e una volta che siano subentrate economie di scala, oscillano intorno al prezzo di 20.000 US$ per autovettura, superiore di circa 2.000 US$ rispetto alla stima del prezzo di un’autovettura convenzionale equivalente.

Si rendono poi necessari interventi tempestivi mirati all’adeguamento della normativa, strutturata ora sulla tecnologia dei mezzi convenzionali di trasporto, così come sarebbero utili norme incentivanti, che privilegino la circolazione degli autoveicoli a idrogeno nei centri urbani, in quanto a basso impatto ambientale, o che sopperiscano ad alcune difficoltà di ordine pratico dovute, per esempio, all’incertezza di poter disporre di un conveniente mercato dell’usato per il veicolo, alla difficoltà in alcuni casi di assicurarlo e/o di avere premi di assicurazione confrontabili a quelli dei veicoli convenzionali, ecc.

Infine, a livello psicologico, i cittadini tendono mediamente a privilegiare l’uso delle tecnologie consolidate perché più familiari e quindi percepite più sicure e più vantaggiose. La penetrazione di una nuova tecnologia quindi dovrà essere accompagnata da una campagna di informazione tendente a ridurre la barriera di accettabilità sociale, attraverso una evidenziazione dei vantaggi connessi alla tecnologia e delle modalità per superare i possibili inconvenienti.

Dovrà rendersi noto, pertanto, che sia la sicurezza sia le prestazioni degli impianti e della tecnologia dell’idrogeno non hanno niente da invidiare rispetto a quelli tradizionali; in particolare anzi, i vantaggi ambientali si presentano indubbiamente superiori. l’utente, quindi, dovrà sviluppare una sensibilità ecologica più spinta e considerarsi sempre più protagonista nella realizzazione di una società compatibile con la salvaguardia dell’ambiente. Solo in questo caso l’idrogeno ci potrà realmente dare una mano a mantenere l’aria più pulita e a migliorare la vivibilità del pianeta.


Le possibilità di diversificare le fonti di approvvigionamento dunque non mancano, ma tutte hanno bisogno di sostegno politico e sociale, per il loro effettivo affermarsi. Poi sarà un’ovvietà ma la prima vera fonte rinnovabile resta il risparmio e l’ottimizzazione dei consumi.

Geotermia

La Geotermia - l’energia pulita

La risorsa geotermica è una fonte naturale di energia pulita. Il calore della terra, insieme al vento, all’acqua e al sole costituisce una delle fonti di energia rinnovabile.

Si tratta quindi di energia inesauribile nel tempo e in grado di contribuire ai nostri crescenti bisogni energetici senza compromettere l’ambiente e le risorse per le generazioni future.

Genesi

Durante lo sviluppo del nostro pianeta, particolari fenomeni magmatici fecero risalire i magmi fusi in superficie, in determinate zone della Terra. Oggi, in questi luoghi la crosta terrestre è più sottile ed il calore delle rocce del sottosuolo è dieci volte superiore alla media terrestre. A circa 2Km di profondità, si possono incontrare temperature di 300°C, che solitamente si trovano a 7-8Km. È questa l’energia geotermica, contenuta sotto forma di calore nelle rocce del sottosuolo.

Per poter utilizzare questo calore del sottosuolo, è necessario un mezzo “di trasporto” che solitamente è l’acqua che circola sotto terra. A contatto con il calore delle rocce, l’acqua, si riscalda e forma i serbatoi geotermici, dove l’alta temperatura è mantenuta da uno spesso strato di rocce impermeabili.

Per ottenere energia vengono prodotte artificialmente delle aperture (“fratture” quando esistono già naturalmente) come i pozzi. Nelle manifestazioni naturali una diminuzione di pressione e un’immediata fuoriuscita di acqua calda, sotto forma di vapore dà luogo ai famosi soffioni boraciferi.

Come Funziona

Le centrali geotermiche utilizzano il calore delle profondità terrestri. La temperatura interna del nostro pianeta aumenta a mano a mano che si scende verso il centro. Questo aumento della temperatura è detto gradiente geotermico ed è di circa 3°C per ogni cento metri di profondità.

La prima fase consiste nell’individuazione del serbatoio geotermico. Il sottosuolo viene investigato mediante apposite prospezioni per valutarne le caratteristiche. Una volta individuato un sito, con un serbatoio geotermico promettente si passa alla fase di esplorazione profonda. Se i pozzi esplorativi confermano le indicazioni degli studi geoscientifici, si può passare alla fase di utilizzo, mediante i pozzi di produzione/reiniezione e le centrali geotermoelettriche. I limiti di profondità che attualmente è possibile ed economicamente conveniente raggiungere con la perforazione sono di circa 5000 metri.

Dai pozzi il vapore, tramite vapordotti (tubazioni in acciaio coibentato), viene trasportato alla centrale geotermoelettrica per essere immesso nella turbina (una macchina ruotante che trasforma parte del contenuto energetico del vapore in energia meccanica). È poi compito del generatore di corrente, o alternatore, trasformare l’energia meccanica di rotazione della turbina in energia elettrica.

All’uscita della turbina il vapore passa nel condensatore, dove una pioggia di acqua fredda proveniente dalle torri di refrigerazione lo raffredda condensandolo. Una frazione del fluido così ottenuto viene reintrodotta nel sottosuolo mediante appositi pozzi di reiniezione. Il rimanente evapora nelle torri di refrigerazione ed è immesso nell’atmosfera.

La reiniezione permette di mantenere in equilibrio l’ecosistema grazie alla restituzione di parte delle sostanze estratte; inoltre, restituendo parte del fluido, si riesce a prolungare l’efficienza del serbatoio. Dalla centrale geotermoelettrica escono quindi gli acquedotti che portano i fluidi al sistema di reiniezione ed i conduttori elettrici che portano l’elettricità alla stazione di trasformazione.


Come certificare la Energia Pulita

Il ricorso all’energia pulita è una necessità per abbattere le immissioni di CO². Sono stati creati appositi strumenti per produrre energia da fonti rinnovabili (certificati verdi e RECS). Vediamo come in Italia sia possibile scegliere l’energia pulita nel pieno rispetto dell’ambiente.

Per "energia pulita" si intende l’energia prodotta da impianti alimentati da fonti rinnovabili (sole, vento, risorse irdiche e geotermiche, maree, moto ondoso, biogas e biomasse). l’energia così prodotta ha un valore intrinseco superiore a quella prodotta attraverso l’utilizzo di combustibili fossili (metano, petrolio e carbone) poiché, a differenza di questi ultimi, è prodotta senza immettere nell’ambiente gas responsabili dell’effetto serra né altre emissioni nocive e, inoltre, la sua disponibilità si rinnova grazie ai cicli naturali.
Per questo il protocollo di Kyoto incentiva e riconosce quest’energia come fondamentale per lo sviluppo sostenibile, che unisce il progresso con la salvaguardia dell’ambiente.

Per stimolare la produzione di energia da fonti rinnovabili sono stati creati anche appositi “strumenti economici”. Un tempo, prima della liberalizzazione del mercato elettrico, vi era la tariffa “Cip6”, ovvero un compenso per chilowattora [KWh] riconosciuto dallo Stato ai produttori di energia rinnovabile. Oggi esistono invece dei veri e propri strumenti di mercato, i “certificati verdi”, statali e obbligatori.
Con la liberalizzazione, infatti, tutti i produttori di energia elettrica devono avere in portafoglio almeno il 2.35% di energia rinnovabile rispetto alla quota prodotta o importata l’anno precedente. Chi non ne produce, secondo l’obbligo di legge, deve comprare i certificati corrispondenti. Chi ne produce di più può invece vendere la sua quota eccedente sotto forma di certificato. Più in dettaglio, il decreto Bersani dice che chi produce energia da fonti rinnovabili ha diritto a titoli (uno ogni 50 megawattora [MWh] di energia) emessi dal Gestore di rete (Grnt).

Esiste anche un altro sistema di certificati per sostenere il mercato delle rinnovabili, quello dei certificati RECS. Il progetto del RECS (Renewable Energy Certificate System) è nato in ambito europeo per favorire lo sviluppo, sulla base di una certificazione standard, di un mercato volontario e internazionale (Unione Europea, Australia, Nuova Zelanda e Giappone) di Green certificate. I certificati RECS attestano la produzione di energia elettrica verde di uno specifico impianto per un quantitativo minimo di un megawattora.
Ad ogni certificato è attribuito un valore economico che viene corrisposto al produttore e che rappresenta un mezzo di incentivazione alla produzione di energia elettrica da fonte rinnovabile per quegli impianti che, altrimenti, non sarebbero in grado di produrre energia pulita a un costo competitivo rispetto a quello delle fonti tradizionali. Il sistema RECS coinvolge più di 90 membri tra produttori, trader e società di certificazione del settore elettrico appartenenti a 17 paesi. Edison è una delle società italiane che ha aderito al sistema RECS e offre ai suoi clienti la possibilità di acquistare energia "pulita certificata". Il sistema dei certificati verdi italiani e quello dei certificati internazionali RECS non sono sovrapponibili. l’energia pulita non può infatti essere riconosciuta dal sistema di certificati verdi e al tempo stesso dal sistema RECS, uno esclude l’altro, questo per evitare che la stessa energia venga sovvenzionata al tempo stesso due volte con i due diversi meccanismi.

Da uno sguardo attento ai paesi europei, si nota che l’acquisto d’energia da fonti rinnovabili è molto diffuso non solo presso i produttori ma anche presso le aziende e le famiglie e che solo in quest’ultimo anno, in Italia si sta avendo un incremento in tal senso accompagnato anche da una maggiore sensibilità per le tematiche ambientali.

Infatti, sempre più aziende decidono di utilizzare l’energia pulita avviando così un ciclo virtuoso che aiuta la salvaguardia dell’ambiente.

Fonti:
     Edison, Marzo 2006


Con Edison, l’energia pulita si firma ECODOC

Edison Energia, da sempre attenta alle tematiche di tutela ambientale e di risparmio energetico, per soddisfare maggiormente le esigenze dei suoi clienti, ha lanciato sul mercato nuove opportunità per scegliere una fornitura di energia proveniente da fonti rinnovabili. Questo con un duplice obiettivo:
• valorizzare l’attenzione e la sensibilità ambientale del cliente stesso conferendogli contestualmente un vantaggio competitivo rispetto alle imprese concorrenti;
• fornire alle imprese uno strumento che evidenzia e certifica la loro scelta di rispetto dell’ambiente attraverso l’uso di energia elettrica da fonti rinnovabili.

Per questo Edison propone per le piccole e medie imprese "Edison Idea Verde", un’offerta interamente dedicata all’energia proveniente da fonti rinnovabili ed ha perfezionato l’opzione "Green" associata alle offerte studiate per le grandi aziende. Entrambe le opportunità consentono di acquistare energia pulita certificata RECS e in più offrono alle imprese la possibilità di dare visibilità alla loro scelta, attraverso l’utilizzo del marchio ECODOC, su tutta la loro comunicazione aziendale e sui loro prodotti/servizi.

Ma scopriamo le caratteristiche del nuovo marchio ECODOC che firma i prodotti Edison dedicati all’energia da fonti rinnovabili. Lanciato l’11 maggio 2005 il marchio "ECODOC - Energia elettrica dalla natura" nasce con il desiderio di trasmettere ai clienti tre concetti importanti legati all’energia pulita: quello di produzione di energia elettrica utilizzando solo ed esclusivamente le fonti rinnovabili presenti in natura (acqua e vento); quello di rispetto dell’ambiente e perciò di ECOlogia ed infine quello di certificazione controllata della produzione DOC da parte di un ente garante terzo (Recs International Association).

Edison Energia ha voluto dedicare molta attenzione alla parte creativa del logo creando un'immagine grafica che potesse essere semplice, immediata e allo stesso tempo originale: il disegno realizzato rappresenta un albero stilizzato, simbolo della natura, del verde, il cui tronco e chioma ricordano la tradizionale lampadina, simbolo oramai consolidato dell’energia elettrica.

Tutti i clienti Edison che acquistano energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili potranno utilizzare, per tutta la durata del contratto di fornitura, il marchio ECODOC sui propri prodotti e/o materiale riguardante la resa dei propri servizi, su tutto il materiale cartaceo pubblicitario e commerciale attinente all’attività aziendale (carta da lettere, fatture, bollettari, ecc.). Una bella sfida quella di Edison che vuole offrire ai propri clienti una scelta "verde" anche per la loro fornitura energetica.
Edison Energia, da sempre attenta alle tematiche ambientali, per promuovere l’uso di energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili, propone sul mercato libero una nuova offerta: "Edison Idea Verde" per le piccole imprese e un'opzione "Green" abbinata ad alcune offerte Edison dedicate alle aziende medio-grandi; questo permette alle aziende di acquistare i certificati RECS, legati al consumo di elettricità, e favorire così lo sviluppo di quel mercato volontario e internazionale per la produzione di energia pulita.
Inoltre le aziende che decidono di utilizzare l’energia pulita di Edison, potranno utilizzare il marchio "ECODOC - Energia elettrica dalla natura" per tutta la durata del contratto, sia sul materiale pubblicitario aziendale che sul packaging dei propri prodotti. l’azienda, così facendo, non solo sceglie l’energia pulita per la propria produzione ma ha anche la possibilità di comunicare chiaramente alla propria clientela la scelta fatta, dandole massimo risalto e visibilità. Una nuova offerta Edison quindi, disegnata, ancora una volta, per essere accanto al cliente, in questo caso un cliente che intende distinguersi per l’attenzione data alla salvaguardia dell’ambiente. Condividendo con la sua scelta non solo le sue necessità economiche ma anche i suoi valori di responsabilità sociale e contribuendo così allo sviluppo di un nuovo, promettente mercato di energia certificata verde.

Fonte: Edison, Marzo 2006


Ottimizzazione Energetica
Risparmiare Energia

Il mercato libero dell’energia consente di migliorare la propria gestione energetica, attraverso una scelta oculata del fornitore e delle opportunità contrattuali, consentendo di modulare nel tempo la propria fornitura. Contrariamente a quanto accade nel mercato vincolato, infatti, si può variare l’assetto contrattuale della propria fornitura e chiedere al fornitore servizi accessori per accedere ai propri dati ed ottimizzare nel tempo i propri consumi. Identificare gli strumenti necessari per il monitoraggio delle forniture e le analisi più utili che si possono fare, direttamente o con l’aiuto di consulenti specializzati, per migliorarle. Se in passato, infatti, solo poche, grandi aziende potevano permettersi le competenze di uno specialista che facesse "quadrare i conti" dei consumi aziendali, oggi, grazie allo sviluppo dei servizi Internet ed ai servizi di consulenza offerti dalle aziende energetiche, anche i singoli cittadini, le piccole e le medie imprese possono migliorare l’efficienza dei propri processi e garantirsi risparmi considerevoli.

Risparmiare energia? Accendiamo il PC!
Da dove partire?
Il punto di partenza è senz’altro l’acquisizione delle informazioni! Anche questa è una novità del mercato libero. Sul mercato vincolato, il contatore dell’elettricità è sempre stato un "oggetto misterioso", che difficilmente viene utilizzato come fonte di dati utili alla gestione aziendale o familiare. I dati che presenta non sono del tutto completi. E' per questo motivo che molti fornitori offrono oggi servizi di telemetering che, in seguito all’installazione di apposite apparecchiature di rilevamento, consentono di accedere via web ai propri dati di consumo.

I servizi presenti sul mercato hanno diversa qualità. Alcuni sono offerti a pagamento, altri sono gratuiti. Varia anche il dettaglio dei dati forniti (mensile, settimanale o addirittura per quarto d'ora) e l’integrazione con altre informazioni o servizi (ad esempio l’accesso diretto ai dati di fatturazione o la possibilità di intervenire direttamente online sulle previsioni contrattuali).

Analizzare i dati per risparmiare energia
Una volta ottenuti i dati via web, bisogna passare all’esame delle tabelle che indicano tutti i prelievi effettuati in un certo periodo di tempo. È qui che rischiamo subito di perderci tra molte informazioni nuove e non necessariamente facili da decifrare. I dati "base" dei vostri consumi, devono indicare i valori di "Energia" (ovvero il consumo totale, espresso in chilowattora - kWh) e di "Potenza" (ovvero il "livello di prelievo", espresso per ogni quarto d'ora in chilowatt - kW). Questi valori indicheranno i vostri consumi effettivi e vi consentiranno di identificare gli scostamenti rispetto alle previsioni che avete formulato. Ed eccoci alla prima grande opportunità di risparmio, offerta da un'attenta analisi dei consumi: ridurre il rischio di costi imprevisti, attraverso una migliore programmazione.
Per comprendere davvero le opportunità di risparmio, è importante assicurarsi, quindi, di ottenere i dati in un formato utile all’analisi della propria situazione contrattuale specifica. Ad esempio, un'azienda fornita con una tariffa "monoraria" (ovvero priva di variazioni nei diversi momenti della giornata) avrà bisogno di controllare esclusivamente il totale dell’energia prelevata e della potenza impegnata, ma tutti coloro che hanno stipulato un contratto a tariffa "multioraria" (ovvero con i prezzi modulati per fasce orarie) avranno invece bisogno di un dettaglio diverso che li aiuti a capire (quarto d'ora per quarto d'ora) qual e' il livello di consumo effettivo. È importante anche, che venga evidenziata l’energia reattiva, la quota di energia assorbita direttamente dagli impianti per poter funzionare, che può generare rilevanti costi aggiuntivi.
Ci sono molti aspetti di una fornitura energetica che, se non conosciuti e gestiti correttamente, possono generare costi aggiuntivi rilevanti, soprattutto alle imprese che per seguire "in corsa" i cambiamenti dei propri mercati hanno poca possibilità di programmare le proprie produzioni con largo anticipo.
A questo punto per l’impresa è necessario analizzare l’andamento dei prelievi e verificare quali miglioramenti si possano apportare, ottimizzando la fornitura di energia elettrica o, addirittura, intervenendo sui processi produttivi per ridurne eventuali inefficienze.

Fonti:
     Edison, Ottobre 2005


Energia
Guida al prezzo dell’energia elettrica

Scopriamo come si calcola il prezzo dell’energia, quali sono le componenti che ne influenzano l’andamento, quali sono gli attori coinvolti e come valutare le opportunità di ottimizzazione e risparmio. Cominciamo col dire che è difficile parlare di "prezzo". Quello che l’uetente finale paga, infatti, e' la somma di tante componenti diverse, spesso regolate da un'autorità' pubblica. Anche per quel che riguarda il mercato libero, le esigenze di chiarezza e trasparenza verso il cliente, hanno indotto molti fornitori ad utilizzare le tariffe del mercato vincolato come riferimento su cui applicare poi vantaggi e sconti. Nel mercato vincolato, in buona sostanza, quello che chiamiamo per brevità "prezzo" e' la somma di "tariffe", "componenti indicizzate", "oneri" e "imposte": un mix molto diverso dai prezzi di listino cui siamo abituati per altri prodotti.

Le componenti fondamentali del prezzo dell’energia
Il prezzo finale, come abbiamo detto, e' composito. Cominciamo da una componente che e' costante, per tutti i prodotti che acquistiamo abitualmente: le imposte. Anche sull’energia paghiamo IVA, imposte erariali e l’addizionale provinciale. C'e' da segnalare subito, però, che nel caso delle forniture energetiche per le imprese, i trattamenti fiscali sono diversi da settore a settore e da provincia a provincia. Oltre a questo ci sono gli oneri, ovvero una serie di importi accessori che si sono accumulati nel tempo, allo scopo di remunerare alcuni doveri specifici dell’ex- monopolista, dal servizio universale alla dismissione degli impianti termonucleari a seguito del referendum del 1987. Poi, i costi di trasporto, che remunerano i servizi erogati dal distributore locale cui la vostra azienda e' allacciata. Infine, il vero "costo dell’energia”, il “prodotto”. Esso è remunerato in bolletta attraverso una componente denominata CCA (Componente Costo d’Acquisto), i cui valori sono stabiliti dall’Autorità per l’energia e il gas ogni tre mesi (potete consultarne i valori sul sito www.autorita.energia.it). Quando sentiamo al telegiornale che le tariffe elettriche rischiano di aumentare dopo un aumento del prezzo del petrolio, e' proprio in virtù di questa componente: essa varia infatti periodicamente in relazione all’andamento dei mercati internazionali dei combustibili, il cui riferimento fondamentale è proprio il petrolio. Una volta composto il prezzo finale del mercato vincolato, entrano in gioco le potenzialità di risparmio offerte dal mercato libero: sconti, bonus a volume, bonus di buona programmazione o tutto quello che il fornitore di energia propone ai propri clienti.

Il funzionamento della CCA, il prezzo dell’energia e dei combustibili
Quando paghiamo l’energia elettrica sul mercato vincolato, ci confrontiamo con l’intero "sistema energetico" nazionale, indipendentemente dalla centrale che ci ha fisicamente fornito il prodotto che abbiamo scaricato. In Italia, gli impianti di generazione utilizzano diversi tipi di combustibile per alimentare le turbine che producono energia: oltre alle fonti rinnovabili (aria, sole, vento, biomasse, etc.), che evidentemente non vengono acquistate, i chilowattora che consumiamo sono prodotti soprattutto attraverso olio minerale, gas e carbone, ecc. Tutto questo compone un "paniere" dei combustibili tarato sui consumi dell’intero parco macchine nazionale; un peso particolare ha evidentemente il valore del BRENT, ovvero del prezzo del petrolio trattato sui mercati internazionali. Ogni tre mesi l’Autorità' per l’energia elettrica e il gas valuta l’andamento dei prezzi del paniere e aggiorna il valore di questa componente attraverso una delibera periodica, attesissima da tutti gli operatori. Cosa sta succedendo adesso? Tutti gli occhi sono puntati sulla situazione internazionale e sulle trattative tra i paesi produttori di petrolio. Per monitorare costantemente l’andamento dei mercati internazionali dei combustibili, Edison Energia vi mette a disposizione un dettagliato rapporto mensile scritto da esperti che raccontano quel che succede ai prezzi del petrolio con uno sguardo "dietro le quinte". Potete registrarvi gratuitamente al sito www.edisonenergia.it e accedere al centro servizi online. Le prossime tappe nell’analisi del prezzo dell’energia, saranno il trasporto, gli oneri e proveremo a quantificare il peso delle diverse componenti sul costo finale del chilowattora.

Energia
Guida al prezzo dell’energia elettrica - II parte

"Energie per fare impresa", ha iniziato per voi un viaggio alla scoperta del prezzo dell’energia elettrica per aiutarvi ad entrare nei meccanismi che lo compongono: tante componenti diverse, che remunerano i costi ed i servizi di diversi operatori della filiera e che variano seguendo logiche differenti. Abbiamo cominciato introducendo il concetto di “CCA” (Componente Costo d’Acquisto), ovvero la componente che stabilisce il costo dell’energia e che varia periodicamente in base all’andamento dei mercati internazionali dei combustibili. Adesso cerchiamo di capire quali sono le altre componenti che incidono sulla bolletta finale. Sicuramente vedremo il trasporto, un po' come per tutti i prodotti che acquistiamo in azienda, poi naturalmente ci sono le imposte e infine una voce di costo peculiare del mercato elettrico gli oneri, che remunerano alcune attività tipiche retaggio di investimenti e disinvestimenti passati, relativi all’intero sistema elettrico nazionale. Cominciamo ad approfondire la questione del trasporto.

"Trasportare" l’energia… sì ma come si paga? Prima di tutto, è opportuno chiarire a cosa si riferisce il termine trasporto e di quale servizio effettivamente si tratta. Quando la vostra azienda stipula un contratto di fornitura di energia, il vostro nuovo fornitore si impegna a immettere in rete dalle sue fonti di energia, tanta elettricità quanta voi ne consumate in quel preciso istante. Oltre al prezzo della “pura energia” fissato dal vostro fornitore, la vostra azienda dovrà sostenere anche dei costi legati al fatto che il sistema elettrico italiano “consegni” l’energia ai vostri impianti. Queste voci di costo aggiuntive compongono il corrispettivo dovuto dalla vostra azienda al Distributore Locale per il cosiddetto “servizio di trasporto”. Esistono tre tipi di costi: quelli per il trasporto dell’energia elettrica sulla rete di trasmissione nazionale; quelli per il trasporto dell’energia sulla rete di distribuzione del vostro Distributore Locale e quelli di installazione e manutenzione del vostro misuratore (contatore), che comprendono anche la lettura dei dati da parte del personale incaricato dal Distributore. Dove sono definiti i prezzi relativi a queste componenti e da chi? Per la parte relativa alla Distribuzione, sono definiti nelle cosiddette “opzioni tariffarie” proposte da ciascun Distributore Locale ed approvate dall’Autorità. Sono tariffe imposte dall’Autorità, invece, quelle relative a trasmissione e misura. C'è da aggiungere che il corrispettivo di trasporto non dipende in nessun modo dalla distanza tra la centrale cui siete allacciati ed il vostro punto di riconsegna, ma viene calcolato in base all’effettiva energia elettrica prelevata e alla potenza. Nel costo del trasporto, peraltro, è inclusa anche la remunerazione dell’energia reattiva, ovvero dell’energia elettrica che i vostri impianti (se non rifasati) assorbono in aggiunta a quella attiva utilizzata per i vostri processi produttivi.Perché anche questa componente viene pagata al Distributore? Perché in presenza di un elevato valore di energia reattiva (superiore al 50% del valore di energia attiva prelevata), il distributore locale che vi fornisce deve sostenere rilevanti costi aggiuntivi per servire la vostra azienda. Diventa quindi un fattore importantissimo di risparmio l’ottimizzazione dei consumi sulle forniture energetiche. Uniformare i prelievi ed eliminare picchi di potenza aiuta a ridurre i costi di trasporto in misura molto rilevante. I corrispettivi di prezzo, infatti, sono determinati dai distributori locali ed approvati dall’Autorità (non quindi dal vostro fornitore di energia) sul totale dell’energia prelevata, attraverso un complesso sistema di calcolo basato sul picco massimo di potenza. Abbattere i picchi inutili, quindi, consente di ridurre (e non di poco) l’ammontare finale della fattura.

"Trasportare" l’energia… sì ma come si paga?

Prima di tutto, è opportuno chiarire a cosa si riferisce il termine trasporto e di quale servizio effettivamente si tratta. Quando la vostra azienda stipula un contratto di fornitura di energia, il vostro nuovo fornitore si impegna a immettere in rete dalle sue fonti di energia, tanta elettricità quanta voi ne consumate in quel preciso istante. Oltre al prezzo della “pura energia” fissato dal vostro fornitore, la vostra azienda dovrà sostenere anche dei costi legati al fatto che il sistema elettrico italiano “consegni” l’energia ai vostri impianti. Queste voci di costo aggiuntive compongono il corrispettivo dovuto dalla vostra azienda al Distributore Locale per il cosiddetto “servizio di trasporto”. Esistono tre tipi di costi: quelli per il trasporto dell’energia elettrica sulla rete di trasmissione nazionale; quelli per il trasporto dell’energia sulla rete di distribuzione del vostro Distributore Locale e quelli di installazione e manutenzione del vostro misuratore (contatore), che comprendono anche la lettura dei dati da parte del personale incaricato dal Distributore. Dove sono definiti i prezzi relativi a queste componenti e da chi? Per la parte relativa alla Distribuzione, sono definiti nelle cosiddette “opzioni tariffarie” proposte da ciascun Distributore Locale ed approvate dall’Autorità. Sono tariffe imposte dall’Autorità, invece, quelle relative a trasmissione e misura. C'è da aggiungere che il corrispettivo di trasporto non dipende in nessun modo dalla distanza tra la centrale cui siete allacciati ed il vostro punto di riconsegna, ma viene calcolato in base all’effettiva energia elettrica prelevata e alla potenza. Nel costo del trasporto, peraltro, è inclusa anche la remunerazione dell’energia reattiva, ovvero dell’energia elettrica che i vostri impianti (se non rifasati) assorbono in aggiunta a quella attiva utilizzata per i vostri processi produttivi.Perché anche questa componente viene pagata al Distributore? Perché in presenza di un elevato valore di energia reattiva (superiore al 50% del valore di energia attiva prelevata), il distributore locale che vi fornisce deve sostenere rilevanti costi aggiuntivi per servire la vostra azienda. Diventa quindi un fattore importantissimo di risparmio l’ottimizzazione dei consumi sulle forniture energetiche. Uniformare i prelievi ed eliminare picchi di potenza aiuta a ridurre i costi di trasporto in misura molto rilevante. I corrispettivi di prezzo, infatti, sono determinati dai distributori locali ed approvati dall’Autorità (non quindi dal vostro fornitore di energia) sul totale dell’energia prelevata, attraverso un complesso sistema di calcolo basato sul picco massimo di potenza. Abbattere i picchi inutili, quindi, consente di ridurre (e non di poco) l’ammontare finale della fattura.

Le altre componenti: Oneri e imposte A questo punto ci restano solo le ultime due componenti della fattura. Vediamo gli oneri, innanzitutto. Essi vanno a copertura di diversi costi di sistema, ovvero dei costi &lsquo,strutturali’ che l’ex-monopolista ha dovuto sostenere per seguire l’evoluzione del sistema energetico nazionale: lo sviluppo delle fonti rinnovabili, i regimi tariffari speciali, lo smantellamento del nucleare, il servizio universale a tutte le utenze italiane, ecc. Queste sono le “componenti A” del contratto. Hanno una componente fissa annuale euro/cliente ed una che varia in proporzione al consumo di energia. Sono tutte fissate dall’Autorità per l’energia e il gas. Per quanto riguarda invece le imposte, come accade per tutti i prodotti anche l’energia elettrica è soggetta ad IVA, a tale imposta poi si aggiungono altre imposte specifiche, come le imposte erariali e le addizionali provinciali e comunali.A questo punto, il quadro generale del prezzo dell’energia elettrica è completato, abbiamo ben chiaro che non si tratta di un costo unico, ma di un insieme di varie componenti spesso regolate dall’Autorità o da altri soggetti, diversi dal vostro fornitore “di prodotto”, anche quando il cliente passa sul mercato libero. Diventa quindi fondamentale conoscere il mercato energetico, comprenderne i concetti chiave e dotarsi di tutti gli strumenti per analizzare le proprie forniture. Un po’ come “Energie per fare impresa” vi aiuta a fare.

Gas

Dal 1° gennaio 2003 il mercato del gas naturale in Italia è stato completamente liberalizzato, portando a compimento il processo di apertura iniziato nel 1999. Tutti i clienti hanno la possibilità di scegliere il proprio fornitore.

Il Mercato del Gas

Struttura, innovazioni, liberalizzazione, offerte….

Distribuzione, produzione e vendita

Produzione, distribuzione, vendita: questa la ripartizione del mercato del gas all’indomani dell’approvazione del decreto Letta (D.L. 23 maggio 2000 n. 164) che ha liberalizzato l’importazione, l’esportazione, il trasporto, il dispacciamento, la distribuzione e la vendita del gas naturale.

A partire dal 1° gennaio 2003, quindi, tutti gli utenti sono liberi di acquistare il gas da fornitori direttamente selezionati sul mercato. In pratica il mercato del gas, prima gestito in regime di monopolio, con la liberalizzazione di alcuni settori, come la vendita, si sepra che si sia avviato a divenire concorrenziale. Più operatori sul territorio vendono gas proponendo offerte diverse, in regime, quindi, di concorrenza.

Come già avvenuto per il settore elettrico, il Decreto Letta ha istituito la figura del cliente idoneo, ossia la persona fisica o giuridica che ha la capacità di stipulare contratti di fornitura di energia elettrica con qualsiasi produttore, distributore e grossista sia in Italia, sia all’estero.

Una importante opportunità per l’ottimizzazione delle forniture energetiche nelle aziende e per tutti i consumatori. Vediamo gli aspetti principali dell’attività di distributori e venditori.

Il distributore, che opera sul territorio in regime di monopolio legale (ovvero ottiene la concessione dall’ente locale di riferimento), gestisce la rete di distribuzione e provvede, per conto del cliente finale o del venditore, ad allacciare il cliente alla rete del gas, e a fare per conto del cliente o del venditore tutte le operazioni connesse alla gestione dell’impianto del gas, fino al contatore.

Il distributore ha anche la possibilità di rifiutare l’allacciamento al cliente nel caso in cui il suo impianto interno (la parte di impianto che collega il contatore con le apparecchiature di utilizzo del cliente) non sia in regola con le norme di sicurezza. Il distributore è anche responsabile di posa, manutenzione, verifica e lettura periodica del contatore del cliente.

Il venditore compra il gas all’ingrosso e lo vende al cliente finale. Per far giungere il gas acquistato al cliente finale, il venditore ha la necessità di farlo trasportare sulle reti di trasporto nazionale, regionali e locali. Il venditore oltre a sostenere il costo di acquisto del gas, paga al gestore delle reti di trasporto l’uso della rete e delle altre infrastrutture, secondo una tariffa che è fissata dall’Autorità per l’Energia Elettrica e il Gas. Il venditore è colui che si proporrà al cliente per fornirgli il gas, ed è il soggetto con cui il cliente stipula il contratto per l’acquisto di gas.

Stato di Evoluzione del Processo di Liberalizzazione

Questa è la situazione sulla carta. In realtà, allo stato attuale, non si può ancora dire che il processo di liberalizzazione sia completo. Diversi operatori, sia pubblici che privati, non hanno ancora portato a termine la separazione obbligatoria delle attività di distribuzione da quelle di vendita, secondo quanto previsto dal decreto stesso. Il Ministero delle Attività Produttive ha infatti concesso un periodo transitorio per quelle società che all’inizio del 2003 non erano in linea con le indicazioni normative e, di fatto, operano ancor oggi in un regime integrato, seppure con alcune limitazioni.

Esiste inoltre un’elevata complessità nel processo di approvvigionamento da parte dei nuovi operatori. Tutto ciò avviene perché i mercati del gas hanno tempi operativi lunghi e questo ha contribuito in Italia al mantenimento delle posizioni di vantaggio consolidate in passato.

Ciò detto va sottolineato anche che ciascun processo di liberalizzazione richiede un periodo di rodaggio in cui tutti i componenti della filiera, dai produttori agli utilizzatori finali, sono chiamati a compiere uno sforzo di comprensione e adeguamento ai nuovi meccanismi.

Nel complesso quindi, i vantaggi concreti, in termini di efficienza e di risparmio, sono davvero a portata di mano, ma saranno possibili solo per quegli utilizzatori finali che avranno la capacità di valutare le nuove opportunità, di ottimizzare nel tempo le proprie forniture e di dialogare in modo innovativo con i nuovi operatori di mercato.


Componenti del costo del gas

Viaggio alla scoperta del prezzo del gas naturale per scoprire insieme a voi quali sono i fattori che concorrono alla sua formazione, quali sono le variabili che possono provocare delle oscillazioni, quali sono gli attori (economici e non) che interagiscono nel mercato e in che modo è possibile ottimizzare il funzionamento della filiera al fine di garantire trasparenza, efficienza e stabilità.

Come per l’elettricità, anche per il gas naturale non è semplice parlare di "prezzo". Infatti quello che il consumatore paga è la somma di più componenti, in gran parte regolate dalle decisioni e dai vincoli di un’autorità pubblica. Il mercato del gas, è peraltro completamente liberalizzato dal 1° gennaio 2003 a differenza di quello dell’elettricità. Ciò significa che già oggi tutti i consumatori sono liberi di scegliere il proprio fornitore di gas naturale.

Le tariffe di un mercato libero

In questa prima fase del mercato liberalizzato, non si è effettivamente generato un contesto concorrenziale. Ad oggi infatti restano ancora forti alcuni vincoli (soprattutto legati al monopolio di fatto della distribuzione) che impediscono la nascita di condizioni economiche favorevoli al cambio di fornitore.

Veniamo però alla tariffa di vendita e scopriamo cosa comprende. Innanzitutto il costo della materia prima (la cui variazione periodica è indicizzata ogni tre mesi in base alle quotazioni dei prodotti petroliferi), il costo del servizio e il costo del servizio di vendita. La tariffa di distribuzione (di competenza dell’impresa che gestisce la rete di distribuzione), divisa in una quota fissa (in euro/anno) e in una quota variabile, fissata, invece, in euro a metro cubo di consumo, con valori decrescenti al crescere del consumo.

l’assegnazione del cliente a uno scaglione di quota fissa si basa in genere sui dati di consumo dell’anno termico precedente, oppure sulle previsioni di consumo.

Componenti Fondamentali del Costo del Gas

Basta leggere con attenzione una bolletta per scoprire che il prezzo finale del gas naturale è composto da numerose voci. Tra l’altro bisogna ricordare che il costo del gas in Italia è molto diverso dalle altre località, infatti attualmente non è liberamente determinato tra chi lo vende, chi lo distribuisce e il compratore (quindi determinato dal mercato come prezzo), ma vengono fissate dall’Autorità dell’Energia e del gas delle tariffe in funzione dell’utilizzo finale. Inoltre, nel medesimo ambito territoriale, in funzione dell’utilizzo, si avranno prezzi finali diversi. Le componenti che compongono la tariffa finale sono di valore diverso in funzione della categoria di utilizzo.

La struttura delle tariffe attualmente in vigore si suddivide in tre distinte categorie. La prima, la tariffa T1, è quella che il gestore applica a chi utilizza il gas metano distribuito per la cottura dei cibi e per l’acqua calda, la T2, è la tariffa per l’utilizzo ai fini del riscaldamento degli ambienti e, infine, la T3, quella per gli utilizzi industriali e artigianali.

Un’altra voce è quella delle imposte. Fra di esse ci sono l’imposta di consumo e l’addizionale regionale. Inoltre c’è da considerare che sulle numerose voci fiscali, come di consueto, si applica l’Iva.

Formazione del Prezzo del Gas

Oltre all’approvvigionamento di materia prima e alle imposte, che sono le voci principali, il cliente trova in fattura anche numerosi servizi necessari affinché il gas arrivi a destinazione. Il gas, infatti, deve essere trasportato fino al cliente, utilizzando le grandi condotte nazionali in alta pressione e, per i clienti medio-piccoli, anche le reti locali di distribuzione. Tra le altre voci ci sono anche quelle dell’ingrosso e della commercializzazione oltre al servizio di stoccaggio, fondamentale per l’ottimizzazione del sistema del gas.

Sul prezzo finale del gas naturale concorrono molte componenti che non possono essere controllate dal cliente e dal suo fornitore diretto, come il fisco, le componenti tariffarie regolata dall’Autorità e l’andamento dei mercati internazionali dei combustibili. Per il cliente, tuttavia, è possibile prevedere in futuro una più elevata possibilità di scelta tra fornitori diversi. Questo porterà, come è già avvenuto per l’energia elettrica, ad una maggiore capacità negoziale sia sulla fornitura sia sui servizi aggiuntivi che consentono una migliore ottimizzazione dei costi dei propri profili.

Dalle tariffe ai prezzi

I clienti professionali, nella maggior parte dei casi, hanno soluzioni negoziali più flessibili rispetto a quelle, più rigide legate alla vecchia tariffa dei consumatori domestici. I contratti di fornitura durano in genere un anno termico, cioè il periodo di dodici mesi che va dal primo luglio al 30 giugno dell’anno successivo, e vengono espressi in metri cubi standard oppure in Sm³, un’unità di misura convenzionale pari al gas alla pressione atmosferica e alla temperatura di 15 gradi. Inoltre, in alcuni casi può essere considerato anche il potere calorifico superiore, o pcs, che sta a indicare la quantità di calore prodotta dalla combustione completa dell’unità di volume oppure di massa del gas, poiché l’energia prodotta dalla combustione varia in funzione della composizione e della qualità del gas.

Il prezzo è composto da quattro elementi essenziali. Una componente riflette i costi di approvvigionamento della materia prima (il costo del gas e il costo del trasporto dal giacimento sino all’utilizzatore, connesso anche alla localizzazione del cliente), i costi logistici di trasporto su rete primaria, dispacciamento e stoccaggio, i costi della distribuzione locale su rete secondaria e la copertura dell’attività di vendita e di fatturazione.

Per assicurare lo sviluppo della concorrenza, gli operatori che garantiscono il servizio di trasporto e dispacciamento del gas e chi gestisce lo stoccaggio sono obbligati ad assicurare a chiunque lo chieda l’accesso alle reti oppure agli stoccaggi, a parità di condizioni; poiché chi possiede le condotte o impianti di stoccaggio opera in condizioni di monopolio naturale, queste attività sono remunerate con tariffe determinate dall’Autorità dell’energia. Sono separate anche le attività di distribuzione (cioè gestione del servizio di consegna locale del gas attraverso la rete di condotte minori, attività data in concessione dai Comuni e remunerata a tariffa fissata dall’Autorità) e di vendita (la commercializzazione), quest’ultima è completamente aperta alla concorrenza.

Le Imposte

Sul costo del gas naturale possono ricadere molte imposte. Le principali sono l’imposta di consumo, l’addizionale regionale, il prezzo della materia prima, l’Iva.
l’imposta di consumo varia in funzione delle zone e della tipologia di cliente, e incide sulla tariffa finale in maniera molto diversa fino a superare anche il 30% del costo finale.

l’addizionale regionale sul gas è variabile ma non può mai essere superiore alla metà dell’imposta di consumo. È pari a zero in Valle d’Aosta, Trentino-Alto Adige, Friuli-Venezia Giulia e Sicilia. È particolarmente severa in Emilia-Romagna. Infine c’è l’Iva che cambia secondo la destinazione d’uso del gas. Alcuni clienti possono beneficiare di agevolazioni fiscali.

Le tipologie contrattuali

In un contesto fortemente concorrenziale, l’azienda dovrebbe offre ai clienti nuovi elementi di competitività. Ne conseguirebbero soluzioni contrattuali strutturate in modo da garantire opportunità strategiche per i consumatori.
Per esempio c’è la possibilità di una tariffa a consumo, con un prezzo del gas indicizzato a un paniere di combustibili aggiornato ogni mese. Per i clienti che vogliono gestire separatamente tutte le voci di costo, un’altra soluzione prevede un prezzo suddiviso in un termine energetico, indicizzato a un paniere mensile di combustibili, riferito al costo della sola commodity (il gas naturale) e in un termine fisso che riassume tutti gli altri costi legati alla fornitura. Altri servizi aggiuntivi non sono percepibili direttamente nel costo del gas. È il caso del monitoraggio e dell’ottimizzazione delle forniture, che consentono di tenere sotto controllo tutti i diversi aspetti che incidono sulla spesa.
Il prezzo del gas è costituto da un insieme di varie componenti spesso regolate dall’Autorità o da altri soggetti e che per questo diventa fondamentale conoscere il mercato energetico, comprenderne i concetti chiave e dotarsi di tutti gli strumenti per analizzare le proprie forniture.


l’EFFICIENZA ENERGETICA NELLE ABITAZIONI

Secondo recenti studi una famiglia media italiana potrebbe, senza fare rinunce, risparmiare tra il 30% e il 90% delle spese per il riscaldamento e dal 5% al 20% di quelle per gli elettrodomestici semplicemente usando meglio l’energia.

La legge 10/91 ha dettato criteri per il contenimento dei consumi energetici delle nuove costruzioni e per la riqualificazione energetica delle abitazioni esistenti e ha istituito la “certificazione energetica degli edifici”, un certificato che attesta la qualità energetica di un edificio o di un singolo alloggio. Fino al 31 dicembre 2005 gli interventi rivolti a migliorare l’utilizzo dell’energia nelle abitazioni hanno potuto beneficiare della detrazione del 36% sull’imposta IRPEF (legge n°449 del 27 Dicembre 1997). Vi rientrano interventi come: l’isolamento termico, l’installazione di impianti termici a più alta efficienza, l’installazione di sistemi di regolazione della temperatura, e l’installazione di impianti che utilizzano fonti energetiche alternative.

Vediamo quali sono gli interventi più convenienti sia dal punto di vista economico che etico e morale.

l’isolamento termico degli edifici

Di tutta l’energia utilizzata per riscaldare un edificio durante la stagione invernale, una buona parte viene dispersa dalle pareti, dal tetto, dalle finestre e una parte dalla caldaia.

Eseguendo interventi di isolamento termico possiamo ridurre il consumo di combustibile per il riscaldamento delle abitazioni, contribuire allo sforzo nazionale di riduzione delle emissioni di gas inquinanti e, contemporaneamente, potremo arrivare a risparmiare fino al 90% sulle spese di riscaldamento.

Ecco alcuni suggerimenti.
• Isolare il tetto posizionando dell’isolante all’esterno sotto i coppi o le tegole, oppure all’interno nel sottotetto.
• Isolare le pareti dall’interno applicando pannelli di materiale isolante, dall’esterno applicando sulla facciata un “cappotto”, cioè uno strato di materiale isolante protetto da uno strato superficiale di finitura.
• Isolare i cassonetti degli avvolgibili installando pannelli isolanti dietro i termosifoni.
• Montare guarnizioni nuove sui serramenti e doppi vetri alle finestre.
• Coibentare i solai dall’esterno con uno strato di materiale isolante impermeabilizzato e protetto dalla pavimentazione, dall’interno applicando pannelli isolanti al soffitto dell’ultimo piano.

La regolazione dell’impianto di riscaldamento

Il riscaldamento è dopo il traffico la maggior causa di inquinamento delle nostre città. Ogni famiglia italiana spende in media più di 600 euro all’anno per riscaldarsi. Una cifra non indifferente. Per contenere i consumi di energia negli impianti di riscaldamento, è stato emanato il DPR 412/93. Il decreto ha dettato le norme per la progettazione, installazione, esercizio e manutenzione degli impianti di riscaldamento degli edifici, affidando a Comuni e Province i controlli sullo stato di manutenzione ed efficienza degli impianti. Seguendo tale normativa, alla quale tutti dobbiamo attenerci, si riducono i consumi di energia e si migliora la sicurezza e l’efficienza dell’impianto. Diminuiranno così anche i gas inquinanti emessi dall’impianto e le spese di combustibile.

In casa, di giorno, manteniamo la temperatura a circa 20°C, che è poi la temperatura che si ha normalmente durante una bella giornata primaverile. Teniamo presente poi che per ogni grado in meno risparmieremo circa il 7% sulle spese di riscaldamento.

Isoliamo le tubazioni che dalla caldaia portano l’acqua ai radiatori, specialmente nei tratti che attraversano locali non riscaldati.

Rispettiamo l’obbligo di far fare la manutenzione della caldaia almeno una volta l’anno, e di far controllare e analizzare i fumi che fuoriescono dalla caldaia, almeno ogni due anni, per capire se consuma ed inquina più di quanto dovrebbe.

Se necessario, sostituiamo la caldaia e il bruciatore con modelli recenti e con rendimenti più elevati.

Installiamo valvole termostatiche che, in base alla temperatura impostata, aprono e chiudono l’afflusso di acqua al termosifone. Con questo sistema possiamo risparmiare fino al 20% di energia.

Per chi vive in un condominio e ha l’impianto di riscaldamento centralizzato, è possibile chiedere di installare un sistema di contabilizzazione del calore. Si tratta di installare un sistema di apparecchiature che misurano (contabilizzano) la quantità di calore effettivamente consumata in ogni appartamento. In questo modo avremo la libertà di scegliere le temperature e gli orari di accensione che più ci soddisfano, riuscendo a risparmiare anche il 30% delle spese annuali. Per un appartamento con 8-10 radiatori, il costo dell’installazione di un sistema di contabilizzazione si aggira intorno ai 1,550.00 Euro.

Durante la notte regoliamo il termostato a 16°C.


Caratterizzazione caldaie

Servizi offerti

Presso il Centro Ricerche Casaccia è disponibile l’impianto BEST (Boiler Experimental Studies) per la determinazione del rendimento termico delle caldaie a gas per usi civili, aventi una potenza massima di 35 kW.

l’impianto e la relativa strumentazione sono predisposti per la verifica sperimentale dell’efficienza e dell’affidabilità di vari dispositivi di sicurezza, con particolare riguardo a quelli relativi alla segnalazione del pericolo di fughe di CO in ambienti abitativi.

Utenti

Per l’alta precisione della strumentazione di processo, l’impianto BEST è in grado di fornire un utile supporto a quanti - organismi privati, verificatori tecnici ed enti locali - sono preposti alla verifica della corretta applicazione della normativa relativa al controllo degli impianti termici.

Attrezzature, laboratori e impianti

l’impianto BEST è in grado di riprodurre differenti condizioni anomale di funzionamento (quali: ostruzione della canna fumaria, ridotta ventilazione del locale caldaia ed inversione del flusso del camino), con studio delle fenomenologie associate e dei dispositivi idonei alla loro risoluzione.

RELAZIONE TECNICA

Insieme alla denuncia di inizio lavori di costruzione dell’edificio o di ristrutturazione dell’impianto, il proprietario deve depositare presso il Comune una relazione che contenga:

• il progetto dell’impianto termico;
• il calcolo del fabbisogno energetico per il riscaldamento, cioè la quantità di energia richiesta dall’edificio e dall’impianto per mantenere la temperatura ambiente a 20 °C per l’intera stagione di riscaldamento;
• il calcolo del rendimento stagionale, cioè dell’efficienza dell’intero sistema che comprende l’involucro edilizio, la caldaia, la rete di distribuzione, i termosifoni ed i sistemi di regolazione.

Quindi l’insieme delle parti che compongono l’impianto termico:

• la caldaia, che trasforma l’energia del combustibile in energia termica;
• la rete di distribuzione dell’acqua o dell’aria calda;
• i termosifoni, che trasferiscono l’energia termica all’ambiente interno;
• i sistemi di regolazione (termostati, valvole ecc..), che ne gestiscono il funzionamento devono essere scelti e progettati insieme all’edificio e non, come spesso avveniva prima, in una fase successiva.

DICHIARAZIONE DI CONFORMITÀ

Per garantire che l’impianto termico sia realizzato a regola d’arte, secondo le prescrizioni del progettista e nel rispetto di tutte le norme di sicurezza, l’installazione deve essere effettuata da una ditta specializzata in p 1990. A lavori ultimati, la ditta deve obbligatoriamente rilasciare al proprietario una dichiarazione di confor br mità dell’impianto necessaria, anche, per ottenere il certificato di abitabilità dell’immobile.

La dichiarazione di conformità dovrà essere completa degli allegati obbligatori:

1 progetto nei casi previsti;
2 sempre la relazione con tipologia dei materiali utilizzati;
3 lo schema di impianto realizzato;
4 il riferimento a dichiarazioni di conformità precedenti;
5 la copia del certificato di riconoscimento dei requisiti tecnico-professionali rilasciato dalla C.C.I.A.A.

LA CALDAIA COM’È FATTA

È il cuore dell’impianto, dove il combustibile viene bruciato per scaldare l’acqua o l’aria (fluido termovettore) che circolerà poi nell’impianto.

È composta, in generale, da un bruciatore che miscela l’aria con il combustibile e alimenta una camera di combustione (il focolare), da una serie di tubi attraverso i quali i fumi caldi prodotti dalla combustione scaldano il fluido termovettore e da un involucro esterno di materiale isolante protetto da una lamiera (mantello isolante).

POTENZA

Ogni caldaia è caratterizzata da:

• una potenza termica del focolare, che indica la quantità di energia che il combustibile sviluppa in un’ora nella camera di combustione;
• una potenza termica utile, cioè l’energia effettivamente trasferita, per ogni ora, al fluido termovettore.

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PERCHÉ QUESTO OPUSCOLO ?

Ogni anno, in Italia, per riscaldare le nostre abitazioni bruciamo circa 14 miliardi di metri cubi di gas, 4,2 miliardi di chilogrammi di gasolio, oltre a 2,4 milioni di tonnellate di combustibili solidi, soprattutto legna e un po’ di carbone. Così facendo si riversano nell’ aria circa 380.000 tonnellate di sostanze inquinanti come ossidi di zolfo e di azoto, monossido di carbonio, ecc….

Oltre alle sostanze propriamente dette inquinanti, si riversano nell’atmosfera anche più di 40 milioni di tonnellate di anidride carbonica (CO²): questa, come è noto, contribuisce al formarsi del così detto "effetto serra" causando l’innalzamento della temperatura media del nostro pianeta.

Il riscaldamento è, dopo il traffico, la maggiore causa dell’inquinamento delle nostre città.

In termini economici, il nostro Paese deve spendere globalmente oltre 12 milioni di Euro per l’acquisto all’estero dell’energia, ed ogni famiglia italiana spende, in media oltre 500,00 Euro l’anno per riscaldarsi.

Le cifre si commentano da sole. Tuttavia si può fare molto per migliorare la situazione, senza sacrifici e senza rinunciare al comfort a cui siamo abituati.

l’ENEA con questo opuscolo si rivolge a tutti coloro che vogliono:

• avere una casa sicura, calda e confortevole;
• vivere in un ambiente più pulito;
• risparmiare energia;
• pagare meno per il riscaldamento;
• saperne di più sulle nuove normative.

Indipendentemente dal tipo di impianto installato (individuale o centralizzato), dal combustibile usato (gasolio, metano, G.P.L.), "Risparmio Energetico con gli impianti di riscaldamento" fornisce utili indicazioni per la gestione dell’impianto di riscaldamento e aiuta a compiere le scelte migliori nel caso di cambiamenti o innovazioni.

Tutta la normativa che riguarda la progettazione, l’installazione, l’esercizio e la manutenzione degli impianti di riscaldamento è stata modificata con l’obiettivo di contenere i consumi di energia, ridurre le emissioni inquinanti ed aumentare la sicurezza.

La legge n. 10 del 1991 e i successivi decreti di attuazione, in particolare il D.P.R. n. 412 del 26 agosto 1993 ed il recente D.P.R. 551 del 21 dicembre 1999 (pubblicato sulla GU n. 81 del 6 aprile 2000), hanno trasformato i più recenti criteri tecnici per l’uso razionale dell’energia in disposizioni alle quali tutti devono attenersi.

EDIFICIO E IMPIANTO TERMICO: UN UNICO SISTEMA

EDIFICI NUOVI E RISTRUTTURAZIONI

Gli edifici nuovi, per i quali siano stati iniziati i lavori di costruzione dopo il 1° agosto 1994, devono essere progettati e realizzati in modo da rispettare le nuove normative. Queste considerano l’impianto termico e l’edificio come un unico sistema che deve essere quanto più possibile efficiente dal punto di vista energetico e, naturalmente, sicuro.

Lo stesso principio vale anche in caso di:

• ristrutturazione dell’impianto termico, cioè modifica sostanziale dei sistemi di produzione e di distribuzione del calore, compreso il caso di trasformazione di un impianto centralizzato in più impianti individuali;
• installazione di un impianto termico in edifici esistenti;
• sostituzione della caldaia.

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l’energia contenuta nel combustibile viene per la maggior parte trasferita al fluido termovettore, ed in piccola parte dispersa verso l’esterno dal corpo stesso della caldaia (attraverso il mantello isolante) e soprattuttto dai fumi che fuoriescono, ancora caldi, dal camino.

Più vicini sono i valori della potenza al focolare e della potenza utile, minori sono le perdite di calore e quindi migliore è il rendimento della caldaia.

La legge prevede, per ciascun tipo di caldaia di nuova installazione, un valore minimo del rendimento utile sia per il funzionamento a regime che per il funzionamento al 30% della potenzialità massima.

La seguente tabella mostra, a titolo di esempio per ciascun tipo di caldaia, alcuni valori per i rendimenti minimi di legge che possono servire da confronto per valutare le prestazioni di una caldaia.

La scelta della potenza e del tipo di caldaia da installare dipende dalle caratteristiche dell’edificio, dall’ubicazione e dalla sua destinazione d’uso.

È una scelta importante che deve essere fatta da un professionista qualificato e attento ai problemi energetici. Infatti, una caldaia di tipo standard più grande del necessario spreca energia: specialmente nelle stagioni intermedie, essa raggiunge rapidamente la temperatura prefissata e quindi ha lunghi e frequenti periodi di spegnimento durante i quali disperde il calore dal mantello e attraverso il camino. Quindi, se si considera l’intera stagione di riscaldamento, la sua efficienza globale non è elevata, cioè il suo rendimento stagionale è basso.

Per rispettare i valori di rendimento imposti dalle nuove norme, le caldaie più recenti come le "modulanti", quelle a "temperatura scorrevole" e le caldaie a condensazione permettono di mantenere una buona efficienza anche nelle stagioni intermedie.

POTENZA MASSIMA

Se la potenza necessaria a scaldare l’edificio supera i 350 kW, è necessario installare due o più caldaie. In questo modo si evita che caldaie molto grandi lavorino, in particolare nelle stagioni intermedie, a basso regime e quindi con bassi valori di rendimento.

ACQUA CALDA CENTRALIZZATA

Per produrre anche acqua calda per usi sanitari è necessaria una caldaia con potenza molto superiore a quella sufficiente al solo riscaldamento. Per evitare sovradimensionamenti, nelle nuove installazioni, non è più ammessa la produzione di acqua calda effettuata dalla stessa caldaia destinata al riscaldamento, con l’eccezione degli impianti individuali.

LOCALE CALDAIA PER IMPIANTI CENTRALIZZATI

Evidenti motivi di sicurezza impongono che ogni caldaia debba essere installata in un locale idoneo, di dimensioni adeguate e con un ricambio d’aria sufficiente a reintegrare l’ossigeno consumato dalla combustione. Esistono precise norme per tutti i locali caldaia e, quando la potenza termica è maggiore di 116 kW (100.000 kcal/h), è necessario un Certificato di Prevenzione Incendi rilasciato dai Vigili del Fuoco.

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Tipo

di caldaia

Potenza utile

kW (kcal/h)

Rendimento a

potenza nominale

% %

Caldaie standard 20

200

86,6

88,6

83,9

86,9

(17.200)

(172.000)

Caldaie a

bassa temperatura

20

200

89,5

91,0

89,5

91,0

(17.200)

(172.000)

Caldaie a gas a

condensazione

20

200

92,3

93,3

98,3

99,3

(17.200)

(172.000)

Rendimento a

carico parziale

4

SONDA DI

TEMPERATURA

SONDA DI

TEMPERATURA

PROGRAMMATORE

VALVOLA

A TRE VIE

IMPIANTO

CENTRALIZZATO

 

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IMPIANTO

INDIVIDUALE

PROGRAMMATORE

COLLETTORI DI

DISTRIBUZIONE

CALDAIE INDIVIDUALI

Le caldaie individuali di nuova installazione possono essere di tipo stagno o atmosferiche (dette anche a fiamma libera). Le caldaie di tipo stagno sono costruite in modo che l’aria necessaria alla combustione viene presa dall’esterno tramite un tubo e i fumi vengono evacuati sempre all’esterno; per questo motivo non ci sono preclusioni sul locale di installazione. Le caldaie atmosferiche, invece, per la combustione utilizzano l’aria del locale in cui sono poste ed è per questo motivo che il locale deve essere adeguatamente ventilato e, se poste all’interno dell’abitazione, non possono essere installate in bagno o in camera da letto.

PRESE D’ARIA

Le caldaie atmosferiche individuali a gas già esistenti possono rimanere installate all’interno dell’abitazione, purché nella stanza ci siano prese d’aria, non ostruibili, praticate in una parete esterna o verso locali adiacenti dotati, a loro volta, di prese d’aria esterna (escluse le camere da letto e i garage). Le dimensioni di queste prese d’aria devono essere calcolate da un tecnico tenendo conto di tutti gli altri eventuali apparecchi di combustione installati nel locale. In caso di nuova installazione di caldaie atmosferiche in locali abitati, dovrà essere realizzata, nelle modalità previste dalle norme tecniche, un’apertura di sezione libera non inferiore a 0,4 m² (es. 40x100 cm).

SCARICO DEI FUMI

Tutti i combustibili, bruciando, rilasciano nell’aria una certa quantità di sostanze inquinanti, ed è per questo che le caldaie installate in edifici plurifamiliari, sia centralizzate che individuali, devono essere collegate ad una canna fumaria che arrivi fin sopra il colmo del tetto.

Nel caso di impianti individuali è possibile evacuare i fumi di più caldaie con la stessa stessa canna fumaria, ma questa deve essere adeguatamente progettata e le caldaie allacciate devono avere caratteristiche simili.

Negli impianti individuali già esistenti e negli edifici monofamiliari anche nuovi è consentito mantenere lo scarico individuale a parete.

Lo scarico a parete può essere utilizzato nei tre casi seguenti:

• nella sostituzione di generatori di calore individuali;
• nelle singole ristrutturazioni di impianti termici individuali già esistenti, siti in stabili plurifamiliari, qualora nella versione iniziale non dispongano già di camini o canne fumarie o sistemi di evacuazione dei fumi con sbocco sopra il tetto dell’edificio;
• nuove installazioni di impianti termici individuali in edifici "storici", in precedenza mai dotati di alcun tipo di impianto termico, a condizione che non esista camino, canna fumaria o sistema di evacuazione dei fumi.

Negli ultimi due casi è comunque obbligatorio installare generatori di calore individuali con basse emissioni inquinanti (norma tecnica UNI EN 297).

LIBRETTO DI USO E MANUTENZIONE

È un documento importante che va conservato con cura. È diviso in due parti, una per l’utilizzatore, l’altra per l’installatore e il manutentore e fornisce molte utili indicazioni quali i valori di rendimento della caldaia, le specifiche elettriche per il collegamento di termostati ambiente, le principali operazioni di manutenzione. È altresì importante conservare i libretti di uso e manutenzione degli altri componenti l’impianto termico come ad esempio: cronotermostati, valvole termostatiche, valvole a tre vie motorizzate, addolcitori ecc….

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IMPIANTO A COLONNE MONTANTI

LA RETE DI DISTRIBUZIONE COS’È

È costituita essenzialmente dall’insieme delle tubazioni di mandata e di ritorno che collegano la caldaia ai termosifoni. Generalmente, negli impianti di riscaldamento di edifici civili, l’acqua calda (tra i 50 ed i 90°C) partendo dalla caldaia, percorre le tubazioni di mandata, riscalda i radiatori e quindi l’ambiente, e ritorna a temperatura più fredda alla caldaia stessa.

IMPIANTI A COLONNE MONTANTI (A DISTRIBUZIONE VERTICALE)

Gli impianti a colonne montanti sono costituiti da un anello, formato da una tubazione di mandata e una di ritorno, che percorre la base dell’edificio. Dall’anello si dipartono delle colonne montanti che alimentano i vari radiatori posti sulla stessa verticale ai vari piani dell’edificio.

Fino a pochi anni fa tale tipologia era molto diffusa perchè consentiva di realizzare economie in fase di costruzione; più difficilmente però permette di ottimizzare la gestione dell’impianto specialmente quando si hanno diverse utilizzazioni delle varie zone dell’edificio.

IMPIANTI A ZONE (A DISTRIBUZIONE ORIZZONTALE)

Gli impianti a zone sono realizzati in modo che ad ogni zona dell’edificio, ad ogni piano o ad ogni singolo appartamento è dedicata una parte della rete di distribuzione. Con questo tipo di impianto è possibile gestire in maniera diversificata le varie zone, non riscaldando, ad esempio, quelle che in un dato periodo, non sono occupate.

Per questo tale tipologia impiantistica è consigliabile in tutti gli edifici nuovi o nelle ristrutturazioni, laddove esistono zone con diverse utilizzazioni come, ad esempio, nel caso di edifici destinati in parte ad uffici o negozi ed in parte a residenze.

COIBENTAZIONE

Per limitare le dispersioni, le tubazioni della rete di distribuzione debbono essere protette da un adeguato strato di materiale isolante, il cui spessore, fissato dalla normativa, dipende dal diametro della tubazione, dal tipo di isolante, e dalla parete che attraversa. A titolo di esempio la seguente tabella indica lo spessore minimo di materiale isolante (in questo caso poliuretano espanso con conduttività termica utile di 0,034 W/m°C) che deve rivestire le tubazioni di un impianto nei tre casi previsti dalla normativa:

• tubazioni poste all’esterno o in vani non riscaldati o in murature esterne non isolate;
• tubazioni verticali poste in murature isolate;
• tubazioni poste in strutture tra ambienti riscaldati.

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Dimensioni tubo Spessore dell’isolante

Diametro esterno tubazione Murature esterne Murature isolate Strutture interne

mm mm mm mm

fino a 20 15 12,5 4,5

da 20 a 39 23 11,5 7

da 40 a 59 31 15,5 9,5

da 60 a 79 39 19,5 12

da 80 a 99 44 22 13,5

maggiore di 100 48 24 14,5

 

I RADIATORI COSA SONO

Sono i terminali dell’impianto, attraverso i quali il calore contenuto nell’acqua viene ceduto all’ambiente da riscaldare. Sono chiamati comunemente termosifoni o piastre e costituiscono la parte più visibile ed accessibile dell’impianto.

Possono essere costruiti in ghisa, in acciaio o in alluminio. I radiatori in ghisa mantengono più a lungo il calore e continuano ad emetterlo anche quando, ad esempio, l’impianto è spento; di contro sono più ingombranti e impiegano più tempo a diventare caldi. Quelli in alluminio e in acciaio hanno il pregio di scaldarsi rapidamente e di avere un minore ingombro ma tendono a raffreddarsi piuttosto in fretta.

SUPERFICIE RADIANTE

La caratteristica fondamentale di ogni radiatore è la superficie di scambio termico con l’ambiente, detta anche impropriamente, superficie radiante: più è grande, maggiore è la quantità di calore che il radiatore può cedere all’ambiente. I modelli più recenti sono dotati di alette e di setti interni che ne aumentano la superficie di scambio. A seconda del tipo, quindi, radiatori con uguali dimensioni esterne possono avere prestazioni diverse.

CONVETTORI VENTILATI

Nel caso di alloggi abitati saltuariamente, invece dei radiatori, sono più indicati i convettori ventilati (o ventilconvettori), nei quali l’aria che si scalda a contatto con le superfici calde viene mossa da un ventilatore azionato elettricamente. Questo fa si che aumenti la rapidità con la quale si scalda l’aria ambiente.

VALVOLA TERMOSIFONE, VALVOLA DI SFIATO E DETENTORE

Quasi tutti i radiatori sono dotati, generalmente nella parte superiore, di una valvola termosifone e, talvolta, di una valvola per la fuoriuscita dell’aria.

La valvola termosifone può essere utilizzata per chiudere il radiatore, e non sprecare energia, quando non si abita una stanza, oppure quando si aprono le finestre con il riscaldamento acceso.

Se i radiatori non si scaldano può darsi che si sia formata una bolla d’aria all’interno che non permette all’acqua di circolare. In questo caso basta aprire la valvola di sfiato dell’aria fino a quando non esce un pò d’acqua.

I modelli più recenti sono dotati di un’altra valvola, posta normalmente nella parte inferiore in corrispondenza della tubazione di ritorno, chiamata detentore. Su di essa si agisce quando si vuole equilibrare l’impianto consentendo, ad esempio, un maggiore afflusso d’acqua calda ai radiatori dei piani più alti.

SUGGERIMENTI

Due semplici consigli per non sprecare energia:

• qualunque sia il tipo di radiatore è importante non ostacolare la circolazione dell’aria; è sbagliato quindi mascherare i radiatori con copritermosifoni o nasconderli dietro le tende;
• se il radiatore è posto su una parete che dà verso l’esterno, ad esempio nel vano sottofinestra, è consigliabile inserire tra questo e il muro un pannello di materiale isolante con la faccia riflettente rivolta verso l’interno.

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IMPIANTO A ZONE

 

COME AVERE SEMPRE LA GIUSTA TEMPERATURA: I SISTEMI DI REGOLAZIONE COSA SONO

La progettazione dell’impianto e la scelta della potenza della caldaia, si basano sul calcolo delle dispersioni termiche dell’edificio, in presenza di determinate condizioni climatiche e di esposizione.

l’impianto, infatti, deve essere dimensionato per assicurare il comfort interno anche in presenza di punte eccezionali di freddo e, comunque alle temperature minime medie della zona.

In pratica queste condizioni climatiche si verificano per un periodo di tempo relativamente breve durante tutta la stagione di riscaldamento. Se si continuasse a fornire all’edificio la stessa quantità di calore, indipendentemente dal valore della temperatura esterna, si avrebbe un surriscaldamento degli ambienti interni e, di conseguenza, un notevole spreco di energia.

I sistemi di regolazione hanno quindi lo scopo di mantenere la temperatura all’incirca costante negli ambienti interni, indipendentemente dalle condizioni climatiche esterne.

La regolazione può essere effettuata in modi diversi, in relazione al tipo di impianto, al grado di precisione e di automatismo che si vuole raggiungere.

IMPIANTI CENTRALIZZATI

Generalmente gli impianti centralizzati sono dotati di una centralina di controllo (programmatore) con la quale:

• vengono impostatati i tempi di accensione dell’impianto;
• viene regolata automaticamente la temperatura di mandata dell’acqua ai radiatori sulla base della temperatura esterna, rilevata con una sonda di temperatura. La centralina agisce su una valvola (a 3 o 4 vie) che miscela l’acqua calda di mandata con quella fredda di ritorno.

In questo modo, al variare della temperatura esterna, si riesce con una certa approssimazione, a mantenere costante la temperatura dell’edificio (per esempio a 20°C).

Nel caso di edifici nuovi o di ristrutturazione di impianti termici, è prescritta l’installazione di centraline che diano la possibilità di regolare la temperatura ambiente, almeno su due livelli sigillabili nell’arco delle 24 ore (per esempio 20°C di giorno e 16°C di notte).

La regolazione degli impianti centralizzati, intervenendo esclusivamente sulla temperatura dell’acqua dei radiatori, non tiene conto che, se l’impianto non è ben progettato ed equilibrato, nelle diverse zone dell’edificio spesso si stabiliscono temperature diverse come succede tra il primo piano e l’ultimo, tra le facciate esposte a sud e quelle a nord, tra gli appartamenti d’angolo e quelli interni, e così via.

Spesso, per assicurare un buon comfort agli alloggi più freddi si aumenta la temperatura dell’acqua di mandata, con il risultato di surriscaldare quelli più caldi e di sprecare energia.

IMPIANTI INDIVIDUALI

Negli impianti individuali a servizio di una sola unità immobiliare è frequente e consigliabile l’installazione di un programmatore che accende e spenge automaticamente la caldaia:

• in base alla temperatura ambiente scelta (termostato);
• in base alla temperatura ambiente e ad orari prefissati (cronotermostato).

Con questo sistema di regolazione, si realizza, con migliore approssimazione, l’obiettivo di mantenere la temperatura costante al variare delle condizioni climatiche esterne. Inoltre, è possibile scegliere orari di accensione più adatti alle esigenze di chi occupa l’alloggio, sempre nel rispetto degli orari e delle temperature fissate dalla legge.

Anche negli impianti individuali, negli edifici nuovi o nel caso di ristrutturazioni, è obbligatorio l’uso di un cronotermostato regolabile su due livelli di temperatura.

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CENTRALIZZATO, INDIVIDUALE, O… ?

LA CONTABILIZZAZIONE

Negli ultimi anni, anche per la maggiore diffusione del metano, molti hanno scelto di sostituire l’impianto centralizzato con impianti individuali. Questa tendenza è stata anche facilitata dalla legge n. 10 del 1991 che ha stabilito che questa trasformazione, se finalizzata al risparmio energetico, può essere decisa dalla semplice maggioranza millesimale e non più dalla unanimità dei condomini.

Le ragioni di questa tendenza sono note a tutti: con un impianto autonomo si ha maggiore libertà nella gestione del riscaldamento, cioè nella scelta dei tempi e delle temperature. Facendo un pò di attenzione, inoltre, si riesce a risparmiare sensibilmente.

Ma esistono anche alcuni svantaggi degli impianti autonomi: non si possono dividere con nessuno le spese obbligatorie di manutenzione annuale; il rendimento delle caldaie individuali è, in generale, minore di quello di una caldaia centralizzata, per cui, se la si tiene accesa per lo stesso numero di ore, si consuma di più combustibile; i lavori di trasformazione sono spesso molto onerosi; ed infine, la sicurezza, che nel caso di impianti autonomi non dipende solo dalla diligenza del singolo, ma anche da quella dei suoi vicini….

TRASFORMAZIONE

È bene ricordare che la trasformazione da impianto centralizzato ad autonomo, anche nel caso di un solo distacco, è considerata, una ristrutturazione dell’impianto termico e quindi soggetta, al rispetto delle nuove norme e a molti più vincoli che in passato:

• ogni caldaia individuale deve essere dotata di canna fumaria con sbocco oltre il colmo del tetto;
• prima della trasformazione va presentato un progetto ed una relazione tecnica al Comune.

LA CONTABILIZZAZIONE

Queste ragioni rendono sempre più conveniente la scelta di mantenere l’impianto condominiale centralizzato installando un sistema di contabilizzazione del calore e applicando la ripartizione delle spese.

Con la contabilizzazione è possibile mantenere i vantaggi di un impianto centralizzato e contemporaneamente avere la libertà di scegliere le temperature e gli orari che più soddisfano le esigenze del singolo utente. Si potrà infatti gestire autonomamente il riscaldamento senza avere la caldaia in casa.

Si tratta di installare un sistema di apparecchiature che misurano (contabilizzano) la quantità di calore effettivamente consumata in ogni appartamento e consentono di regolare la parte di impianto che è al servizio di ogni alloggio.

Oltre ad una quota fissa, stabilita dall’assemblea condominiale (variabile dal 20 al 50%), ogni utente pagherà solo il calore che realmente avrà consumato. In questo modo, il condomino che apporterà migliorie all’isolamento termico di pareti e finestre sarà immediatamente ricompensato: il suo appartamento, infatti, consumerà e pagherà meno degli altri.

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VALVOLE TERMOSTATICHE

Sia negli impianti centralizzati che in quelli individuali si sono fatti grandi passi nella direzione di consumare l’energia solo dove e quando serve.

Ma si può fare di più.

Si può regolare la temperatura di ogni singolo ambiente per sfruttare anche gli apporti gratuiti di energia, cioè quelli dovuti, ad esempio, alla presenza di molte persone, ai raggi del sole attraverso le finestre, agli elettrodomestici.

Per ogni radiatore, al posto della valvola manuale, si può installare una valvola termostatica per regolare automaticamente l’afflusso di acqua calda in base alla temperatura scelta ed impostata su una apposita manopola graduata. La valvola si chiude mano a mano che la temperatura ambiente, misurata da un sensore, si avvicina a quella desiderata, consentendo di dirottare ulteriore acqua calda verso gli altri radiatori, ancora aperti.

In questo modo si può consumare meno energia nelle giornate più serene, quando il sole è sufficiente per riscaldare alcune stanze, oppure, ad esempio, impostare una temperatura più bassa nelle stanze da letto e una più alta in bagno o anche lasciare i radiatori aperti al minimo quando si esce da casa. Le valvole termostatiche, installate negli impianti centralizzati hanno anche una buona influenza sull’equilibrio termico delle diverse zone dell’edificio.

Quando i piani più caldi arrivano a 20°C le valvole chiudono i radiatori consentendo un maggiore afflusso di acqua calda ai piani freddi. Per l’installazione delle valvole termostatiche è consigliabile rivolgersi ad un professionista o a una ditta qualificata.

IL RISPARMIO

Il risparmio di energia indotto dall’uso delle valvole termostatiche può arrivare fino al 20%. Proprio per questa ragione, è spesso obbligatoria l’installazione negli edifici di nuova costruzione e nelle ristrutturazioni.

I COSTI

Nei modelli più recenti di radiatori, la valvola è già predisposta per ricevere una "testa" termostatica.

In questo caso l’installazione è più semplice e costa circa 26,00 Euro a radiatore.

Se invece è necessario sostituire l’intera valvola, il costo si aggira sulle 62,00 Euro, mano d’opera compresa.

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I VARI SISTEMI

Negli impianti a colonne montanti è necessario misurare quanta energia consumano, singolarmente, tutti i radiatori e quindi installare un contabilizzatore di calore su ogni radiatore.

Il sistema più semplice per gestire l’impianto secondo le proprie esigenze e avere anche la possibilità di consumare meno, consiste nel sostituire le valvole manuali dei radiatori con valvole termostatiche in modo da regolare, stanza per stanza, la temperatura desiderata.

Con qualche lavoro in casa si possono installare valvole termostatiche motorizzate sui radiatori ed un interruttore orario (timer). Collegando elettricamente le valvole al timer si potranno aprire o chiudere i radiatori in base agli orari scelti. La regolazione delle valvole termostatiche assicurerà poi la temperatura desiderata stanza per stanza.

La quantità di calore consumata da ogni radiatore e registrata dai contabilizzatori deve essere letta, periodicamente, da un tecnico incaricato dall’Amministratore. Tuttavia, alcuni tra i sistemi di contabilizzazione più recenti permettono di evitare che la lettura dei consumi sia fatta all’interno dell’appartamento, radiatore per radiatore: ogni contabilizzatore, infatti può trasmettere via radio i dati ad una centralina, installata ad esempio nell’androne, dalla quale l’incaricato della lettura potrà prelevare i dati relativi ai consumi di tutti gli appartamenti.

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CONTABILIZZAZIONE DEL CALORE

IN UN IMPIANTO A COLONNE MONTANTI

VALVOLA TERMOSTATICA

MOTORIZZATA

CONTABILIZZATORE

TIMER

COLLEGAMENTO

ELETTRICO

I VANTAGGI

I vantaggi della contabilizzazione del calore, dal punto vista energetico, sono notevoli. È per questo che dal 30 giugno 2000 nei nuovi impianti centralizzati, realizzati in nuovi edifici, è obbligatorio installare sistemi di contabilizzazione del calore.

Il tipo di apparecchiature da installare ed i relativi costi dipendono molto dal sistema di distribuzione dell’impianto e dal grado di automatismo nella gestione che si vuole realizzare.

Va detto inoltre che, nella maggior parte dei casi, le ditte che installano i sistemi di contabilizzazione offrono anche il servizio completo di assistenza e di lettura dei risultati della contabilizzazione fino alla consegna all’Amministratore delle tabelle con la ripartizione delle spese appartamento per appartamento.

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PER ESSERE IN REGOLA…

TEMPERATURA MASSIMA

Durante la stagione di riscaldamento, la temperatura media degli ambienti delle abitazioni non deve superare i 20°C (con una tolleranza di 2°C).

PERIODO E NUMERO DI ORE

Il periodo dell’anno nel quale è consentito tenere in funzione gli impianti di riscaldamento e il numero massimo giornaliero di ore di accensione dipendono dal clima della località dov’è ubicato l’edificio.

l’Italia è stata suddivisa in 5 zone climatiche dalla A, la più calda, alla F, la più fredda in funzione del numero dei "Gradi Giorno": quanto più alto è il valore dei Gradi Giorno (GG) tanto più il clima è rigido. Ad esempio: nella zona climatica A si trovano poche località molto calde, come le isole di Salina e Lampedusa; Palermo e Reggio Calabria appartengono alla fascia B; Napoli, Bari, Imperia alla C; Roma, Firenze, Ancona alla D; in fascia E si trovano Milano, Torino, Venezia, l’Aquila; nella F solo località montane come Cortina D’Ampezzo e Abetone.

Per conoscere con esattezza in quale zona climatica è situato un immobile, e quindi in quale periodo dell’anno si possono accendere gli impianti di riscaldamento e per quante ore al giorno, basterà rivolgersi al Comune.

In caso di condizioni atmosferiche eccezionalmente avverse, si possono accendere gli impianti di riscaldamento, anche al di fuori dei periodi previsti, per non oltre la metà delle ore massime giornaliere normalmente consentite: non è necessario richiedere alcuna autorizzazione.

INTERRUZIONE NOTTURNA

l’orario giornaliero di riscaldamento può essere frazionato in due o più periodi ma, comunemente, l’impianto dev’essere spento, di notte, tra le 23 e le 5.

In alcuni casi è possibile mantenere sempre acceso l’impianto. Le limitazioni alla durata giornaliera del riscaldamento, spesso causa di disaccordo tra i condomini, non si applicano, tra gli altri:

1 agli impianti a pannelli radianti (generalmente a pavimento);
2 agli impianti centralizzati dotati di una sonda di temperatura esterna e di un programmatore sigillato che regoli la temperatura interna almeno su due livelli: a 20° nelle ore previste dalla tabella precedente e a 16° per quelle eccedenti (attenuazione notturna);
3 agli impianti centralizzati in edifici dotati di un sistema di contabilizzazione del calore e di un programmatore per ogni appartamento mediante il quale si possa regolare la temperatura interna su almeno due livelli;
4 agli impianti individuali regolati da un programmatore con le caratteristiche del caso precedente;
5 agli impianti condotti mediante contratti di servizio energia.

Nei casi 2, 3, e 4 inoltre, la caldaia deve avere un buon rendimento, non inferiore a valori limite prefissati per le caldaie di nuova installazione (vedi pag. 5).

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Gradi Giorno Periodo Numero di ore di riscaldamento massime giornaliere

A inferiore a 600 1.12 - 15.3 6

B 601 - 900 1.12 - 31.3 8

C 901 - 1400 15.11 - 31.3 10

D 1401 - 2100 1.11 - 15.4 12

E 2101 - 3000 15.10 - 15.4 14

F superiore a 3000 nessuna limitazione nessuna limitazione

Negli impianti a zone, basterà installare un solo contabilizzatore di calore per ogni appartamento.

Con un cronotermostato (collegato ad una elettrovalvola sulla tubazione di mandata dell’acqua calda all’appartamento) si potrà poi gestire autonomamente il calore.

Normalmente sia l’elettrovalvola che il contabilizzatore vengono installati in una cassetta di distribuzione posta sul pianerottolo (da dove partono e arrivano i tubi di mandata e di ritorno).

I contabilizzatori calcolano il calore consumato dall’appartamento misurando la portata e la temperatura dell’acqua di mandata e la temperatura di quella di ritorno (contabilizzatori entalpici).

COSTI

È bene tenere in considerazione che l’installazione di un sistema di contabilizzazione del calore, specialmente in edifici esistenti, deve essere affidata a ditte specializzate che, prima di procedere, devono verificare l’adeguatezza della caldaia dei radiatori e della rete di distribuzione.

In linea generale si può dire che per un appartamento con 8-10 radiatori, in un immobile di 20 alloggi il costo dell’installazione di un sistema di contabilizzazione si aggira intorno ai 1.500,00-1.800,00 Euro ad appartamento. Il servizio di lettura e di ripartizione delle spese costa circa 5,00-6,00 Euro all’anno per ogni radiatore.

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CONTABILIZZAZIONE DEL CALORE

IN UN IMPIANTO A ZONE

CONTABILIZZATORE

ELETTROVALVOLA

CRONOTERMOSTATO

Libretto di centrale o di impianto

• Deve compilare e conservare il libretto di centrale (per gli impianti di potenza superiore ai 35 kW), o il libretto di impianto (per quelli di potenza inferiore), una vera e propria carta di identità dell’impianto che contiene, oltre ai dati del proprietario, dell’installatore e del responsabile della manutenzione, la descrizione dei principali componenti dell’impianto, delle operazioni di manutenzione, delle verifiche strumentali e dei controlli effettuati da parte degli Enti Locali.

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Questo libretto deve essere compilato inizialmente dall’installatore nel caso di caldaie nuove, mentre nel caso di impianti già esistenti dovrà essere preparato dal responsabile dell’impianto stesso, per esempio fotocopiando il modello pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale o acquistandolo nelle librerie specializzate. Nel caso di impianti individuali, quando l’occupante lascia l’appartamento, il libretto deve essere riconsegnato al proprietario o a colui che subentra nell’alloggio. Il libretto di impianto e di centrale deve essere conservato presso l’appartamento o l’edificio in cui è installato l’impianto.

Tabella

• Deve esporre, nel caso di impianto termico centralizzato, una tabella con l’indicazione del periodo annuale di esercizio dell’impianto, dell’orario giornaliero di attivazione prescelto, delle generalità e domicilio del responsabile dell’esercizio e della manutenzione dell’impianto.

RESPONSABILITÀ

In passato, la gestione degli impianti di riscaldamento centralizzati era affidata all’Amministratore

del condominio che, a sua volta, incaricava un tecnico o una ditta di fiducia. Per

gli impianti individuali era il proprietario stesso, o l’affittuario, a spegnere e accendere, a

regolare temperature ed orari, a decidere se e come fare la manutenzione.

Dall’entrata in vigore del D.P.R. n. 412 del 1993 la normativa è diventata molto più precisa

attribuendo la responsabilità dell’esercizio e della manutenzione dell’impianto ad un unico

soggetto.

Per gli impianti condominiali la responsabilità è dell’Amministratore; nel caso di impianti individuali, è di chi occupa l’alloggio a qualsiasi titolo, quindi non solo del proprietario ma, a seconda dei casi, dell’inquilino, dell’usufruttuario ecc..

Il responsabile deve conoscere quali sono gli adempimenti di carattere amministrativo e tecnico che regolano gli aspetti della sicurezza e del risparmio di energia e deve disporre affinché questi vengano rispettati.

GLI ADEMPIMENTI

Cosa deve fare, in concreto, il responsabile di un impianto di riscaldamento?

Sicurezza

• Deve accertare che sia stata rilasciata la "dichiarazione di conformità" dell’impianto chene attesti la rispondenza alle norme di sicurezza. Per gli impianti costruiti dopo il 13.3.90, questa dichiarazione deve essere stata rilasciata al proprietario dall’installatore.

Per gli impianti più vecchi è necessario controllare che essi siano in regola avvalendosi, se necessario, dell’aiuto di un professionista. Questi, o lo stesso proprietario, compilerà una dichiarazione sostitutiva di conformità. Tutti gli impianti avrebbero dovuto essere adeguati entro il 31 dicembre 1998.

l’accertamento della rispondenza alle norme di sicurezza deve, tra l’altro, riguardare l’integrità ed il corretto posizionamento dei tubi di adduzione del combustibile (metano, gasolio ecc…) e degli eventuali serbatoi, l’esistenza di un’adeguata apertura per l’ingresso dell’aria, che il camino non sia ostruito, ecc..

Efficienza

• Deve mantenere la caldaia in buona efficienza per non sprecare energia e inquinare quanto meno possibile. A tale proposito deve fare in modo che sia effettuato un intervento di manutenzione almeno una volta all’anno e, con cadenze diverse in relazione alla potenza, la verifica strumentale delle prestazioni della caldaia (analisi dei fumi).

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VERIFICA DEL RENDIMENTO

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IL TERZO RESPONSABILE

La legge prevede la possibilità di delegare la responsabilità dell’esercizio e della manutenzione dell’impianto ad un altro soggetto, il terzo responsabile, purché questi sia dotato di sufficienti competenze tecniche ed organizzative.

Il terzo responsabile deve essere, infatti, una ditta che possieda almeno l’abilitazione, rilasciata dalla Camera di Commercio o dall’Albo delle Imprese Artigiane, ai sensi della legge n. 46 del 1990.

Per gli impianti individuali, l’occupante dell’alloggio rimane responsabile del rispetto delle norme relative alle temperature interne dell’alloggio e ai periodi di accensione dell’impianto, anche se decide di affidare le altre responsabilità ad un terzo responsabile.

DELEGA

l’Amministratore o l’occupante dell’alloggio può quindi scegliere tra:

• delegare una ditta (almeno qualificata ai sensi della legge n. 46 del 1990) nominandola terzo responsabile dell’esercizio e della manutenzione dell’impianto; in questo caso è obbligatorio redarre e sottoscrivere, da parte del terzo responsabile, un atto di assunzione delle responsabilità e consegnarne copia all’amministratore o all’occupante l’alloggio; il terzo responsabile è tenuto a comunicare all’Ente Locale competente la propria nomina e anche le eventuali revoche o dimissioni dall’incarico;
• mantenere la responsabilità dell’impianto ed affidare ad una ditta (almeno qualificata ai sensi della legge n. 46 del 1990) il controllo la manutenzione e le verifiche strumentali periodiche. In questo caso l’amministratore o l’occupante dell’alloggio provvederà a riportare sul libretto di centrale (di impianto) i risultati delle verifiche eseguite dalla ditta.

VERIFICA DEL RENDIMENTO

Le verifiche strumentali che la legge impone di fare periodicamente consistono nella misura della temperatura dei fumi che fuoriescono dalla caldaia, del loro contenuto di ossigeno o di anidride carbonica (CO2

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* Per potenze superiori a 350 kW, il terzo responsabile deve possedere ulteriori requisiti.

** Salvo indicazioni diverse del costruttore dell’impianto o dei fabbricanti dei componenti dell’impianto.

Potenza

della caldaia

INDIVIDUALI CENTRALIZZATI

Responsabile

o terzo

responsabile

Controllo e

manutenzione

Verifiche strumentali

del rendimento

di combustione

inferiore

a 35 kW

occupante

ditta abilitata

L. 46/90

ditta abilitata

L. 46/90

una volta

l’anno

ditta abilitata

L. 46/90

ogni

due anni

da 36 kW

a 350 kW

amministratore

ditta abilitata

L. 46/90

ditta abilitata

L. 46/90

una volta

l’anno **

ditta abilitata

L. 46/90

una volta

all’anno

superiore

a 350 kW

amministratore

ditta abilitata

L. 46/90*

ditta abilitata

L. 46/90

una volta

l’anno**

ditta abilitata

L. 46/90

due volte

all’anno

chi può farlo chi può farla quando chi può farle quando

I valori rilevati servono per calcolare il rendimento di combustione della caldaia, cioè il suo grado di efficienza.

È evidente che una caldaia poco efficiente spreca energia ed è per questo che sono stati fissati, in base alla potenza della caldaia, dei limiti minimi di rendimento.

Se il rendimento della caldaia, misurato con le analisi strumentali, scende al di sotto di tali limiti si deve intervenire con la manutenzione oppure, in ultima analisi, si deve procedere alla sostituzione della caldaia stessa.

A titolo di esempio nella tabella seguente sono riportati, in funzione della potenza della caldaia, i valori minimi del rendimento di combustione:

Potenza utile

kW (kcal/h)

INDIVIDUALI CENTRALIZZATI

Potenza al focolare

kW (kcal/h)

Caldaia installata

prima del 29/10/93

acqua

calda

aria

calda

acqua

calda

aria

calda

17,44

23,20

31,40

19,30

25,30

34,77

83,5

83,7

84,0

79,5

79,7

80,0

86,5

86,7

87,0

82,5

82,7

83,0

44,19

87,21

208,95

348,95

400,00

49,07

96,86

230,93

383,95

444,40

(15.000)

(19.950)

(27.000)

(16.600)

(21.760)

(29.900)

(38.000)

(75.000)

(179.700)

(300.100)

(344.000)

(42.200)

(83.300)

(198.600)

(330.200)

(512.180)

84,3

84,9

85,4

86,1

86,2

80,3

80,9

81,6

82,1

82,2

87,3

87,9

88,6

89,1

89,2

83,3

83,9

84,6

85,1

85,2

Caldaia installata

dopo del 29/10/93

Per potenze superiori valgono i valori relativi a 400 kW.

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CONTROLLO E MANUTENZIONE

Per sfruttare al meglio l’energia contenuta nel combustibile, per garantire la sicurezza e proteggere l’ambiente, l’impianto di riscaldamento deve essere ben tenuto e correttamente regolato.

Proprio per questo la legge impone che su tutti gli impianti, almeno una volta all’anno, venga effettuato un intervento di controllo e manutenzione eseguito secondo quanto richiesto dalle norme UNI e CEI e secondo le indicazioni fornite dal costruttore nel libretto di uso e manutenzione della caldaia.

REQUISITI

l’incaricato della manutenzione deve avere i requisiti di legge per poter intervenire sull’impianto e riparare tutti gli eventuali malfunzionamenti. Deve quindi essere una ditta abilitata ai sensi della legge n. 46 del 1990.

OPERAZIONI

Il manutentore deve eseguire il controllo e la eventuale manutenzione dell’impianto (e non della sola caldaia) conformemente alle istruzioni tecniche fornite dal costruttore l’impianto, o in mancanza di queste, secondo le istruzioni dei fabbricanti i componenti dell’impianto termico e, se anche queste non disponibili, secondo le prescrizioni delle normative UNI e CEI vigenti.

La nuova normativa (D.P.R. 551/99) fornisce un modulo di rapporto di controllo tecnico (allegatoH) nel quale sono riportate le principali operazioni che, almeno una volta l’anno, il manutentore deve compiere in mancanza di specifiche indicazioni.

Al termine dell’intervento, il manutentore deve compilare e sottoscrivere un rapporto che anche il responsabile dovrà sottoscrivere per ricevuta e conservarne copia insieme alla documentazione di impianto.

Nel caso di impianti autonomi questo rapporto di controllo e manutenzione, si identifica con l’allegato H al D.P.R. 551/99.

I principali riferimenti normativi sulle operazioni di manutenzione sono i seguenti:

• Impianti autonomi: UNI 7129, UNI 7131, UNI 10436;
• Impianti centralizzati: UNI 9317, UNI 8364, UNI 10435.

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Le caldaie, che non rispondano ai valori minimi di rendimento neanche in seguito agli interventi di manutenzione, devono essere sostituite entro 300 giorni.

CHI VERIFICA?

LE PROVINCE

I compiti di verifica sull’osservanza delle norme per il contenimento dei consumi energetici negli edifici sono stati affidati alle Province dal decreto legislativo "Bassanini" (D. L. 112/98).

Tuttavia, le leggi regionali attuative del decreto e i Piani Energetici Regionali, possono disporre diversamente, attribuendo le verifiche anche ai Comuni (se superano i 40.000 abitanti).

Per questo motivo, per ulteriori informazioni è opportuno rivolgersi presso l’ufficio competente della propria Provincia o del proprio Comune.

l’ENEA

Le ditte convenzionate con gli Enti locali ed incaricate dei controlli non possono, nel contempo svolgere la funzione di responsabili di impianto e devono essere tecnicamente idonee a svolgere il compito affidato.

l’ENEA svolge corsi di formazione per l’aggiornamento professionale di tali tecnici, e, su richiesta degli Enti locali ne accerta l’idoneità tecnica.

DICHIARAZIONE

l’impegno richiesto agli Enti Locali per questi controlli è sicuramente gravoso.

Pertanto la legge consente che, per gli impianti autonomi, sia possibile inviare all’ente locale competente il rapporto di controllo tecnico (allegato H) debitamente compilato.

In questo caso i controlli saranno effettuati con cadenza biennale solo ad un campione degli impianti corrispondenti ai rapporti di controllo pervenuti.

Saranno comunque controllati tutti gli impianti centralizzati e gli impianti autonomi di cui non sia pervenuto il rapporto di controllo tecnico.

SANZIONI

Le sanzioni a carico del responsabile dell’impianto che non rispetti il D.P.R. n. 412 del 1993 sono elevate: da 516-2.600,00 Euro.

LA MANUTENZIONE

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PER SAPERNE DI PIÚ… LE UNITÀ DI MISURA

Nel Sistema Internazionale (SI) l’unità di misura dell’energia è il joule (J); parlando di energia elettrica spesso si usa il kilowattora (kWh).

II joule è una quantità molto piccola, più o meno l’energia che serve per portare una tazzina di caffè alla bocca. Per questo sono più usati i suoi multipli, il megajoule (MJ) che corrisponde ad un milione di joule, il gigajoule (GJ) che corrisponde ad un miliardo di joule.

Trattando di quantità molto grandi di energia come i consumi di una grande industria, di una città, di una nazione, viene spesso usato il tep (tonnellata equivalente di petrolio) cioé la quantità di energia ottenibile bruciando 1.000 kg di petrolio. Ad esempio, in Italia nel 1993 sono stati consumati complessivamente oltre 150 milioni di tep (Mtep), quasi 3 tep per ogni abitante.

Ogni tep equivale a 41,8 GJ e a 11,6 MWh.

Ogni combustibile è caratterizzato da un "potere calorifico", cioé dalla quantità di calore che si otterrebbe bruciandone completamente 1 kg oppure 1 m³.

Ad esempio da 1 kg di gasolio si ottengono 42,7 MJ; da 1 m³ di metano 34,54 MJ.

La potenza si misura in watt (W) e nei suoi multipli: il kilowatt (1 kW = 1.000 W) il megawatt (1 MW = 1.000.000 W). Tuttavia molto spesso, parlando di potenza termica di caldaie si utilizzano ancora, impropriamente, le kilocalorie/ora (kcal/h).

Per trasformare le kilocalorie/ora in watt, basta moltiplicarle per 1,163. Ad esempio, una caldaia da 25.000 kcal/h è una caldaia da 25.000 x 1,163 = 29.000 W, cioè da 29 kW.

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ENERGIA 1 kWh = 3,6 MJ = 860 kcal

1 tep = 41,8 GJ = 10 Mkcal

POTENZA 1 kW = 1 kJ/sec = 860 kcal/h

1 kcal/h = 41,8 GJ = 10 Mkcal

POTERE CALORIFICO INFERIORE DI ALCUNI COMBUSTIBILI

Metano 34.535 kJ/m³ 8.250 kcal/m³

Gasolio 42.697 kJ/kg 10.200 kcal/kg

G.P.L. 46.046 kJ/kg 11.000 kcal/kg

Legna 16.744 kJ/kg 4.200 kcal/kg

Petrolio (kerosene) 43.116 kJ/kg 10.300 kcal/kg

l’ENEA pubblica altri opuscoli sulle scelte più convenienti che tutti noi possiamo adottare per risparmiare energia e proteggere l’ambiente.

Potete richiedere gratuitamente gli opuscoli che vi interessano a:

ENEA - Unità RES RELPROM

Lungotevere Thaon di Revel, 76 - 000191 Roma

Fax 0636272288

 


l’USO DELl’ENERGIA IN CASA

Il consumo degli elettrodomestici in Italia costituisce, insieme con l’illuminazione, circa il 23% dei consumi elettrici nazionali.

Ciò significa che una famiglia di 4 persone spende in media 103.00 Euro a bimestre, per luce, elettrodomestici grandi e piccoli, computer e apparecchiature varie collegate alla rete elettrica.


Illuminazione

Click. è la prima cosa che si fa quando si rientra la sera a casa. la prima e la più diffusa delle applicazioni elettriche introdotte nella casa sin dal lontano 1880, anno in cui fu illuminata artificialmente la prima abitazione privata, la lampadina ne ha fatta di strada, illuminando le nostre notti e anche le nostre giornate, cambiando il volto delle nostre città, modificando radicalmente abitudini e bisogni (per noi è difficile rendersene conto, ma il mondo dei nostri avi era un mondo piuttosto buio).

Il settore dell’illuminazione domestica ha una sua importanza energetica, anche se non è il settore che più incide sui consumi di elettricità. In Italia, la quota annua di energia elettrica destinata a tale uso è, complessivamente, superiore ai 7 miliardi di kilowattora, corrispondenti a circa il 13.5% del consumo totale di energia elettrica nel settore residenziale.

Una “famiglia tipo” di 4 persone ha un consumo medio per bimestre di 65-70 kilowattora (kWh) che rappresenta circa l’8-10% delle spese totali di energia elettrica.

È importante utilizzare nel modo migliore l’energia elettrica usata per questa applicazione e contenere le relative spese, senza però rinunciare ai comfort e al benessere a cui ci siamo abituati.

Il nostro obiettivo deve essere la migliore illuminazione con il minore consumo di energia.

Per far “funzionare meglio” la casa e in questo caso particolare l’impianto d’illuminazione non c’è bisogno di fare sacrifici o rinunce. Basta prendere l’abitudine di scegliere gli strumenti più adatti che la tecnica ci mette a disposizione, in modo da consumare meno energia e risparmiare denaro.

È possibile ottenere sensibili risparmi nei consumi e quindi nelle spese per l’illuminazione.

Le lampadine a incandescenza sono ancora le più diffuse, soprattutto in Italia. Costano poco, diffondono una luce calda e gradevole, hanno un’accensione immediata, si sostituiscono facilmente. Per queste ragioni sono ancora le protagoniste indiscusse del mercato dell’illuminazione artificiale. Hanno però un grosso limite. La maggior parte dell’energia assorbita si disperde sotto forma di calore e solo il 10% viene trasformato in luce. Una percentuale che in pratica si inverte nel caso delle lampade fluorescenti, che trasformano in luce il 90% dell’energia utilizzata.

È stato stimato che in Italia il risparmio annuo conseguibile nell’illuminazione d’interni, comprendendo sia gli usi domestici che tutti gli altri, potrebbe essere di circa 5 miliardi di kilowattora.

Questa cifra corrisponde al 20% dei consumi di energia per usi d’illuminazione ed equivale a più di 1 milione di TEP (Tonnellate Equivalenti di Petrolio).

In Italia, la quota di energia elettrica destinata all’illuminazione domestica è superiore ai 6 miliardi di kWh, corrispondente a circa il 13.5% del consumo totale di energia elettrica nel settore residenziale.

Anche con l’illuminazione è possibile contenere i consumi di energia. Vediamo come:
• Per illuminare correttamente un ambiente non è necessario aumentare la potenza delle lampadine, e quindi i consumi, basta scegliere il tipo di lampada giusta e la posizione più opportuna.
Il lampadario centrale non è una soluzione vantaggiosa in termini energetici: è meglio distribuire le lampade in funzione delle attività da svolgere.
• In soggiorno evitiamo i lampadari con molte lampadine. Una lampada da 100 watt fornisce la stessa illuminazione di 6 lampadine da 25 watt, consumando il 50% in meno.
• Prima di acquistare una lampada, bisogna pensare bene quale è l’ambiente da illuminare, quali attività vi si svolgono e per quante ore, in media, la lampada rimarrà accesa.

In generale la soluzione migliore consiste nel creare una luce soffusa in tutto l’ambiente e intervenire con fonti luminose più intense nelle zone destinate ad attività precise come pranzare, leggere, studiare.

Le lampade che troviamo in commercio possono essere suddivise, in base alla modalità con cui viene generata la luce, in due grandi categorie: a incandescenza e a scarica elettrica in gas.

Le lampade a incandescenza, le comuni lampadine, si suddividono in normali e alogene. Entrambe sono economiche al momento dell’acquisto, ma più costose per quello che riguarda i consumi. Le normali hanno una durata media di 1,000 ore, le alogene invece hanno una durata media di 2,000 ore e una maggiore resa energetica.

Le lampade a scarica elettrica in gas, conosciute come lampade ad alta efficienza, hanno una durata media, a seconda dei vari modelli, di 10/12,000 ore. Sono molto efficienti: una di queste lampade da 20 watt fornisce la stessa quantità di luce di una lampadina ad incandescenza da 100 watt. Hanno un prezzo iniziale elevato, ma consentono di ridurre fortemente i consumi di energia elettrica, fino a circa il 70% rispetto alle lampadine ad incandescenza.

Ricordiamo che fino al 31 dicembre 2005 anche le spese sostenute per l’acquisto di queste lampade beneficiano, della detrazione IRPEF del 36%.

Dalla tabella possiamo notare come cambia la spesa annua per l’illuminazione a seconda delle lampade che si utilizzano.
l’ACQUISTO
FACCIAMO LUCE, MA QUALE?
Esistono diversi tipi di lampade ma esistono anche diverse necessità di illuminazione e diverse possibilità di impiego. Prima di scegliere quale lampada acquistare, bisogna pensare bene a:
• dimensioni e tipo di ambiente da illuminare;
• quali attività vi si svolgono;
• mediamente per quante ore la o le lampade dovranno rimanere accese.

Illuminare significa consumare energia e spendere denaro. A seconda di quale lampada si sceglie cambiano notevolmente, oltre alla qualità e alla quantità di luce ottenuta, anche i consumi.

I DIVERSI TIPI DI LAMPADE
Tutte le lampade attualmente in commercio possono essere suddivise, in base alle modalità con cui viene generata la luce, in due grandi categorie:
ad incandescenza
a scarica elettrica in gas

Lampade a Incandescenza

La lampadina a incandescenza è stata inventata da Thomas Edison nel 1879. Il principio di funzionamento su cui si basava è rimasto pressoché invariato nel corso degli anni. La luce viene emessa da un filamento metallico, Edison utilizzò un filamento in fibra di carbonio, oggi si utilizza il tungsteno, che viene reso incandescente dal passaggio della corrente elettrica. Il tutto contenuto in un’ampolla di vetro vuota o riempita di gas inerte.
Le comuni lampadine, le più diffuse nelle nostre case, sono costituite da un bulbo in vetro dal quale è stata tolta l’aria e successivamente riempito con un gas inerte. Al suo interno, un filamento di tungsteno attraversato dalla corrente elettrica diventa incandescente, emettendo una certa quantità di luce.

In Italia sono ancora le più diffuse nell’ambito dell’illuminazione domestica e possono essere di varia forma: a goccia, a pera, sferica, tubolare, ad oliva, a tortiglione, ecc.

Come detto, sono costituite da tre parti essenziali: l’ampolla (o bulbo) esterna, l’attacco e il filamento.
l’ampolla esterna, in vetro, può essere realizzata in diverse finiture. Chiara, smerigliata, rivestita internamente con speciali sostanze a base di silicati (in questo caso si dice opalizzata), colorata, mezzo argentata, ecc.
l’attacco o virola, è costituito da una ghiera di metallo (ottone o rame) fissata all’ampolla per mezzo di mastici speciali. La forma e le dimensioni variano a seconda dell’impiego della lampada. Il tipo più comune, previsto per i normali impieghi d’illuminazione, è quello a vite tipo “Edison”.
Il filamento di tungsteno è l’elemento più importante della lampada. Da esso dipendono, in particolare, la qualità e la quantità della luce e la luce emessa della lampada stessa.

Le lampade ad incandescenza “normali” sono disponibili nelle potenze da 25 a 200 watt e sono caratterizzate da un’efficienza piuttosto modesta (circa l2 lumen/watt) e da una durata di vita media1, pari a circa 1.000 ore.
La sua durata è condizionata da numerosi fattori, in particolare dal numero delle accensioni, dagli sbalzi della tensione di alimentazione e dalla percentuale di umidità degli ambienti in cui si trova e che ne possono accorciare ulteriormente la vita. In cucina, per esempio, i fumi e i vapori tendono a danneggiare il contatto elettrico e quindi a ridurne la durata.

Una lampadina a incandescenza da 150 watt emette circa 2000 lumen, e cioè 2000/150=13 lumen per ogni watt assorbito.
Questo valore LUMEN/WATT esprime in pratica l’efficienza luminosa di una lampada ed è molto importante ai fini della scelta della sorgente luminosa più adatta a risparmiare energia.

Le lampade ad incandescenza, rispetto agli altri tipi di sorgenti luminose adatte all’illuminazione d’interni, sono caratterizzate da un’efficienza luminosa modesta.
Ciò perché l’energia elettrica è trasformata in gran parte in calore e solo in minima parte in luce.

Questo tipo di lampade fornisce istantaneamente il flusso luminoso e, se spente, si riaccendono immediatamente. Il flusso luminoso da esse emesso può essere graduato con appositi “variatori”. Le lampade ad incandescenza, grazie alle loro dimensioni molto contenute e alla forma raccolta si adattano ad essere montate in apparecchi d’illuminazione molto variati e di linea estetica particolarmente curata.

Emettono luce di tonalità "calda" e l’indice di resa cromatica (capacità di distinguere agevolmente i colori) ha il valore massimo: 100. Ciò contribuisce al "comfort" visivo tipico di queste lampade.
Un altro vantaggio delle comuni lampade ad incandescenza è il loro costo iniziale: sono infatti le più economiche al momento dell’acquisto. Sono, però, (e su questo punto importante ritorneremo) le più costose per quello che riguarda i consumi.
Con l’invecchiamento le lampade emettono sempre meno luce (pur consumando sempre la stessa quantità di energia) e quindi è bene che, superata la vita media, vengano sostituite.

Lampade Alogene

Appartengono alla famiglia delle lampade ad incandescenza le lampade alogene, negli ultimi anni in rapida diffusione, il cui successo è legato ad una maggiore durata e a una tonalità di luce più bianca.
Le lampade alogene hanno dimensioni molto ridotte e ciò costituisce in generale una caratteristica positiva ai fini soprattutto della riduzione dell’ingombro del complesso lampada più riflettore o proiettore. Sono disponibili in una notevole varietà di forme e di potenze.
Le lampade alogene sono anche particolarmente adatte a essere impiegate in apparecchi che consentono di orientare con molta precisione il fascio luminoso nel punto desiderato. Qualora invece vengano utilizzate per l’illuminazione indiretta, è necessario impiegare potenze più elevate rispetto a quelle che si avrebbero con l’utilizzo di lampade a incandescenza o fluorescenza (200 o 300 watt), per cui il consumo di energia è, conseguentemente, superiore. Nel caso di potenza non molto elevata (100 watt o meno) e per una illuminazione diretta, le lampade alogene offrono anche il vantaggio di un minore consumo rispetto a quelle ad incandescenza normali. Naturalmente l’illuminazione indiretta comporta sempre una minore efficacia del sistema di illuminazione. Ricordiamo anche che l’adozione di semplici ed economici regolatori rende possibile la variazione del flusso luminoso emesso. Ciò permette di ridurre ulteriormente i consumi. Nelle potenze 60-100-150 watt sono disponibili in versioni con due attacchi e con l’attacco (a vite tipo Edison).

Ai fini del contenimento dei consumi energetici è bene limitare l’uso delle lampade alogene di elevata potenza per la sola illuminazione di oggetti particolari che richiedono alta resa cromatica.

Sono lampade ad incandescenza all’interno delle quali viene introdotta una miscela di alogeni (essenzialmente bromo), che crea un processo di rigenerazione del filamento: quando il filamento raggiunge una determinata temperatura (circa 3.000 gradi Kelvin), gli atomi di tungsteno che evaporano dal filamento, dopo essersi combinati chimicamente con gli alogeni, si ridepositano sul filamento per ricominciare un altro ciclo. In una lampada normale tali atomi si depositano invece sul vetro del bulbo e lo anneriscono.
Questa caratteristica costituisce soltanto uno dei vantaggi che le lampade alogene presentano rispetto a quelle ad incandescenza normali.
Ricordiamo gli altri:
• la loro efficienza luminosa (circa 22 lumen/watt) è superiore;
• emettono luce a temperature di colore superiore (cioè 3.000 K anziché 2.700 K), quindi più gradevole perché più "bianca" e sempre con una eccellente resa dei colori;
• durano il doppio (la durata media è di circa 2.000 ore).

LAMPADE A RIFLETTORE INCORPORATO

In queste lampade una parte dell’ampolla è internamente ricoperta da uno strato di speciali sostanze che riflettono la luce emessa dal filamento incandescente.
Sono dunque lampade che uniscono la funzione di emettere luce a quella di orientare la stessa nella direzione voluta: quest’ultima funzione è normalmente affidata, nel caso delle lampade tradizionali, agli apparecchi d’illuminazione. Si suddividono in due grandi famiglie: fabbricate in vetro soffiato e fabbricate in vetro pressato. La durata di vita media delle lampade in vetro soffiato è di 1.500 ore, quella delle lampade in vetro pressato è di 2.000 ore.

Lampadine a Fluorescenza

Se le tradizionali lampadine sono percepite quasi come un prodotto usa e getta, altrettanto non si può dire per quelle fluorescenti compatte a basso consumo. Introdotte agli inizi degli anni ottanta, si sono andate via via perfezionando, ma stentano ancora a conquistare i consumatori italiani. Una situazione assai diversa rispetto, ad esempio, al nord Europa, dove in media vengono utilizzate sette lampade fluorescenti compatte per abitazione contro le due delle case italiane.

La tecnologia utilizzata è la stessa dei neon, con la sostanziale differenza che l’attacco è a vite (grazie alla miniaturizzazione del reattore di accensione) ed è quindi possibile installarle nei comuni apparecchi domestici.

Queste lampade richiede però un investimento iniziale decisamente più elevato (10-20 euro contro gli 1 o 2 euro di una a incandescenza), ma il consumo è minore e la vita media si aggira intorno alle 10 mila ore. La differenza in bolletta è immediatamente evidente, basti pensare che una fluorescente compatta da 20 watt fornisce le stesse prestazioni di una normale da 100 watt: a parità di resa le fluorescenti consumano un quinto di quelle tradizionali. Durano poi dieci volte tanto, quindi il risparmio a medio e lungo termine è assicurato.

La ricerca tecnologica in questo settore è estremamente agguerrita e le imprese fanno a gara nell’offrire un prodotto sempre più competitivo. Il peso e le dimensioni diminuiscono di anno in anno e l’inconveniente dell’accensione ritardata è stato risolto con l’installazione di un dispositivo elettronico, di cui però non tutte le lampade in commercio sono dotate.

Scelta delle Lampadine

La lampadina viene comunemente considerata un acquisto banale e non si presta quasi mai attenzione all’aspetto qualitativo. Eppure non tutte le lampade presentano gli stessi parametri di qualità in termini di durata, intensità del flusso luminoso rispetto al variare del numero di watt e di sicurezza. Le più affidabili rispettano gli standard indicati dal Cei (Centro elettrotecnico italiano), l’unico organismo che recepisce le indicazioni valide a livello europeo fissandone tramite norme le caratteristiche di qualità e sicurezza. Non si tratta comunque di norme imposte per legge e non tutte le aziende le adottano.

Le lampade a risparmio energetico possono offrire un livello qualitativo fra i più elevati. Dimensioni ridotte e maggiore compattezza consentita dall’impiego di tre tubi fluorescenti anziché due. Tonalità di luce calda, simile a quella delle lampade a incandescenza. Durata superiore o uguale a 10 mila ore. Reattore elettronico per garantire un’accensione immediata.

l’assortimento delle lampade a incandescenza è quello classico. Il vetro può essere trasparente, smerigliato oppure opalino, mentre le forme sono quelle standard a goccia, sfera, oliva e tortiglione. l’attacco infine è di diversi tipi. I due principali sono quello grande (Edison 27) e quello mignon (Edison 14).

Vantaggi sulle lampadine a risparmio energetico.
Vantaggi economici
Le lampadine a risparmio energetico (fluorescenti compatte) fanno la stessa luce delle lampadine tradizionali (ad incandescenza ) anche con un numero inferiore di watt. Ciò consente di ridurre notevolmente i consumi elettrici.
Una lampadina tradizionale di 100 watt in cucina accesa in media 4 ore al giorno tutti i giorni dell’anno, consuma circa € 27 di elettricità l’anno. Una lampadina a risparmio energetico di classe A da 20 watt fa la stessa luce per più di 6 anni e consuma meno di € 6 di elettricità all’anno.

Tabella 01:
Lampadina Tradizionale a Incandescenza Lampadina Alogena Lampadina a Risparmio Energetico (fluorescente compatta di classe A)
Vita Media 1.000 ore 2.000 ore 10.000 ore
Potenza Elettrica 100 watt 60 watt 20 watt

Una famiglia media di tre/quattro persone sostituendo le lampadine ad incandescenza tradizionali con le lampade fluorescenti compatte può risparmiare fino all’80% sui consumi di luce con il vantaggio di ricevere ogni due mesi una bolletta meno cara di almeno 15 euro. Le lampade fluorescenti compatte ci fanno risparmiare energia non solo nelle abitazioni ma anche a livello condominiale (scale, giardino, negozi, uffici…).
Vantaggi ambientali
Usare lampadine a risparmio energetico significa “fare bene” anche all’ambiente perché si riducono le emissioni di anidride carbonica (CO2) e degli altri gas climalteranti, causa principale dei cambiamenti climatici sulla terra.

LE LAMPADE A SCARICA IN GAS

Queste lampade sfruttano il principio per cui se tra due elettrodi immersi in un gas o in vapori metallici viene applicata una differenza di potenziale opportuna, tra i due elettrodi si genera una scarica a cui è associata l’emissione di radiazioni visibili.

Esse richiedono l’impiego di un’apparecchiatura di alimentazione (reattore) che ha il compito di limitare al giusto valore la corrente di scarica e, in generale, di un accessorio per facilitare l’innesco della scarica (starter o accenditore).
In particolare, tra le altre, appartengono alla famiglia delle sorgenti luminose a scarica le lampade tubolari fluorescenti tradizionali (dette familiarmente, ma erroneamente "al neon") e quelle "compatte".

Queste lampade hanno un’efficienza luminosa di gran lunga superiore (da 4 a 10 volte) rispetto a quella delle lampade ad incandescenza, in quanto è più elevata la quota di energia assorbita trasformata in luce. Le lampade a scarica non possono, però, essere collegate direttamente alla rete di alimentazione, come avviene invece per quella ad incandescenza.

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PER CHI VUOLE SAPERNE DI PIU’

La "qualità" della luce dipende essenzialmente dalla sua tonalità e dall’indice di resa cromatica.

La tonalità di luce emessa da una lampada è caratterizzata dalla "temperatura di colore", espressa in gradi Kelvin (K).

Vengono definite:
• a tonalità "calda" le lampade la cui luce abbia temperatura di colore compresa tra 2.000 e 3.000 K;
• a tonalità "bianca" le lampade la cui luce abbia temperatura di colore compresa tra 3.000 e 5.000 K;
• a tonalità "fredda" le sorgenti luminose la cui luce abbia temperatura di colore superiore a 5.000 K.

Nei locali illuminati con lampade a luce "fredda" si devono prevedere valori d’illuminazione superiori a quelli che sarebbero sufficienti nel caso d’impiego di sorgenti a luce "bianca" o "calda". In caso contrario l’illuminazione potrebbe infatti conferire all’ambiente un aspetto poco accogliente.

l’indice di resa cromatica (Ra) definisce in che misura la luce emessa da una sorgente luminosa consente di apprezzare le sfumature di colore degli oggetti illuminati. Al riguardo le lampade vengono classificate con un indice numerico compreso tra 0 e 100: quanto più tale indice si avvicina a 100 tanto più la sorgente luminosa consente l’apprezzamento delle sfumature di colore.

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6

LAMPADA

ALOGENA

LAMPADA

A RIFLETTORE INCORPORATO

LAMPADA

ALOGENA

Anche la loro efficienza luminosa, circa 100 lumen/watt, è notevolmente superiore.

Il sistema costituito da lampade ad alta frequenza e reattori elettronici consente un risparmio globale di energia di circa il 25% rispetto a lampade e reattori convenzionali.

Altri vantaggi dell’adozione del "sistema" sono:
• accensione istantanea senza starter;
• assenza di sfarfallamento
• assenza di annerimento alle estremità
• possibilità di un’ottima regolazione del flusso luminoso (dal 10% al 100%) adottando reattori elettronici in una speciale versione (detta "dimming").

La regolazione del flusso può essere automatica attraverso fotocellule, o manuale attraverso un potenziometro. In particolare la regolazione automatica consente di mantenere nei locali un livello d’illuminamento prestabilito anche al variare della luce diurna e al progredire dell’invecchiamento delle lampade.

LAMPADE FLUORESCENTI COMPATTE

E LAMPADE FLUORESCENTI COMPATTE

INTEGRATE ELETTRONICHE

Sono state introdotte all’inizio degli anni ’80 allo scopo di mettere a disposizione degli utenti sorgenti luminose che, pur avendo dimensioni e tonalità di luce simili a quelle delle lampade ad incandescenza, fossero caratterizzate da un’efficienza luminosa e da una durata di vita notevolmente superiori.

Per quanto riguarda i principi di funzionamento sono comparabili alle lampade tubolari fluorescenti di cui costituiscono la miniaturizzazione.

Le lampade fluorescenti compatte hanno un’efficienza luminosa che varia da 40 a 60 lumen/watt a seconda del tipo e quindi consentono di ridurre fortemente i consumi d’energia elettrica (circa il 70%) che si avrebbero impiegando comuni lampade ad incandescenza di equivalente flusso luminoso: ad esempio, una di queste lampade da 20 watt fornisce la stessa quantità di lu-

LE LAMPADE A SCARICA IN GAS

Alla famiglia delle lampade a scarica in gas appartengono le lampade fluorescenti.

Esse sono costituite da un contenitore di vetro, con elettrodi sigillati all’estremità, all’interno del quale si trovano vapore di mercurio e un gas con particolari sostanze fluorescenti che trasformano le radiazioni ultraviolette invisibili, prodotte all’interno del tubo stesso quando si innesca la scarica nel vapore di mercurio, in radiazioni luminose visibili.

Possiamo suddividere le lampade fluorescenti in:
• lampade fluorescenti tubolari;
• lampade fluorescenti tubolari ad alta frequenza;
• lampade fluorescenti compatte;
• lampade fluorescenti compatte integrate elettroniche.

LAMPADE TUBOLARI FLUORESCENTI TRADIZIONALI

La "qualità" della luce emessa da queste lampade varia in base al tipo di sostanza fluorescente utilizzata. Infatti proprio sulla selezione e composizione delle sostanze fluorescenti usate si basa la vasta gamma di tonalità di luce con cui vengono oggi prodotte le lampade tubolari fluorescenti.

Le polveri fluorescenti di qualità inferiore e di minor costo danno origine a tonalità di luce che "falsano" i colori e li rendono sgradevoli. Le lampade che hanno questa resa cromatica così poco soddisfacente vengono denominate "a luce standard".

È evidente che queste lampade non sono adatte per l’illuminazione domestica o di uffici, negozi ecc.., ma possono trovare impiego in alcune applicazioni industriali. Negli ultimi anni, invece, proprio per gli usi domestici e commerciali sono state messe a punto speciali miscele di polveri di alta qualità che consentono di ottenere tonalità di luce simile a quella delle lampade ad incandescenza mantenendo tutti i vantaggi e le caratteristiche del comfort visivo di quest’ultime.

Scegliendo adeguatamente la colorazione della lampada fluorescente, si potrà ottenere un’illuminazione del tutto simile a quella delle lampade ad incandescenza.

Le varie tonalità, le diverse forme delle "nuove" lampade, possono quindi soddisfare le esigenze più disparate.

Dal punto di vista dell’efficienza (il rendimento è di circa 90 lumen/watt) e dei consumi, le lampade fluorescenti tubolari sono molto vantaggiose: a parità di luce emessa consumano la quinta parte di una lampada ad incandescenza. La durata di vita media è di circa 10.000 ore. (v. tab. 1): molto superiore a quella delle lampade ad incandescenza.

In queste lampade tubolari, come suggerisce il nome stesso, il contenitore di vetro ha la forma di un tubo.

Attualmente i tipi più diffusi hanno un diametro di 26 millimetri. Le potenze più comuni sono 36 e 58 watt. Sono disponibili nelle tonalità di luce calda, bianca, fredda o diurna.

Per l’alimentazione di queste lampade è necessario utilizzare un reattore per limitare il valore della corrente ed uno starter per facilitare l’innesco della scarica.

LAMPADE TUBOLARI FLUORESCENTI AD ALTA FREQUENZA

Sono ora disponibili sul mercato lampade tubolari fluorescenti espressamente realizzate per funzionare con alimentazione a mezzo di reattori elettronici ad alta frequenza: sono denominate appunto lampade ad alta frequenza. Esse sono caratterizzate da una durata di vita di circa 12.000 ore, notevolmente superiore rispetto a quella delle lampade di tipo tradizionale.

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LAMPADA

FLUORESCENTE COMPATTA

A GLOBO

LAMPADA

FLUORESCENTE CIRCOLARE

LAMPADA

FLUORESCENTE TUBOLARE

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CARATTERISTICHE DELLE LAMPADE PER USO RESIDENZIALE

TIPO INDICE DURATA RESA CROMATICA TONALITÀ

DI LAMPADE DI EFFICIENZA* MEDIA (ORE) (INDICE) (K°)

AD INCANDESCENZA 1 1.000 100 2.000/3.000

AD ALOGENI:

• con attacco a vite 1,8 2.000 100 3.000

• a doppio attacco 1,8 2.000 100 3.000

• a bassissima tensione (**) 1,8 2.000 100 3.000

FLUORESCENTI

COMPATTE:

• elettroniche integrate 6 10.000 85 2.700/5.000

• convenzionali 5 (***) 10.000 85 2.700/5.000

FLUORESCENTI

TUBOLARI:

• a luce standard 7 10.000 65 a seconda dei tipi

• a luce "extra" 8 10.000 85/95 2.700/6.500

• ad alta frequenza 10 12.000 85 3.000/4.000

(*) Indice di efficienza 1=12 lumen/watt.

(**) Richiede un trasformatore.

(***) Talvolta l’alimentazione può essere separata: in tal caso, alla potenza della lampada viene aggiunta quella

dell’alimentatore.

I dati riportati sono per lampade con alimentazione incorporata.

I CONSUMI

CHI PIU’ SPENDE, MENO SPENDE

Da tutto quello che abbiamo detto è possibile constatare che un maggior costo iniziale per un determinato tipo di lampada, corrisponde un minor costo di gestione, dovuto a minori consumi e a una vita più lunga.

Pertanto dobbiamo parlare, più che di consumi, di efficienza, cioè di quanta luce fornisce una lampada per ogni watt assorbito.

Con l’aiuto della tabella 1, possiamo vedere come, posto uguale a 1 l’indice di efficienza per la lampada ad incandescenza, variano notevolmente l’efficienza e la vita dei diversi tipi di lampade.

Una lampada fluorescente ha un’efficienza maggiore rispetto ad una ad incandescenza.

Ma non è tutto. Possiamo anche notare come cambia la spesa annua per l’illuminazione a seconda delle lampade che si utilizzano. Nella tabella 2 vengono paragonate, a titolo di esempio, tre diverse soluzioni per illuminare un ambiente (soggiorno di 20 m2). Viene preso in considerazione un periodo di cinque anni. Il costo del kilowattora viene calcolato in 0,18 Euro.

Il risparmio ottenibile con alcuni tipi di lampade è evidenziato nell’ultima colonna.

11

ce di una lampada ad incandescenza da 100 watt.

Inoltre le lampade fluorescenti compatte hanno una durata di 10.000 ore, 10 volte superiori a quella delle lampade ad incandescenza. Vogliamo comunque ricordare che per la durata delle lampade compatte è importante il numero di accensioni. Accensioni e spegnimenti molto frequenti, superiori alle 10 volte nelle 24 ore, possono in effetti ridurne sensibilmente la durata.

Di queste lampade esistono versioni con attacco a vite E 27 ed E 14 (comunemente conosciute come "attacco Edison" ed "attacco mignon") nel quale è incorporato anche il reattore elettronico: pertanto tali lampade possono essere sostituite direttamente (nel caso di rete a 220 volt) alle lampade ad incandescenza di cui conservano la leggerezza, le ridotte dimensioni e la semplicità di attacco.

l’accensione elettronica è molto adatta per gli impieghi che richiedono una accensione istantanea e ripetuta, riducendo anche il fastidioso inconveniente dei tempi d’attesa per l’accensione.

La gamma delle potenze disponibili è molto vasta:

4-5-7-9-11-13-15-18-20-23-25 watt.

Queste lampade sono particolarmente indicate laddove vi è la necessità di un uso prolungato e senza accensioni troppo frequenti, sia per ambienti interni (cucina, o altri spazi di lavoro, negozi, centri commerciali, ecc.) sia per ambienti esterni (giardini, portoni d’ingresso, ecc.).

Le lampade fluorescenti compatte costano di più rispetto alle lampade ad incandescenza: in media sulle 15,00 Euro, contro circa 1,00 Euro, ma permettono un sostanziale risparmio nei consumi. Tuttavia è probabile che, aumentando la diffusione di queste lampade, i prezzi possano scendere.

LAMPADE AL SODIO

In ultimo vogliamo fare un brevissimo accenno alle lampade al sodio (che appartengono sempre alla famiglia delle lampade a scarica). In queste lampade la scarica fra i due elettrodi avviene in una atmosfera di sodio le cui tipiche radiazioni sono di colore giallo. Esse trovano normale impiego nell’illuminazione stradale ma, nelle potenze più piccole, possono prestarsi convenientemente all’illuminazione di terrazze, giardini, viali d’accesso ecc.., quando si vogliano ridurre i consumi (l’efficienza delle lampade al sodio è molto alta, circa 10 volte superiore a quelle delle lampade ad incandescenza) e non abbia importanza la resa cromatica dei colori (le lampade al sodio emettono luce monocromatica gialla).

LAMPADA

FLUORESCENTE

COMPATTA

LAMPADA

FLUORESCENTE

3 TUBI

TABELLA 1

10

AUMENTO DEL RISPARMIO ANNUO CON l’AUMENTO DELLE ORE DI

UTILIZZO SOSTITUENDO 3 LAMPADE AD INCANDESCENZA DA 100 W

CON 3 LAMPADE FLUORESCENTI COMPATTE ELETTRONICHE DA 20 W

ORE DI RISPARMIO ANNUO TEMPO DI RECUPERO

UTILIZZO DI ENERGIA ELETTRICA DELl’INVESTIMENTO (*)

ALl’ANNO EURO ANNI

500 22,00 2,4

1.000 43,00 1,2

1.500 65,00 0,8

2.000 87,00 0,6

(*) Differenza di costo delle lampade / risparmio annuo di energia elettrica.

ESEMPIO DI UTILIZZO: 2000 ORE/ANNO PER UN PERIODO DI 5 ANNI (*)

TIPO E NUMERO COSTO LAMPADE COSTO ENERGIA COSTO RISPARMIO

DI LAMPADE (**) (***) ELETTRICA TOTALE TOTALE (****)

EURO EURO EURO EURO

INCANDESCENZA

3x100 W 30,00 540,00 570,00 -

ALOGENE

2x100 W 50,00 360,00 410,00 160,00

FLUORESCENTI

COMPATTE

TRADIZIONALI

3x25 W 30,00 135,00 165,00 405,00

FLUORESCENTI

COMPATTE

ELETTRONICHE

3x20 W 54,00 108,00 162,00 408,00

13 12

TABELLA 2

TABELLA 3

(*) Illuminazione ambiente pari a 150 lux.

(**) Durata lampade ad incandescenza: 1.000 ore; alogene: 2.000 ore; fluorescenti compatte: 10.000 ore.

(***) Costo lampade ad incandescenza: 1,00 Euro; alogene: 5,00 Euro; fluorescenti compatte tradizionali: 10,00 Euro;

fluorescenti compatte elettroniche: 18,00 Euro.

(****) Risparmio rispetto alla soluzione con lampade ad incandescenza.

Come si nota dalla tabella, a un costo iniziale modesto

per l’acquisto della lampadina, può corrispondere

una spesa elevata per il suo utilizzo. Gli elementi

da considerare per calcolare i costi reali dell’illuminazione

sono, infatti, l’efficienza, i consumi e la durata

della vita delle lampadine.

Per avere l’illuminazione desiderata, potremo scegliere

tra 3 lampade ad incandescenza da 100 W,

oppure 2 fluorescenti compatte da 25 W o, infine, 3

fluorescenti compatte elettroniche da 20 W.

Se consideriamo il caso di lampade accese per 2.000

ore all’anno (in media, poco meno di 6 ore al giorno)

in 5 anni dovremo acquistare, nel primo caso ben

30 lampadine ad incandescenza (durano solo 1.000

ore l’una) e spendere quindi 30,00 Euro; nel secondo

10 lampade alogene (durano 2.000 ore) con un costo

di 50,00 Euro, mentre nel terzo e nel quarto le 3

fluorescenti compatte comprate all’inizio ci dureranno

per tutti i 5 anni (durata di ognuna: 10.000 ore) con

una spesa da 30,00 a 54,00 Euro a secondo del tipo

scelto (tradizionale o elettronica).

Quindi, scegliendo le lampade alogene, si ottiene

un risparmio di circa 160,00 Euro rispetto alle comuni

lampade ad incandescenza. Con le lampade fluorescenti,

il risparmio che si può ottenere sale fino a

circa 408,00 Euro.

In ogni caso, sostituire le lampade ad incandescenza

risulta vantaggioso: l’investimento dovuto all’acquisto

delle nuove lampade si recupera in tempi brevi.

Facciamo attenzione però che la convenienza diminuisce

se diminuiscono le ore di utilizzo: iniziamo

quindi a sostituire le lampade che rimangono accese

più a lungo (vedi tabella 3).

Anche a livello condominiale si può risparmiare energia

elettrica. Scale, cantine, garage sono locali dove

la luce rimane accesa per lungo tempo: conviene utilizzare

lampade fluorescenti e installare un interruttore a tempo, regolato secondo le esigenze degli

inquilini, che spegne la luce dopo un certo periodo.

Il costo è molto contenuto ed il risparmio che ne deriva

molto elevato.

Per meglio orientarsi al momento dell’acquisto la tabella

4 riporta, a titolo di esempio, l’equivalenza tra

le più comuni lampade fluorescenti compatte e le

corrispondenti lampade ad incandescenza.

LAMPADA

FLUORESCENTE

COMPATTA

LAMPADA

FLUORESCENTE

COMPATTA

 

EQUIVALENZA TRA LAMPADE

FLUORESCENTI COMPATTE

E LAMPADE AD INCANDESCENZA

FLUORESCENTI COMPATTE INCANDESCENZA

CON ATTACCO E 14 ED E 27

CONVENZIONALE OPALINA

9W 40W

13W 60W

18W 75W

25W 100W

CONVENZIONALE PRISMATICA

9W 40W

13W 60W

18W 75W

25W 100W

ELETTRONICA 6 TUBI

15W 75W

20W 100W

23W 2X60W

ELETTRONICA 4 TUBI

5W 25W

11W 60W

15W 75W

20W 100W

CONVENZIONALE GLOBO

9W 40W

13W 60W

18W 75W

ELETTRONICA GLOBO

15W 75W

20W 100W

23W 2X60W

l’UTILIZZO

DOVE E COME

Abbiamo già sottolineato l’importanza di adattare l’illuminazione alle diverse esigenze, evitando gli errori più frequenti: cioè una quantità di luce insufficiente allo svolgimento di determinate attività come cucinare, leggere, cucire ecc. che richiedono una buona acuità visiva e una errata distribuzione delle fonti luminose che lasciano fastidiose zone d’ombra o che provocano abbagliamento.

MIGLIORARE l’ILLUMINAZIONE non significa, infatti, semplicemente aumentare la potenza delle lampadine (e quindi i consumi di elettricità): molto più importante è invece determinare la corretta distribuzione delle sorgenti luminose e la giusta qualità della luce.

Come determinare la quantità di luce necessaria in un ambiente? A questa domanda non si può dare una sola risposta. Cambia a seconda delle funzioni a cui è destinato l’ambiente.

In ogni ambiente esistono delle attività principali che richiedono un particolare tipo di luce.

In generale la soluzione migliore, per gli usi domestici, consiste nel creare una luce soffusa in tutto l’ambiente e intervenire con fonti luminose più intense nelle zone destinate ad attività precise come pranzare, leggere, studiare.

È importante anche che le luci non abbaglino né direttamente, né per riflessione. Nel primo caso basta eliminare dal campo visivo le lampadine con sorgenti di luce concentrata: ciò non vuol dire sempre cambiare la lampada o modificarne la posizione; spesso basta sostituire la lampadina chiara con una smerigliata o una opalizzata. Nel caso della riflessione ci sono alcune considerazioni da fare: può dipendere dal tipo di materiali e oggetti presenti in casa o dal tipo di lampada. Se ci sono superfici riflettenti si può intervenire sulla sorgente di luce e, ad esempio, sostituire una illuminazione concentrata con una diffusa. Si può anche intervenire sull’oggetto riflettente, cambiandolo di posto o modificandone l’orientamento.

Non dimentichiamo inoltre che se vogliamo aumentare la luminosità e diminuire i consumi della luce artificiale le pareti degli ambienti devono essere tinteggiate con colori chiari.

ECCO, INFINE, ALCUNI CONSIGLI PRATICI

• Il lampadario centrale per l’illuminazione generale delle stanze non è una soluzione vantaggiosa in termini energetici, soprattutto quando questo è provvisto di molte luci: una lampada ad incandescenza da 100 watt fornisce la stessa illuminazione di 6 lampadine da 25 watt, ma queste ultime consumano il 50% in più di energia elettrica.

• Dovendo scegliere un lampadario centrale è meglio utilizzarne uno con una luce sola, oppure, nel caso di un interruttore doppio si può installarne uno a due luci, una di potenza debole e una di potenza maggiore.

• l’illuminazione con lampada da terra o da parete, è migliore perché non crea zone d’ombra e dà una luce diffusa; si possono utilizzare apparecchi a luce diffusa tipo abatjour oppure apparecchi con lampade alogene.

 

• Per illuminare sculture, quadri, particolari oggetti, l’illuminazione più idonea è quella data dai faretti che creano un fascio di luce diretta.

• Nella zona pranzo è meglio utilizzare una luce sospesa concentrata sul tavolo oppure una lampada da terra, con braccio curvo, che illumini il tavolo.

• Per le scrivanie sono da preferire le lampade da tavolo con braccio orientabile.

• Nei bagni sono sufficienti plafoniere a soffitto o faretti ad accensione separata, vicino allo specchio.

• Appliques e plafoniere sono una valida soluzione anche per i corridoi e per tutti gli ambienti di transito che non richiedono una forte illuminazione.

• In cucina, oltre all’illuminazione generale, occorre prevedere luci sotto i pensili, sui piani di lavoro e sul piano di cottura da utilizzare solo dove e quando servono.

LA SICUREZZA, IL RISPARMIO, IL RISPETTO DELL’AMBIENTE

Al momento dell’acquisto degli apparecchi domestici è bene prestare attenzione al marchio IMQ (o altri marchi riconosciuti a livello europeo). Se c’è il marchio significa che l’apparecchio è prodotto in conformità con le norme di legge in materia di sicurezza.

Dove si trova il marchio di qualità? Il marchio di qualità può trovarsi sulla confezione, su un’etichetta verde applicata all’apparecchio o sulla targhetta delle caratteristiche tecniche, oppure, stampato sull’involucro. In ogni caso è un segno che dice "sicurezza".

Per quanto riguarda l’efficienza energetica, é adesso più facile scegliere i prodotti migliori in quanto le informazioni disponibili sono adesso più chiare ed in evidenza. Infatti dal 2002 una direttiva dell’Unione Europea rende obbligatorio esporre anche sulle lampade un’etichetta ("etichetta energetica") che indica l’efficienza energetica dei vari tipi di lampade.

Un altro marchio significativo per l’utente attento è l’Eco-label (ecoetichetta): un marchio europeo che indica un prodotto "compatibile con l’ambiente" e quindi, generalmente, anche con un minor consumo di energia.

Ha per simbolo la margherita con le stelle come petali e la "E" di Europa al centro.

MARCHIO IMQ

L’ENEA pubblica altri opuscoli sulle scelte più convenienti che tutti noi possiamo adottare per risparmiare energia e proteggere l’ambiente.

Potete richiedere gratuitamente gli opuscoli che vi interessano a:

ENEA - Unità RES RELPROM

Lungotevere Thaon di Revel, 76 – 000191 Roma

Fax 0636272288


IL BENESSERE SOSTENIBILE E I CONSUMI DELLE FAMIGLIE ITALIANE

I vincoli derivanti dalla necessità di rispettare i limiti ambientali sono ormai alla base delle scelte riguardanti la produzione ed il consumo dell’energia pur nel mantenimento di un adeguato grado di benessere. Il raggiungimento degli obiettivi di riduzione delle emissioni dei cosiddetti "gas serra", primo fra questi l’anidride carbonica, la CO2, stabiliti per ciascuno stato dalla Conferenza sui cambiamenti climatici di Kyoto, è solo uno dei primi passi verso la definizione del "benessere sostenibile".

Dobbiamo tutti fare qualcosa per ridurre le emissioni inquinanti e per limitare i consumi energetici di casa nostra e più in generale del nostro paese.

• Scopo della ricerca e dell’innovazione tecnologica è quello di darci soluzioni nuove e sistemi più efficienti.

• Compiti di chi governa sono quelli di coordinare gli sforzi, indirizzare le scelte, promuovere l’utilizzo di tali sistemi.

• È impegno di tutti farci parte attiva informandoci e valutando la possibilità di utilizzare nuove e più convenienti soluzioni per risparmiare energia.

l’uso razionale delle risorse energetiche comporta un doppio beneficio: il singolo cittadino pagherà una bolletta energetica meno cara, e la collettività si avvantaggerà di una maggiore durata delle riserve energetiche, un minore inquinamento e una minore dipendenza dall’estero del nostro Paese per l’approvvigionamento dell’energia.

Ridurre i consumi di energia elettrica è possibile. Anche in casa nostra possiamo fare molto adottando una serie di accorgimenti e comportamenti, senza per altro sacrifici o rinunciare al comfort, ma solo con un po’ d’attenzione, programmazione e buona volontà.

Le possibilità di risparmio sono tante e spesso sono sotto gli occhi di tutti.

Limitare i consumi irrazionali ed eliminare gli sprechi di energia sin da oggi significa non solo ridurre le spese (le “bollette delle luce” saranno più leggere e le spese di gestione familiare più contenute) ma anche contribuire ad un ambiente più pulito, significa pensare al futuro.

LE ETICHETTE ENERGETICHE

l’Unione Europea ha affrontato concretamente la questione a partire dal 1992, quando la direttiva 92/75/CEE ha stabilito la necessità di applicare un’etichetta energetica ai principali elettrodomestici. Nel 1994 è stata emanata la prima direttiva specifica.

La legislazione europea è stata poi recepita - cioè è entrata a far parte delle leggi nazionali - in ciascuno dei paesi dell’Unione Europea. Così in Italia nel 1998 è stato introdotto l’obbligo dell’etichettatura energetica per frigoriferi e congelatori, da maggio 1999 è stata introdotta l’etichetta per le lavatrici, da giugno 2000 quella per le lavastoviglie, da luglio 2002 è obbligatoria l’etichetta per le lampade ad uso domestico e da luglio 2003, infine, sono state introdotte le etichette per i forni elettrici e i condizionatori.

La finalità dell’etichettatura energetica degli elettrodomestici è quella di informare gli utenti circa il consumo di energia degli apparecchi, allo scopo di consentire un impiego più razionale dell’energia e di favorire il risparmio energetico e la riduzione dell’inquinamento atmosferico.

In più l’etichetta energetica, orientando gli utenti nella scelta al momento dell’acquisto, favorisce lo sviluppo tecnologico dei prodotti con consumi contenuti. I progressi già ottenuti sono notevoli.

l’etichetta deve essere posta dal negoziante, ben visibile, davanti o sopra l’apparecchio. Quando non è possibile per l’utente prendere diretta visione dell’apparecchio - ad esempio, nelle vendite per corrispondenza - è obbligo del venditore renderne note le prestazioni energetiche attraverso i cataloghi di offerta al pubblico.

Le varie etichette presentano per una buona parte la stessa veste grafica: c’è una serie di frecce di lunghezza crescente, ognuna di colore diverso. Ad ogni freccia è associata una lettera dell’alfabeto (dalla A alla G).

La lunghezza delle frecce è legata ai consumi: a parità di prestazioni, gli apparecchi con consumi più bassi hanno la freccia più corta, quelli con consumi più alti hanno la freccia più lunga.

Dunque più alta è l’efficienza energetica dell’apparecchio, più corta è la freccia.

Il significato dei colori e delle lettere è lo stesso della lunghezza:

• freccia corta - lettera A - colore verde - consumi bassi

• freccia lunga - lettera G - colore rosso - consumi alti.

A parità di prestazioni gli apparecchi che consumano meno sono più efficienti dal punto di vista energetico. Con una similitudine “semaforica”, si potrebbe dire che la freccia rossa indica uno stop all’acquisto a causa degli alti consumi, la freccia verde via libera, la freccia gialla cautela.

Sull’etichetta è inoltre riportato l’avvertimento che una scheda particolareggiata relativa al prodotto che illustra le caratteristiche tecniche e le prestazioni è allegata al materiale informativo fornito insieme all’elettrodomestico o al catalogo in visione nei negozi.

IL PROGRAMMA “ENERGY STAR” PER LE APPARECCHIATURE PER UFFICIO

Nel giugno 2001 è stato introdotto il programma “Energy Star” per le apparecchiature per ufficio, il cui simbolo o “logo” contraddistingue i prodotti che presentano un uso efficiente dell’energia.

Attualmente possono essere etichettati i seguenti prodotti: computer, monitor, stampanti, fax, affrancatrici, fotocopiatrici, scanner e dispositivi multifunzione.

LE SCHEDE INFORMATIVE

In effetti la normativa relativa all’etichetta energetica comporta per i fornitori anche l’obbligo di fornire e di rendere disponibile al pubblico una scheda informativa relativa all’apparecchio posto in vendita.

Nelle schede informative dei diversi elettrodomestici sono riportati: il marchio del costruttore; il nome del modello; la classe di efficienza energetica su una scala da A (efficienza massima) a G (efficienza minima); il consumo di energia; l’eventuale assegnazione del marchio comunitario di qualità ecologica (Ecolabel, in questo caso è pubblicato il relativo simbolo), le principali caratteristiche tecniche del modello e in particolare quelle che possono incidere sui consumi di energia.

Inoltre ogni tipologia di apparecchio avrà una serie di informazioni aggiuntive.

Come esempio di scheda informativa tipo, riportiamo quella relativa alla lavatrice.

In questa scheda troviamo dunque (con riferimento al ciclo normale di lavaggio del cotone a 60°C) le seguenti informazioni:

• il marchio del costruttore;

• il nome del modello;

• la classe di efficienza energetica su una scala da A (efficienza massima) a G (efficienza minima);

• il consumo di energia in kWh per ciclo normale del cotone a 60°C;

• la classe di efficienza del lavaggio su una scala da A (più pulito) a G (meno pulito);

• l’efficienza di espulsione dell’acqua, definita come percentuale dell’acqua rimasta dopo la centrifuga in rapporto al peso della biancheria asciutta;

• la velocità massima di centrifugazione;

• la capacità dell’apparecchio;

• il consumo di acqua;

• la durata del programma;

• le altre informazioni a cura del costruttore e riferite ad altri cicli di lavaggio;

• il consumo medio annuo di energia e di acqua sulla base di 200 cicli di lavaggio all’anno;

• la rumorosità durante il lavaggio e la centrifugazione.

Possiamo fare ancora degli esempi relativi ad altri tipi di elettrodomestici: così nella scheda informativa di una lavastoviglie viene riportato, oltre alle informazioni generali, l’indicazione del ciclo “normale” a cui si riferiscono i dati contenuti nell’etichetta e nella scheda, la classe di efficacia di lavaggio su una scala da A a G, la classe di efficacia di asciugatura, la capacità delle lavastoviglie in coperti normali, il consumo di acqua per ciclo di lavaggio normale, la durata del programma.

Ancora: tra le informazioni caratterizzanti la scheda relativa ai frigoriferi troveremo il numero di stelle dello scomparto per la conservazione degli alimenti surgelati, la capacità in litri, ecc; nella scheda relativa ai condizionatori saranno riportati la capacità di raffreddamento in kW dell’apparecchio e l’indice di efficienza energetica.

In definitiva per l’utente attento e consapevole la scheda informativa si configura, accanto all’etichetta energetica, come un’ulteriore preziosa fonte di informazione.

ETICHETTA ENERGETICA DI FRIGORIFERI E CONGELATORI

Ai fini della riduzione dei consumi di energia, l’etichetta energetica è ancora più importante per gli apparecchi a diffusione elevata (proprio come il frigorifero) a cui si deve un alto consumo energetico perché sono presenti in tutte le case.

Per esempio i consumi di energia elettrica per frigoriferi e congelatori rappresentano circa il 22% dell’energia elettrica utilizzata per gli usi domestici, anche se l’efficienza energetica di questi apparecchi è aumentata di circa il 30% negli ultimi dieci anni.

l’“etichetta energetica”, si trova sugli elettrodomestici del freddo (frigoriferi, congelatori e frigo-congelatori) per uso casalingo. Grazie a questa etichetta dal 1998 scegliere un nuovo frigorifero o congelatore è più facile: l’etichetta energetica permette a tutti gli utenti di conoscere le principali caratteristiche e il consumo di energia, valutando fin dal momento dell’acquisto i possibili costi di esercizio di ciascun modello.

Devono avere l’etichetta solo gli apparecchi alimentati dalla rete elettrica: un frigorifero portatile a batteria, ad esempio, non ha l’etichetta energetica.

Essa comprende 5 settori, ed è fatta così:

SETTORE 1

SETTORE 2

SETTORE 3

SETTORE 4

SETTORE 5

SETTORE 1: dove viene identificato l’elettrodomestico, riportando il nome o il marchio del costruttore e il nome del modello.

SETTORE 2: dove sono riportate le classi di efficienza energetica e si evidenzia a quale classe appartiene l’elettrodomestico in esame. Vi è infatti riportata la serie di frecce di lunghezza crescente, ognuna di colore diverso e ognuna associata a una lettere dell’alfabeto (dalla A alla G). La lettera A (e la relativa freccia più corta) indica dunque, a parità di prestazioni, gli apparecchi con i consumi più bassi di energia, le lettere E, F o G (con le relative frecce più lunghe) indicano gli apparecchi che hanno i consumi più alti. In questo spazio può essere anche riportato il simbolo dell’ECOLABEL, l’ecoetichetta assegnata dalla Unione Europea che indica un prodotto “più compatibile con l’ambiente”. Ha per simbolo la margherita con le stelle come petali e la “E” di Europa al centro.

SETTORE 3: dove è indicato il consumo di energia, espresso in kWh/anno. Attenzione però: il consumo che viene qui indicato è quello che si avrebbe tenendo l’apparecchio sempre in funzione a porte chiuse e in condizioni particolari di laboratorio. Il consumo reale può differire molto in quanto dipende dal modo nel quale viene utilizzato e anche dal luogo in cui è installato l’apparecchio.

SETTORE 4: dove vengono forniti dati sulla capacità dell’apparecchio: • volume utile complessivo, in litri, degli scomparti per conservare cibo fresco, cioè di tutti gli scomparti “senza stelle”, la cui temperatura di conservazione è superiore a -6°C • volume utile complessivo, in litri, degli scomparti per conservare cibi surgelati o per congelare, cioè di tutti gli scomparti “con stelle” o con temperatura di conservazione uguale o inferiore a -6°C • tipo di scomparto a bassa temperatura presente nell’apparecchio, secondo il codice “a stelle”. Infatti gli scomparti a bassa temperatura per conservare e congelare il cibo sono identificati da un codice internazionale a stelle che si basa sulla temperatura raggiunta.

SETTORE 5: dove è indicata la rumorosità dell’apparecchio (quando prescritto).

LA NUOVA ETICHETTA PER I FRIGORIFERI E I CONGELATORI

A partire da luglio 2004 l’etichetta energetica dei frigoriferi e congelatori cambierà parzialmente. Infatti due nuove classi di efficienza energetica chiamate A+ ed A++ si affiancheranno alle tradizionali 7 (da A a G)

I CONSUMI

In termini economici, scegliere un elettrodomestico più o meno efficiente, può comportare un notevole risparmio. Prendiamo come esempio un frigocongelatore da 300 litri, di cui 200 per cibi freschi e 100 per cibi congelati. Nella seguente tabella sono paragonati i consumi ed i relativi costi annuali per l’energia elettrica a seconda che il frigorifero appartenga alla classe A, oppure alla B ecc…

Scegliendo quindi un modello in classe “A” potremo spendere per l’energia elettrica circa la metà di quanto spenderemmo con un modello di classe “F”.

In termini economici, scegliere un elettrodomestico di classe A+ o A++ può comportare un ulteriore risparmio rispetto ad un apparecchio dell’attuale classe A.

Prendendo sempre come esempio il nostro frigocongelatore da 300 litri, i consumi ed i relativi costi annuali per l’energia elettrica divengono A partire dal 2002 l’Associazione europea dei costruttori di elettrodomestici CECED ha promosso un accordo volontario, sottoscritto dalle maggiori case costruttrici, per promuovere il risparmio energetico con i frigoriferi e i congelatori.

Per raggiungere questo risultato si è deciso di non produrre più apparecchi appartenenti alla classe di efficienza energetica C ed inferiori (con alcune eccezioni) a partire dal 2004 e di raggiungere un indice di efficienza media pari a 52 nel 2006 per tutti gli apparecchi prodotti.

In effetti le classi di efficienza energetica indicate dalle lettere, le frecce di lunghezza diversa e il colore corrispondenti sono state definite in base a un preciso calcolo di efficienza energetica. Gli elettrodomestici del freddo sono stati divisi in categorie, in modo da poter calcolare in maniera adeguata i consumi per ogni tipo di apparecchio:

• frigorifero senza scomparti a bassa temperatura

• frigorifero con scomparto cantina

• frigorifero senza stelle

• frigorifero con scomparto a bassa temperatura ad una stella

• frigorifero con scomparto a bassa temperatura a due stelle

• frigorifero con scomparto a bassa temperatura a tre stelle

• frigo-congelatore, con scomparto a quattro stelle

• congelatore verticale

• congelatore orizzontale

• apparecchi con più porte e altri modelli.

Per ogni categoria di apparecchio è stato ricavato un consumo “standard” medio di riferimento, calcolato in base al volume dei vari scomparti e ai consumi medi in Europa, corretto con determinati coefficienti. Questo consumo standard è il livello di riferimento per calcolare l’indice di efficienza energetica “I”.

Paragonando il consumo dell’apparecchio in esame, rilevato dalle prove di laboratorio secondo la normativa europea, con quello standard, si ottiene un numero, maggiore o minore di 100 secondo l’efficienza energetica dell’apparecchio: se l’apparecchio è più efficiente del riferimento, avrà un indice I minore. Viceversa, se l’apparecchio è meno efficiente dello standard, avrà un indice I maggiore.

ETICHETTA ENERGETICA DELLE LAVATRICI

Anche i consumi di energia elettrica per le lavatrici sono aumentati negli ultimi 30 anni grazie alla sempre crescente diffusione di questo elettrodomestico nelle famiglie italiane. Oggi nel nostro paese i consumi energetici delle lavatrici rappresentano circa il 12% dell’energia elettrica impiegata per usi domestici.

l’“etichetta energetica” che si trova sugli elettrodomestici per il lavaggio e l’asciugatura della biancheria per uso casalingo è obbligatoria dal 1999.

l’etichetta è obbligatoria solo per gli apparecchi alimentati dalla rete elettrica. Ne sono esentate anche le lavatrici senza centrifuga e quelle con comparti separati per il lavaggio e la centrifugazione. Per questo apparecchio l’etichetta è più complessa e comprende 7 settori: SETTORE 1: identifica l’apparecchio con il marchio del costruttore e il nome del modello.

SETTORE 2: riporta le classi di efficienza energetica ed evidenzia a quale classe (per esempio B) appartiene l’elettrodomestico in esame. In questo spazio può essere anche riportato il simbolo dell’Ecolabel.

SETTORE 3: indica il consumo di energia espresso in kWh per ciclo di lavaggio. È una misura di laboratorio calcolata sul ciclo normale del cotone a 60°C, secondo una procedura standardizzata e valida per tutta l’Unione Europea, che prevede il confronto con una macchina campione. Il consumo effettivo dipende dalle modalità con cui l’apparecchio viene utilizzato, e può discostarsi sensibilmente da quanto misurato.

SETTORE 4: indica la classe di efficacia del lavaggio con lettere che vanno da A (efficienza massima = più pulito) a G (efficienza minima = meno pulito). Anche qui le prove per valutare l’efficienza di lavaggio sono condotte in laboratorio, per il ciclo normale del cotone a 60°C, secondo una procedura standardizzata in base alla quale vengono confrontati i risultati del lavaggio con quelli offerti da una macchina di riferimento in termini di pulizia e di bianchezza del bucato. Per l’utente anche la classe di lavaggio è importante perché indica quanto un certo apparecchio lava bene.

SETTORE 5: indica la classe di efficacia della centrifugazione con lettere che vanno da A (efficienza massima = meno acqua residua nel bucato) a G (efficienza minima = più acqua residua nel bucato). Come nei casi precedenti, le misure sono effettuate in laboratorio, per il ciclo normale del cotone del a 60°C, secondo la solita procedura standardizzata di confronto con un apparecchio campione.

SETTORE 6: indica la capacità di carico della lavatrice e il consumo d’acqua per ciclo di lavaggio in caso di ciclo normale cotone a 60°C e secondo la solita procedura standardizzata di laboratorio.

SETTORE 7: indica, infine, la rumorosità dell’apparecchio durante le fasi di lavaggio e centrifugazione del ciclo di lavaggio a 60°C. I CONSUMI

Vediamo cosa significa in termini economici scegliere un apparecchio più o meno efficiente. Prendiamo come esempio un bucato di 5 kg di biancheria di cotone a 60° e ipotizziamo di fare 5 lavaggi alla settimana.

Nella seguente tabella sono paragonati i consumi medi e i relativi costi annuali per l’energia elettrica a seconda che la lavatrice appartenga alla classe A, oppure alla B, ecc.

ASCIUGABIANCHERIA E LAVASCIUGA BIANCHERIA

Anche le asciugabiancheria e le lavasciuga biancheria sono soggette all’obbligo dell’etichettatura. Anche se questi apparecchi hanno, almeno in Italia, un mercato minoritario rispetto a quello delle lavatrici, riproduciamo qui, per completezza, le due relative etichette energetiche.

Le uniche differenze rispetto all’etichetta delle lavatrici riguardano: • l’assenza dei settori 4 e 5, relativi all’efficienza di lavaggio e di centrifugazione

• l’aggiunta di un nuovo settore che indica specificatamente il tipo di macchina: a evacuazione o a condensazione.

PER LE LAVASCIUGA

• la soppressione del settore 5 (efficienza di centrifugazione)

• la modifica del settore 3, distinguendo tra consumo di energia per un ciclo completo di operazioni (lavaggio, centrifugazione e asciugatura) e consumo di energia per solo lavaggio e centrifugazione

• la modifica del settore 6, anche qui distinguendo tra capacità dell’apparecchio senza e con la fase di asciugatura.

PER LE ASCIUGABIANCHERIA

ETICHETTA ENERGETICA DELLE LAVASTOVIGLIE

Negli ultimi anni la diffusione delle lavastoviglie presso le famiglie italiane è molto aumentata. Oggi in Italia i consumi energetici delle lavastoviglie rappresentano il 5% dei consumi di energia elettrica per uso domestico.

l’etichetta per le lavastoviglie è obbligatoria dal giugno del 2000, e riguarda le lavastoviglie alimentate dalla rete elettrica. Come nel caso delle lavatrici comprende 7 settori:

SETTORE 1: identifica la lavastoviglie con il marchio del costruttore e il nome del modello

SETTORE 2: riporta le classi di efficienza energetica e mette in evidenza a quale classe appartiene la lavastoviglie in esame. In questo spazio può essere anche riportato il simbolo dell’Ecolabel.

SETTORE 3: dove è indicato il consumo di energia espresso in kWh per ciclo di lavaggio. E’ una misura di laboratorio calcolata sul ciclo normale di lavaggio con acqua fredda, secondo una procedura standardizzata e valida per tutta l’Unione Europea. Il consumo effettivo, in realtà, dipende dal modo con cui l’apparecchio viene utilizzato. Il consumo effettivo dipende dal modo in cui l’apparecchio viene usato SETTORE 4: dove è indicata la classe di efficacia del lavaggio con lettere che vanno da A (efficacia massima = più pulito) a G (efficacia minima = meno pulito). Anche qui le prove per valutare l’efficienza di lavaggio sono condotte in laboratorio su un ciclo normale, secondo una procedura standardizzata.

SETTORE 5: dove è indicata la classe di efficacia di asciugatura con lettere che vanno da A (efficacia massima = più pulito) a G (efficacia minima = meno pulito). Come nei casi precedenti, le misure sono effettuate in laboratorio, per un ciclo normale, secondo la consueta procedura standardizzata di confronto con un apparecchio campione.

SETTORE 6: dove sono indicati il numero di coperti che la lavastoviglie può lavare e il consumo d’acqua per ciclo di lavaggio in caso di ciclo normale, secondo la procedura standardizzata di laboratorio.

SETTORE 7: indica la rumorosità dell’apparecchio durante tutte le fasi di lavaggio del ciclo normale.

I CONSUMI

Vediamo ora cosa significa, in termini economici, scegliere una lavastoviglie più o meno efficiente, prendendo come esempio un numero di coperti pari a 12 ed ipotizzando di fare 220 lavaggi all’anno, pari a circa 4 lavaggi alla settimana.

Scegliendo quindi un modello in classe A potremo spendere per l’energia elettrica circa la metà di quanto spenderemmo con un modello di classe G.

Come sappiamo, le cifre di questa tabella sono indicative in quanto si riferiscono al consumo misurato in laboratorio. I valori reali possono essere più elevati in quanto dipendono dal modo con cui l’apparecchio viene usato, in particolare dalla frequenza settimanale dei lavaggi e dal programma utilizzato (cioè dalla temperatura di lavaggio) e dalla durata del ciclo di lavaggio. Facciamo alcuni esempi:

• se la nostra lavastoviglie per 12 coperti viene utilizzata per 7 lavaggi alla settimana (cioè circa 360 lavaggi all’anno) ed appartiene alla classe di efficienza energetica A la spesa per l’energia elettrica sarà inferiore a 69,00 euro, mentre se appartiene alla classe di efficienza energetica G la spesa per l’energia elettrica sarà superiore a 133,00 euro;

• se invece la nostra lavastoviglie da 12 coperti viene utilizzata solo per 3 lavaggi alla settimana (cioè circa 150 lavaggi all’anno) ed appartiene alla classe di efficienza energetica A la spesa per l’energia elettrica sarà inferiore a 28,00 euro, mentre se appartiene alla classe di efficienza G la spesa per l’energia elettrica sarà superiore a 55,00 euro.

ETICHETTA ENERGETICA DELLE LAMPADE PER USO DOMESTICO

Anche il settore dell’illuminazione domestica ha il suo peso sui consumi energetici: in Italia la quota annua di energia elettrica destinata a tale uso è, complessivamente, superiore ai 7 miliardi di kilowattora, corrispondente a circa il 13% del consumo totale di energia elettrica nel settore domestico.

Dal luglio 2002 anche per le lampade ad uso domestico è stata resa obbligatoria l’etichettatura energetica. In questo caso particolare l’etichetta energetica viene stampata sugli imballaggi.

VERSIONE A COLORI VERSIONE BIANCO E NERO

l’etichetta si applica alle lampade elettriche per uso domestico alimentate direttamente dalla rete, incluse le comuni lampadine ad incandescenza e le fluorescenti compatte integrali, ed alle lampade fluorescenti per uso domestico, incluse le fluorescenti lineari e le fluorescenti compatte non integrali. Quando un apparecchio può essere smontato dagli utilizzatori finali si intende per lampada la parte o le parti che emettono la luce.

Ne sono invece escluse le lampadine a bassissima tensione, o dotate di riflettore, le alogene doppio attacco, per usi speciali, e le fluorescenti con flusso luminoso elevatissimo, oltre 6.500 lumen (il lumen è l’unità di misura del flusso luminoso che corrisponde al flusso emesso da una sorgente puntiforme che abbia l’intensità di una candela).

Nel caso l’imballaggio sia di dimensioni molto ridotte è possibile ridurre l’etichetta fino al 40% (in lunghezza) delle dimensioni normali; se l’imballaggio è troppo piccolo per incollarvi anche l’etichetta ridotta quest’ultima può essere attaccata alla lampada o allo stesso imballaggio. Tuttavia se un’etichetta di formato normale viene esposta insieme alla lampada (ad esempio sullo scaffale sul quale è esposta la lampada) la sua affissione sull’imballaggio è facoltativa. La classificazione prevede le già note sette classi di efficienza, dalla A (altamente efficiente) alla G (poco efficiente). Le lampadine a risparmio di energia entrano nelle classi A e B, le lampade alogene prevalentemente nella classe D e quelle ad incandescenza nelle classi E e F. Alcune lampadine speciali e decorative entrano nella classe G.

l’etichetta relativa alle lampade per uso domestico è piuttosto semplice e può essere scelta liberamente fra 2 versioni, una colorata e una in bianco e nero. I settori dell’etichetta sono due:

SETTORE 1: riporta le classi di efficienza energetica, da A a G. La lettera distintiva della classe deve trovarsi all’altezza della freccia corrispondente

SETTORE 2: indica il flusso luminoso della lampada (cioè della luce emessa) espressa in lumen e misurato secondo le procedure di prova delle norme armonizzate. Sempre in questo secondo settore è indicata la potenza della lampada che viene espressa in Watt: per es. le lampade ad incandescenza sono disponibili in particolare nelle potenze 25, 40, 75, 100, 150 Watt ed anche per le lampade a fluorescenza la gamma delle potenze disponibili è molto vasta da 4,5 Watt fino a 25 Watt. (Ricordiamo che una lampada a fluorescenza da 20 Watt fornisce la stessa quantità di luce di una lampada da 100 Watt.) È qui riportata anche la durata nominale media1 delle lampadine espressa in ore: per es. nel caso delle lampade ad incandescenza sarà stampato 1000 o 2000 ore. La durata della lampada può anche essere omessa se sull’imballaggio non sono riportate altre informazioni relative alla durata della lampada.

1 La vita media nominale è misurata secondo prove standardizzate ed individua il numero di ore di funzionamento dopo il quale, in un determinato lotto di lampade, considerando 8 accensioni/spegnimenti durante le 24 ore, il 70% delle lampade presenta un decadimento del flusso luminoso o cessa di funzionare. I CONSUMI

Vediamo quanto si risparmia in termini economici (ed energetici) scegliendo una lampada più efficiente, come le lampade fluorescenti compatte elettroniche (in classe A o B) o meno efficiente, come le comuni lampade ad incandescenza (in classe E, F o G).

Ricordiamo anche che una lampada a fluorescenza da 20 Watt fornisce la stessa quantità di luce di una lampada da 100 Watt.

Nella tabella che segue vengono confrontate a titolo di esempio due diverse soluzioni per illuminare un ambiente (un soggiorno di 20 m2).

Viene preso in considerazione un periodo di cinque anni, con un utilizzo delle lampade di 10.000 ore (2.000 ore annue per 5 anni).

ETICHETTA ENERGETICA DEI FORNI ELETTRICI

A partire dal 1° luglio 2003 anche i forni elettrici devono esporre obbligatoriamente l’etichetta conforme alle norme dell’Unione Europea in cui viene indicata, tra le varie cose, la loro classe energetica.

l’etichetta energetica si applica soltanto ai forni elettrici per uso domestico alimentati dalla rete elettrica, compresi i forni integrati in apparecchi più grandi. Sono esclusi dalla normativa i forni che possono essere alimentati anche da altre forme di energia (come i forni a gas) e i forni portatili (forni che non superano i 18 kg di peso, purché non siano inseriti in installazioni componibili).

l’etichetta è composta dai seguenti 6 settori: SETTORE 1: identifica il nome e il logo del costruttore, e il modello del forno elettrico.

SETTORE 2: riporta le classi di efficienza energetica del forno, da A a G. Come sempre la lettera A indica consumi minori. Le lettere dalla B in poi indicano consumi via via maggiori. È il settore più importante per l’utente: infatti a parità di prestazioni, cioè di raggiungimento quanto più veloce e costante della temperatura richiesta per la cottura dei cibi, alcuni forni consumano più di altri; quelli che consumano meno sono più efficienti dal punto di vista energetico.

SETTORE 3: è indicato il consumo di energia espresso in kWh relativo alle funzioni di riscaldamento, convezione naturale e/o forzata. In altre parole parliamo di quelli che comunemente vengono definiti forni elettrici “statici” o “ventilati”. Generalmente i forni ventilati sono più efficienti, in quanto la circolazione di aria permette la distribuzione uniforme del calore. Il consumo di energia indicata nell’etichetta è una misura di laboratorio riferita ad un carico normalizzato, effettuata secondo una procedura standardizzata.

SETTORE 4: è indicato il volume utile del compartimento del forno, espresso in litri. Anche qui il volume è determinato con la stessa procedura standardizzata.

SETTORE 5: sono riportate le dimensioni del forno, determinate nel modo seguente: piccolo (con una capacità fra 12 e 35 litri), medio (con una capacità compresa tra 35 e 65), grande (oltre 65 litri).

SETTORE 6: indica infine, a titolo facoltativo, la rumorosità dell’apparecchio durante l’utilizzo. In futuro, non appena sarà disponibile la norma di riferimento per la misurazione delle perdite in posizione di attesa (stand-by), la scheda tecnica dovrà riportare il consumo di energia del forno quando non è attiva alcuna funzione di riscaldamento e il forno è impostato sul minor consumo di energia.

I CONSUMI

Vediamo ora cosa significa in termini economici scegliere un forno elettrico più o meno efficiente, prendendo come esempio 100 cicli di cottura all’anno. Scegliendo dunque un modello in classe A potremo spendere per l’energia elettrica molto meno di quanto spenderemmo con un modello di classe E, F o G. Come sempre tuttavia le cifre sono indicative in quanto si riferiscono ai consumi misurati in laboratorio in particolari condizioni.

ETICHETTA ENERGETICA DEI CONDIZIONATORI

Dal 1° luglio 2003 l’etichetta energetica è obbligatoria anche per i condizionatori d’aria con una potenza refrigerante minore o uguale a 12 kW, alimentati dalla rete elettrica, vale a dire per i condizionatori di piccola potenza, idonei per il condizionamento dei singoli locali o degli appartamenti.

Essa permette di conoscere e valutare le principali caratteristiche tecniche, le prestazioni e il consumo di energia di ciascun modello. Secondo la prassi consueta l’etichetta indica la classe di efficienza energetica che va dalla lettera A (bassi consumi) alla lettera G (alti consumi).

In questo modo gli utenti finali potranno orientarsi verso i modelli che consentono un minor consumo energetico e si prevede che l’etichettatura energetica possa diventare nei prossimi anni uno dei più importanti fattori di scelta in un settore come quello della climatizzazione domestica2 che è in forte espansione. Infatti l’esigenza di climatizzare gli ambienti in estate è attualmente molto più sentita che in passato, non solo negli ambienti di lavoro e negli edifici commerciali, ma anche nelle abitazioni private.

Per quanto riguarda la classificazione energetica dei condizionatori d’aria è importante sapere che esistono 2 diverse etichette: la prima (etichetta di tipo 1) per gli apparecchi che hanno la sola funzione di raffreddamento e la seconda (etichetta di tipo 2) per gli apparecchi che permettono il raffreddamento e il riscaldamento (le cosiddette “pompe di calore, in grado sia di refrigerare che di riscaldare, naturalmente in tempi diversi).

2 Il condizionatore serve per refrigerare i locali e quindi portarli ad una temperatura inferiore a quella esterna. Un condizionatore d’aria funziona dunque come un frigorifero: produce freddo. Nondimeno “climatizzare” non significa solo “raffreddare” un ambiente, ma anche deumidificarlo.

In ambedue le etichette sono comunque presenti i seguenti settori:

SETTORE 1: identifica il nome e il logo del costruttore e il modello del condizionatore d’aria: nel caso di modelli o sistemi multisplit, cioè costituiti da una unità esterna di trattamento dell’aria e da una o più unità interne e che dunque si differenziano dai condizionatori monoblocco, dove tutti i componenti sono concentrati in un solo blocco, dovrà essere riportata il modello sia dell’unità esterna che di quella interna.

SETTORE 2: riporta le sette classi di efficienza energetica del modello o della combinazione (sistema), da A a G. La lettera A indica consumi minori. Le lettere dalla B in poi indicano consumi via via maggiori. E’ il settore più importante per l’utente: infatti il condizionatore serve per refrigerare i locali e a parità di prestazioni, cioè di quantità di raffreddamento, alcuni condizionatori consumano più energia elettrica di altri; quelli che consumano meno sono più efficienti dal punto di vista energetico. l’efficienza del condizionatore dipende infatti dal rapporto tra la quantità di energia elettrica necessaria per farlo funzionare e la quantità di freddo prodotto (entrambe sono misurate in kW). In questa sezione l’etichetta può anche riportare una riproduzione del marchio ecologico europeo “Ecolabel”.

SETTORE 3: è indicato il consumo indicativo annuo di energia in kWh, riferito ad un utilizzo medio di 500 ore/anno, secondo la modalità raffreddamento a pieno regime e determinato secondo una procedura standardizzata. Il consumo effettivo, in realtà, dipende dal modo con cui l’apparecchio viene utilizzato e dal clima. La temperatura esterna incide su questo aspetto: nelle giornate particolarmente calde occorrerà più energia per mantenere la stessa temperatura confortevole interna. Ancora in questo terzo settore viene indicata la potenza refrigerante dell’apparecchio in kW, (cioè la capacità produrre freddo nell’unità di tempo), anch’essa determinata secondo le procedure di prova delle norme armonizzate. Infine è qui riportato il relativo indice di efficienza energetica EER (Energy Effi- ciency Ratio), cioè il rapporto tra il freddo emesso e l’energia consumata dell’apparecchio in modalità raffreddamento a pieno regime, determinato secondo le procedure di prova delle norme armonizzate.

SETTORE 4: viene indicato il tipo di apparecchio: solo raffreddamento o raffreddamento/riscaldamento e il tipo di raffreddamento, ad acqua o ad aria.

SETTORE 5: è prevista solo per gli apparecchi con funzione riscaldamento (etichetta di tipo 2) e indica la potenza di riscaldamento - espressa sempre in kW - a pieno regime, determinata come di consueto secondo le procedure di prova delle norme armonizzate. In questo settore è anche riportata, unicamente per gli apparecchi con funzione riscaldamento, la classe di efficienza energetica in modalità riscaldamento espressa sempre con le lettere dalla A alla G, in cui la lettera A indica bassi consumi e le lettere da B a G consumi energetici progressivamente più alti. In questo caso non ci sono frecce, ma la lettera che indica la potenza (efficienza) di riscaldamento dell’apparecchio è stampata con maggior rilievo. Anche in questo caso la classe di efficienza energetica è determinata secondo le procedure di prova delle norme armonizzate. Inoltre nel caso in cui la funzione riscaldamento sia assicurata da una resistenza elettrica, il valore del COP (Coefficient of Performance o coefficiente di resa) deve essere pari a 1.

SETTORE 6: infine indica la rumorosità dell’apparecchio durante l’utilizzo. Anche questo settore è comunque importante dal punto di vista dell’acquirente: infatti il rumore prodotto dalla macchina esterna deve essere il meno “forte” possibile, così da non disturbare le persone delle abitazioni vicine.

I CONSUMI

Vediamo ora cosa significa in termini economici scegliere un condizionatore d’aria più o meno efficiente. Sappiamo infatti che l’energia consumata dai condizionatori d’aria è in crescita nell’Unione Europea. Ridurre i consumi in questo settore è quindi importante.

unicamente in modalità raffreddamento è la seguente Sul mercato esistono numerose tipologie di apparecchi con diverse modalità di funzionamento (solo raffreddamento o anche riscaldamento) e sistemi di raffreddamento (ad aria o ad acqua). La classificazione per i condizionatori che funzionano Per quanto riguarda i condizionatori che funzionano in modalità riscaldamento le diverse tipologie esistenti sono:

Come esempio, si riportano i valori relativi ad un modello medio di condizionatore split (la tipologia più diffusa) con potere di raffreddamento di 5,7 kW, raffreddato ad aria, per la sola modalità raffreddamento, utilizzato per 500 ore all’anno.

Scegliendo dunque un modello in classe A potremo spendere per l’energia elettrica molto meno, quasi la metà, di quanto spenderemmo con un modello di classe E, F o G e nello stesso tempo.

IL MARCHIO ENERGY STAR: il programma per l’uso efficiente dell’energia IN BIANCO E NERO nelle apparecchiature per ufficio l’“ENERGY STAR” ARRIVA IN EUROPA

Come abbiamo già accennato, nel 2001 è stato approvato dal Parlamento Europeo il programma comunitario “Energy Star” che prevede l’introduzione di un’etichettatura volontaria che contraddistingue le apparecchiature per ufficio con una elevata efficienza energetica. Infatti queste apparecchiature rappresentano una quota significativa del consumo totale di energia elettrica nel settore domestico e soprattutto terziario.

Il programma “Energy Star” garantisce che gli apparecchi etichettati con lo specifico logo (una stella a cinque punte) hanno un ridotto consumo energetico.

Attualmente possono essere etichettati computer, monitor, stampanti, fax, affrancatrici, fotocopiatrici, scanner e dispositivi multifunzione (ad esempio stampanti e fotocopiatrici insieme).

Il programma “Energy Star” è stato adottato negli Stati Uniti sin dal 1993 e la diffusione dell’etichettatura in Europa è stata avviata in seguito all’accordo tra la Commissione Europea e l’Agenzia Statunitense per la Tutela dell’Ambiente (EPA).

Il logo garantisce che l’apparecchiatura (monitor, stampante, computer…) è conforme alle specifiche energetiche del programma internazionale Energy Star

CARATTERISTICHE PRINCIPALI DELl’ENERGY STAR

Per poter usare il logo "Energy Star" gli operatori del settore (fabbricanti, assemblatori, importatori e dettaglianti) devono registrarsi presso gli Organismi nazionali di gestione dell’etichetta o presso la Commissione Europea.

Il simbolo Energy Star può essere utilizzato dai partecipanti al programma sui singoli prodotti da essi fabbricati o sui prodotti immessi sul mercato comunitario. Le apparecchiature che rispondono alle specifiche tecniche ed energetiche definite per ciascuna tipologia di prodotto possono esporre il marchio "Energy Star" (che probabilmente alcuni avranno già visto sugli apparecchi di importazione) distinguendosi così come apparecchi a ridotto consumo di energia, più economici e amici dell’ambiente.

Le specifiche dei prodotti sono periodicamente riviste in base delle indicazioni dell'European Community Energy Star Board (ECESB), un Comitato composto dai rappresentanti degli Stati Membri dell’Unione Europea e dalla Commissione Il logo ufficiale sarà assegnato soltanto nel caso di strumenti che sotto il profilo del consumo di energia si distinguano nettamente dalla media di mercato e poiché le apparecchiature interessate sono soggette a cambiamenti tecnici veloci, il programma prevede cambiamenti sia per le specifiche tecniche, sia per i gruppi di prodotti interessati.

Il programma “Energy Star” promuove la partecipazione dell’industria, permette la riduzione delle emissioni di CO2 e il risparmio di energia per gli utenti ed offre agli utenti uno strumento per contribuire ad un uso più sostenibile delle risorse energetiche. Inoltre, come nel caso dell’etichettatura energetica, l’accordo negoziato tra il governo degli Stati Uniti d'America e la Comunità Europea sta già incrementando la ricerca applicata in questo settore.

Il programma dovrà infine essere coordinato con altre disposizioni comunitarie di etichettatura o certificazione della qualità, come pure con il marchio comunitario Ecolabel.

I VANTAGGI PER GLI UTILIZZATORI

Energy Star distingue le apparecchiature a basso consumo dalle altre: i prodotti in commercio, infatti, presentano notevoli differenze (specie nel modo stand-by) e l’utente non ha la possibilità immediata di cogliere tali differenze.

Acquistare un prodotto Energy Star significherà risparmiare sui costi dell’energia elettrica e soprattutto contribuire alla tutela dell’ambiente.

Obiettivo del programma di etichettatura è infatti quello di produrre nel 2015, secondo gli studi condotti dai tecnici dell’ECESB, un risparmio energetico di circa 10 TWh e la riduzione di circa 5 milioni di tonnellate di emissione di CO2 l’anno. Risparmiare energia e proteggere l’ambiente.


GUIDA AL RISPARMIO ENERGETICO OCCHIO ALL'ETICHETTA!

Al momento dell’acquisto degli elettrodomestici e degli apparecchi elettrici ed elettronici non si dovrebbe prestare attenzione solo al rapporto prezzo/prestazione, ma anche all’efficienza energetica.
Usando elettrodomestici ad alta efficienza energetica, una famiglia “tipo”, composta da quattro persone, può arrivare a risparmiare fino a 70 euro in un anno. Cambiare le lampadine tradizionali con quelle a risparmio energetico fa risparmiare sui costi perché durano molto più a lungo, fanno la stessa luce delle lampadine tradizionali e consumano fino a 5 volte di meno.
Ecco perché è importante guardare l’etichetta energetica europea che oggi tutti gli elettrodomestici e apparecchi elettrici o elettronici devono recare.

Esistono sette classi che vanno da “A” (molto efficiente) fino a “G” (non efficiente).
 

Tabella 02: .
Classe Descrizione
A Il più basso consumo energetico.
B
C
D
E
F
G Il più alto consumo energetico.

l’etichetta consente una scelta in riguardo al consumo energetico e quindi anche una stima dei costi d’esercizio. Dal punto di vista energetico ed anche economico conviene scegliere apparecchi in classe “A”.
Gli elettrodomestici

Le nostre case sono ormai piene di tanti elettrodomestici come frigorifero, lavastoviglie, televisori, videoregistratori, radio, forni elettrici e a microonde, robot, phon, scope elettriche, ferri da stiro, di cui non possiamo più fare a meno. Possiamo però utilizzarli in modo più efficiente.

Ridurremo così i consumi di energia e quindi l’impatto con l’ambiente, e nello stesso tempo risparmieremo anche denaro.

Il primo consiglio valido per tutti gli elettrodomestici, è di preferire i modelli di più recente produzione, controllando, dove è già presente, l’“etichetta energetica”: l’adesivo colorato che si trova su frigoriferi, congelatori, lavatrici, lavastoviglie, lampade, forni elettrici e condizionatori, e che permette di conoscere caratteristiche e consumi di ciascun modello e di valutarne i costi di esercizio.

È comunque importante leggere con attenzione il libretto delle istruzioni che spesso contiene importanti indicazioni.

La Direttiva Europea 92/7/CEE ha stabilito la necessità di applicare un’etichetta energetica ai principali elettrodomestici; nel 1994 è stata emanata la prima direttiva specifica.

Così anche in Italia, come in altri paesi europei, a partire dal 1998 sono state introdotte le etichettature energetiche per i frigoriferi e i congelatori, per le lavatrici, per le lavastoviglie, per le lampade ad uso domestico, per i forni elettrici e per i condizionatori.

l’etichetta energetica permette di conoscere caratteristiche e consumi e di valutare fin dal momento dell’acquisto i costi di esercizio di ciascun modello.

l’informazione più importante riportata dall’etichetta è relativa all’efficienza energetica.

Una serie di frecce di lunghezza crescente, associate alle lettere dalla A alla G, permettono di confrontare i consumi dei diversi apparecchi e di scegliere l’elettrodomestico che consuma meno. La lettera A indica consumi minori. Le lettere dalla B in poi indicano consumi via via maggiori.

Il frigorifero e il congelatore

Prima di acquistarne uno nuovo confrontiamo i consumi sull’etichetta energetica. Per esempio scegliendo un modello in classe “B” potremo in un anno spendere per l’energia elettrica circa la meta di quanto spenderemmo con un modello di classe “G” (vedi tabella). Alcuni piccoli consigli:

. Lasciamo almeno 10 centimetri dietro, sopra e sotto l’apparecchio.

. Regoliamo il termostato su una posizione intermedia.

. Non introduciamo mai cibi caldi nel frigo o nel congelatore.

. Teniamo aperto lo sportello il piu brevemente possibile.

. Controlliamo periodicamente la guarnizione dello sportello.

Lo scaldabagno

. Al momento dell’acquisto scegliamo un apparecchio a gas piuttosto che elettrico.

. Regoliamo il termostato a 45°C in estate e a 60°C in inverno, . Cerchiamo di programmare l’accensione con un timer (quel dispositivo che regola automaticamente accensione e spegnimento).

. Effettuiamo periodicamente la manutenzione (ogni 2-3 anni) per eliminare calcio e incrostazioni.

. Se possiamo installiamo un pannello solare. Oltre ad un minor inquinamento dell’ambiente risparmieremo energia. Una volta ammortizzato il costo dell’impianto si disporra di acqua calda gratuita ed ecologica.

IL CONSUMO DI ACQUA CALDA DI UNA FAMIGLIA DI 4 PERSONE

Un nucleo familiare composto da 4 persone consuma mediamente tra i 50 e i 60 litri di acqua calda al giorno per persona, per un totale di circa 80-100 mila litri l’anno Il risparmio annuo oscilla tra 230,00 e 360,00 Euro, ed in 5 anni si ammortizza una spesa di 1.300,00/1.550,00 Euro. Le agevolazioni statali consentono di detrarre dalle tasse il 41% delle spese di acquisto e di installazione.

Ripagato il costo dell’investimento si disporra di acqua calda gratuita ed ecologica.

La lavatrice

Prima di acquistarne una nuova confrontiamo i consumi sull’etichetta energetica, divenuta obbligatoria anche per le lavatrici dal maggio 1999.

Ricordiamo che ogni ciclo della lavabiancheria costa in media 0,23 Euro, a cui vanno aggiunti il costo di acqua e detersivo.

Ma con piccoli accorgimenti anche con questo elettrodomestico si puo risparmiare fino al 30% sui consumi.

. Basta utilizzare la lavatrice solo a pieno carico o con il tasto . Scegliere i programmi a basse temperature (40-60 gradi).

. Non superare le dosi di detersivo consigliate, con grande vantaggio anche per la tutela dell’ambiente.

. Usare prodotti decalcificanti.

economizzatore.

La lavastoviglie

Far funzionare la lavastoviglie comporta una spesa di energia e di detersivo fra le 103,00 e i 207,00 Euro all’anno.

Per risparmiare possiamo:

. Scegliere il programma piu adatto alle nostre stoviglie.

. Preferire cicli “rapidi”, “a freddo”, “economici”.

. Evitare l’asciugatura con l’aria calda.

. Non esagerare con il detersivo.

Il forno elettrico

Rispetto ai forni a gas, i forni elettrici sono certo piu comodi (mantengono costante la temperatura al loro interno), ma anche meno economici: tenendoli accesi 2 ore a settimana con una temperatura di 200 gradi, costano 26,00 Euro all’anno, contro le 13,00 Euro di uno a gas.

In ogni caso anche con un forno elettrico si puo risparmiare:

. Effettuando il preriscaldamento solo quando e strettamente indispensabile.

. Evitando di aprire troppo spesso lo sportello e spegnendo il forno un po’ prima della fine della cottura.

. Il massimo del risparmio si ottiene con i forni a microonde, che dimezzano i tempi di cottura rispetto a quelli tradizionali.

l’ACQUISTO

La tecnologia si evolve a ritmo sempre più veloce: anni di studio e di lavoro hanno portato alla produzione di lavatrici che, rispetto a quelle vecchie, sono in grado di lavare il bucato utilizzando una minore quantità d’acqua, di detersivo e di energia elettrica.

Infatti, fino a pochi anni fa l’unico tipo di lavaggio era quello dell’"ammollo", in cui la biancheria veniva immersa in acqua con il detersivo e lavata soltanto con un movimento rotatorio del cestello.

Ora nei nuovi modelli è stato introdotto il lavaggio "a pioggia" in cui i capi sono posti ad una duplice azione in quanto, oltre all’ammollo, vengono continuamente spruzzati dall’alto con acqua e detersivo.

Alcune macchine prevedono anche il riutilizzo dell’acqua di lavaggio che, attraverso un’apposita conduttura, viene riciclata e immessa nuovamente in vasca, passando attraverso la biancheria ed aumentando così l’eliminazione dello sporco.

3 PERCHÉ QUESTO OPUSCOLO

Come si sceglie una lavatrice?

Qual è il modo migliore per utilizzarla?

Quanto consuma?

Di quale manutenzione ha bisogno?

Sono domande semplici, che ci troviamo ad affrontare spesso, sia al momento dell’acquisto di una lavatrice, che nel suo uso quotidiano e, soprattutto, quando dobbiamo pagare qualche riparazione troppo costosa.

Le risposte possono essere altrettanto semplici.

LA LAVATRICE: ISTRUZIONI PER l’USO

La lavatrice può funzionare meglio: non c’è bisogno di fare sacrifici o rinunce, basta adottare qualche piccolo accorgimento, in modo da consumare meno energia, risparmiando denaro e salvaguardando anche l’ambiente.

È sufficiente leggere con attenzione questo opuscolo affinché sia uno strumento di facile consultazione, con consigli pratici e semplici suggerimenti.

l’acquisto;
l’installazione;
l’utilizzo
la manutenzione.

della lavatrice vengono trattati con l’intento di evidenziare quello che bisogna sapere nella vita di tutti i giorni, a contatto diretto con questa "macchina della casa".

Pensare al futuro significa anche ridurre i consumi irrazionali sin da oggi.

Possiamo farlo in molti modi, ogni giorno, con un pizzico di intelligenza, senza per questo rinunciare alla qualità della vita.

I diversi argomenti sono trattati anche attraverso tabelle che danno la possibilità di valutare i consumi e i costi di esercizio della lavatrice.

Completano l’opuscolo alcune informazioni sui marchi nazionali ed europei che assicurano la sicurezza, l’efficienza energetica e il rispetto per l’ambiente.

2 SISTEMA DI LAVAGGIO

A PIOGGIA

CASSETTO

DETERSIVO

ACQUA +

DETERSIVO

SISTEMA A

PIOGGIA

CIRCUITO DI

RIUTILIZZO

ACQUA

SCARICO

DELl’ACQUA

FILTRO

 

5

Diminuendo la quantità d’acqua è necessaria meno energia per portarla alla temperatura prescelta per il lavaggio ed è anche sufficiente una minore quantità di detersivo.

Per queste ragioni, al momento dell’acquisto, è sempre meglio preferire modelli di recente produzione, che ormai assicurano un consumo d’acqua e detersivo estremamente contenuti e di cui sono noti sia il consumo di energia che la capacità di lavare.

MENO CONSUMI… UGUALI RISULTATI

Quali sono gli ingredienti per un buon bucato?

Acqua, detersivo e… naturalmente… elettricità.

Vediamo ora come si può risparmiare sugli "ingredienti" senza per questo rinunciare ad un ottimo risultato.

Sappiamo già che, acquistando elettrodomestici di nuova concezione, è possibile lavare con una minore quantità d’acqua e di detersivo.

A proposito di detersivo: costa di più dell’energia elettrica usata nel ciclo di lavaggio. Infatti, per un bucato a 60°C si usano tra 1.2 e 1.5 kWh di elettricità per scaldare l’acqua e si consumano 120-150 grammi di detersivo in polvere; questo significa che spendiamo circa 0.26 Euro per l’energia elettrica e circa 0.31 Euro per il detersivo. Riducendo i consumi di detersivo, perché con le nuove lavatrici ne basta una minore quantità, possiamo ottenere un doppio vantaggio: diminuire le spese e contribuire al rispetto dell’ambiente. Lo scarico di detersivi nei fiumi e nei mari rappresenta infatti una delle maggiori cause dell’inquinamento delle acque.

È importante inoltre sapere che un bucato "perfetto" non dipende tanto dalla quantità di detersivo, quanto dalla "durezza" dell’acqua a cui questo viene miscelato. La presenza di calcio e magnesio nell’acqua utilizzata influenza in maniera determinante i risultati del lavaggio: per diminuire la quantità di calcio e magnesio i detersivi contengono nella loro formulazione particolari ingredienti che sono in grado di bloccare l’azione negativa dei componenti della durezza dell’acqua. Più alta è la durezza dell’acqua maggiore è la quantità di questi ingredienti, e quindi di detersivo, che deve essere dosata per ottenere risultati di lavaggio accettabili dal punto di vista della pulizia e dell’igiene. Quando si usa un’acqua "dolce" (minore di 15 gradi francesi) è sufficiente una dose di detersivo molto inferiore rispetto a quando si usa un’acqua "dura" (maggiore di 25 gradi francesi).

Le istruzioni in etichetta riportate sui contenitori dei detersivi forniscono agli utenti le dosi corrette da utilizzare anche in funzione della durezza dell’acqua. Per poter seguire tali istruzioni è quindi necessario conoscere il grado di durezza dell’acqua di cui si dispone.

4

meno acqua meno detersivo più ambiente pulito meno energia

LAVATRICE CONSUMI E COSTI PER CICLO COSTO TOTALE ANNO

ENERGIA DETERSIVO DETERSIVO

kWh Euro g Euro + ENERGIA

MODELLI 1.6 0.30 130 0.26 145.00

A BASSO CONSUMO 2.2 0.40 160 0.32 179.00

MODELLI 2.3 0.41 200 0.40 215.00

TRADIZIONALI 2.8 0.50 240 0.48 260.00

• Alcuni modelli hanno un basso volume d’acqua di lavaggio: 9/12 litri contro i 18/20 litri utilizzati dai modelli tradizionali: i depliants daranno maggiori informazioni.

• I consumi sono calcolati per un ciclo di lavaggio a 90°C.
• Il consumo di detersivo corrisponde ad un’acqua dura (25°F).
• Il costo totale annuo si riferisce ad un utilizzo medio di 5 cicli alla settimana.

MODELLI A BASSO CONSUMO MODELLI TRADIZIONALI

ACQUA DOLCE ACQUA DURA ACQUA DOLCE ACQUA DURA

ENERGIA 0.36 0.36 0.46 0.46

DETERSIVO 0.17 0.37 0.31 0.48

TOTALE 0.53 0.73 0.77 0.94

• Raffronto costi detersivo ed energia tra modelli a basso consumo e modelli tradizionali che utilizzano acqua dolce o dura per un ciclo di lavaggio a 90°C.

COSTI MEDI PER CICLO IN EURO

LA DUREZZA DELl’ACQUA

ACQUA DOLCE < 15 gradi francesi

ACQUA DURA > 25 gradi francesi

 

l’UTILIZZO

Ecco i consigli per far funzionare al meglio la lavatrice.

La durezza dell’acqua può essere misurata per mezzo di "strisce-test" (si trovano in vendita nei negozi di ferramenta e in quelli di acquari) che, immerse, permettono una facile lettura.

Per correggere un’acqua troppo dura è bene installare, alle tubature di adduzione, un "addolcitore" che trattenga il calcare.

In alternativa, buoni risultati si possono ottenere utilizzando, insieme al detersivo, anche un prodotto anticalcare.

La lavatrice, da sola, è responsabile di una quota cospicua dei consumi elettrici delle nostre abitazioni; questo consumo è dovuto soprattutto al riscaldamento dell’acqua per il lavaggio, mentre solo una piccola percentuale serve ad azionare il motore.

Alcune lavatrici possono essere alimentate direttamente con l’acqua calda: questa soluzione è particolarmente conveniente se è possibile collegare la lavatrice direttamente ad una fonte di acqua calda non troppo lontana (per esempio uno scaldacqua a gas); in questo modo si risparmia energia elettrica e i tempi di lavaggio diminuiscono perché non bisogna aspettare che l’acqua si scaldi nella lavatrice.

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Scegliere correttamente il programma.

Il programma a 90°C è ormai raramente necessario perché i detersivi di oggi assicurano un bucato "perfetto" a temperature più basse.

Dovrebbe essere utilizzato esclusivamente per un bucato veramente molto sporco e con tessuti resistenti. Oltre al fatto che consuma molta elettricità per scaldare l’acqua e molto detersivo (circa il 20% in più perché, generalmente, questo programma prevede anche una fase di prelavaggio) la temperatura elevata dell’acqua deteriora più rapidamente la biancheria.

Preferire i programmi di lavaggio a temperature non elevate (40°- 60°C). Come già detto oggi esistono detersivi molto attivi anche a basse temperature, in grado di garantire ottimi risultati; inoltre i tessuti durano di più e i colori non sbiadiscono.

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TEMPERATURA 90°C 60°C 40°C

COSTO DETERSIVO (EURO) 0.31 0.25 0.15

COSTO ENERGIA (EURO) 0.36 0.23 0.16

COSTO TOTALE (EURO) 0.67 0.48 0.31

• Con acqua dura (25°C).

 

Utilizzare la lavatrice solo a pieno carico oppure servirsi del tasto "economizzatore o mezzo carico" quando c’è poca biancheria da lavare.

In questo caso però bisogna ricordarsi che "mezzo carico" non significa "mezzo consumo".

l’energia e l’acqua consumate per lavare poca biancheria si riducono ma non così tanto come si è portati a credere.

Controllare la quantità di detersivo in base alla durezza dell’acqua, senza mai esagerare: ne serve sempre meno di quanto pensiamo;

verifichiamolo con la tabella presente sulle confezioni di detersivo e in base allo sporco effettivo della biancheria.

Non superare mai le dosi di detersivo consigliate dalle case produttrici, perché il detersivo incide molto sui costi del bucato e concorre all’inquinamento dell’ambiente.

Facciamo qualche prova di lavaggio con dosi ridotte: rimarremo soddisfatti e stupiti dei risultati!

LA MANUTENZIONE

La lavatrice è la regina della casa e, per farla funzionare bene, bisogna trattarla come tale!

Pulire frequentemente il filtro: le impurità e il calcare accumulato ostacolano lo scarico dell’acqua.

Usare i prodotti decalcificanti insieme al detersivo: evitano la formazione di depositi e facilitano le funzioni del detersivo soprattutto con "acqua dura": aumenterà il costo del lavaggio ma si ridurranno gli interventi e i costi di manutenzione.

9 8

 

l’ASCIUGATURA

Con le nuove tecnologie, ormai, il lavaggio di un bucato in lavatrice è diventato un’operazione estremamente semplice. Ci sono poi alcuni modelli programmati anche per l’asciugatura. Anzi, oggi si tende a sostituire questa operazione con macchine asciugatrici studiate appositamente.

Attenzione però: per riscaldare l’aria necessaria all’asciugatura occorre molta energia.

Esistono in commercio diversi modelli di asciugatrici per biancheria che adottano, principalmente, due sistemi: quello con scarico d’aria, adatto a locali bene aereati e quello con condensazione del vapore per locali non aereati.

Questi sistemi operano in modo analogo, aspirando dall’esterno l’aria che viene riscaldata e immessa sulla biancheria, per sottrarre umidità. La differenza nei due tipi sta nel modo di cedere all’ambiente l’umidità sottratta: nel primo caso riversando l’aria umida nel locale e, nel secondo, raccogliendo i vapori in un apposito contenitore da svuotare a fine ciclo, o direttamente in uno scarico.

ATTENZIONE PERÒ: per riscaldare l’aria necessaria all’asciugatura occorre molta energia e anche se con qualche variazione a seconda del sistema usato, il costo di questa operazione rimane elevato.

Usiamo il sole appena è possibile, è gratis e non inquina e facciamo funzionare l’asciugatrice o il ciclo di asciugatura della lavatrice solo quando non possiamo fare altrimenti.

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Staccare i collegamenti elettrici e idraulici se la lavatrice è destinata a rimanere a lungo inattiva e mantenere l’oblò leggermente aperto per evitare la formazione di cattivi odori.

Tenere sempre pulito il cassetto del detersivo evitando che si formino incrostazioni.

Leggere sempre attentamente il libretto di istruzioni allegato al nuovo apparecchio: contiene preziosi suggerimenti per un migliore utilizzo dell’elettrodomestico.

10

 

Alti consumi

Bassi consumi

Consumo di energia

kWh/ciclo

(in base ai risultati di prove standard per il ciclo cotone a 60°C)

Il consumo effettivo dipende dal modo in cui l’apparecchio viene usato

Efficacia di lavaggio

Capacità (cotone) in kg

Consumo di acqua in L

Rumorosità

[dB(A) re 1 pW]

A: alta G: bassa

Gli opuscoli illustrativi contengono una scheda particolareggiata

Norma EN 50-56

Direttiva 95/12/CE relativa all’etichettatura delle lavatrici

Lavaggio

Centrifugazione

A B C D E F G

Efficacia di centrifugazione

A: alta G: bassa

Velocità di centrifugazione (gpm) 1100

A B C D E F G

y.z

yx

XY

xyz

Lavatrici

X.YZ

LA SICUREZZA, l’EFFICIENZA ENERGETICA E IL RISPETTO DELl’AMBIENTE

Al momento dell’acquisto degli apparecchi domestici è bene assicurarsi che ci sia il marchio di qualità IMQ o un altro marchio riconosciuto a livello europeo. Se c’è significa che l’apparecchio è prodotto in conformità con le norme di legge in materia di sicurezza. Ecco alcuni dei marchi tra i più diffusi:

Per quanto riguarda l’efficienza energetica è oggi più facile scegliere i prodotti migliori. Infatti una Direttiva della Comunità Europea rende obbligatorio esporre sulle lavatrici (e sulle asciugatrici) un’etichetta ("etichetta energetica") con l’indicazione dei consumi energetici, dell’efficacia di lavaggio e di altre caratteristiche tecniche dell’apparecchio.

l’informazione più importante riportata dall’etichetta è relativa all’efficienza energetica. Una serie di frecce di lunghezza crescente associate alle lettere dalla A alla G, permettono di confrontare i consumi dei diversi apparecchi e di scegliere la lavatrice che consuma meno. La lunghezza delle frecce è legata ai consumi: a parità di prestazioni gli apparecchi con consumi più bassi hanno la freccia più corta.

Per avere informazioni più dettagliate, consultate l’opuscolo ENEA "l’etichetta energetica delle lavatrici" che può essere richiesto ai Centri di Consulenza Energetica Integrata (CCEI), i cui indirizzi sono riportati in fondo all’opuscolo, oppure scrivere a ENEA C.P. 2400 Roma.

Possiamo inoltre anche trovare l’Eco-label (ecoetichetta): un marchio europeo che indica un prodotto più "compatibile con l’ambiente" e quindi, generalmente, anche con un minor consumo di energia. Ha per simbolo la margherita con le stelle come petali e la "E" di Europa al centro.

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I costi energetici contenuti nell’opuscolo sono stati valutati assumendo i seguenti valori:

Elettricità 0.18 €/kWh

Detersivo lavatrice 2.00 €/kg

2

1

3 4 5 6 7 8 9

10 11 12 13 14 15 16 17

ITALIA

AUSTRIA

BELGIO

CANADA

CECOSLOVACCHIA

1234

5

DANIMARCA

FRANCIA

GERMANIA

GRAN BRETAGNA

IRLANDA

6789

10

NORVEGIA

PAESI BASSI

PORTOGALLO

SPAGNA

SVEZIA

11

12

13

14

15

SVIZZERA

USA

16

17

ETICHETTA

ENERGETICA

ECO-LABEL

l’ENEA pubblica altri opuscoli sulle scelte più convenienti che tutti noi possiamo adottare per risparmiare energia e proteggere l’ambiente.

Potete richiedere gratuitamente gli opuscoli che vi interessano a:

ENEA - Unità RES RELPROM

Lungotevere Thaon di Revel, 76 - 000191 Roma

Fax 0636272288


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PERCHÉ QUESTO OPUSCOLO

Come si sceglie una lavastoviglie?

Qual è il modo migliore per utilizzarla?

Quanto consuma?

Di quale manutenzione ha bisogno?

Sono domande semplici, che ci troviamo ad affrontare spesso, sia al momento dell’acquisto di una lavastoviglie, che nel suo uso quotidiano e, soprattutto, quando dobbiamo pagare qualche riparazione troppo costosa.

Le risposte possono essere altrettanto semplici.

LA LAVASTOVIGLIE: ISTRUZIONI PER l’USO

La lavastoviglie può funzionare meglio: non c’è bisogno di fare sacrifici o rinunce, basta adottare qualche piccolo accorgimento, in modo da consumare meno energia, risparmiando denaro, salvaguardando l’ambiente e ottenendo… stoviglie pulite.

È sufficiente leggere con attenzione questo opuscolo che l’ENEA ha realizzato affinché sia uno strumento di facile consultazione, con consigli pratici e semplici suggerimenti.

• l’acquisto;

• l’installazione;

• l’utilizzo;

• la manutenzione.

della lavastoviglie vengono trattati con l’intento di evidenziare quello che bisogna sapere nella vita di tutti i giorni, a contatto diretto con questa "macchina della casa".

Pensare al futuro significa anche ridurre i consumi irrazionali sin da oggi.

Possiamo farlo in molti modi, ogni giorno, con un pizzico di intelligenza, senza per questo rinunciare alla qualità della vita.

I diversi argomenti sono trattati anche attraverso tabelle che danno la possibilità di valutare i consumi e i costi di esercizio della lavastoviglie.

Completano l’opuscolo alcune informazioni sui marchi nazionali ed europei che assicurano la sicurezza, l’efficienza energetica e il rispetto per l’ambiente.

2

l’ACQUISTO

La tecnica ha fatto notevoli passi avanti nel campo della progettazione e della produzione delle lavastoviglie per uso domestico. Oggi esistono apparecchi in grado di offrire risultati migliori rispetto alle vecchie lavastoviglie, con minori consumi di energia elettrica, di acqua e di detersivo.

Infatti, diminuendo la quantità di acqua necessaria per un ciclo di lavaggio (in dieci anni si è passati, in media, da 45 a 25 litri) occorre anche meno energia per portare l’acqua alla giusta temperatura ed è sufficiente una minore quantità di detersivo.

Le lavastoviglie moderne hanno, inoltre, la possibilità di effettuare cicli ridotti o "rapidi", che rappresentano un notevole risparmio di tempo (fino al 60%) e quindi di energia quando i piatti non sono tanto sporchi da costringere all’utilizzo del ciclo lungo.

In fase di acquisto è, quindi, senz’altro preferibile scegliere i modelli inseriti più recentemente sul mercato.

È bene informarsi in tal senso, leggere accuratamente le caratteristiche tecniche di ciascun apparecchio, chiedendo spiegazioni al rivenditore e considerando che non è tanto importante il valore di massimo assorbimento (espresso in kW), quanto, soprattutto, il consumo effettivo di energia, espresso in kWh, che ci indica quanta energia elettrica viene realmente consumata dalla lavastoviglie in un determinato ciclo di lavaggio.

Un discorso a parte merita la capacità dell’apparecchio, il cosiddetto numero di coperti, che è riferito al numero di stoviglie che la macchina può contenere per ciclo di lavaggio. Cercate di scegliere il modello con la capacità che vi serve realmente. Una lavastoviglie di grande capacità -cioè con un numero di coperti troppo elevato rispetto alle nostre necessità- verrà spesso utilizzata semivuota, mentre con un apparecchio troppo piccolo saremo costretti ad aumentare il numero dei cicli di lavaggio settimanali. In entrambi i casi sprecheremo acqua ed energia.

Oggi poi abbiamo una possibilità in più di scegliere quei modelli che ci consentono di ridurre i consumi; infatti, dal mese di giugno del 2000 anche sulle lavastoviglie -come già sui frigoriferi e sulle lavatrici- è applicata l’etichetta energetica, la quale permette di conoscere fin dal momento dell’acquisto, caratteristiche e consumi di ciascun modello di lavastoviglie.

Per avere informazioni più dettagliate consultate l’opuscolo ENEA "Etichetta energetica delle lavastoviglie" che può essere richiesto ai Centri di Consulenza Energetica Integrata (CCEI) i cui indirizzi sono riportati in fondo all’opuscolo, oppure scrivere a: ENEA - Unità RES RELPROM, Lungotevere Thaon di Revel, 76 - 000191 Roma, fax 06 36272288.

scegliere i modelli più nuovi e della giusta capacità attenzione che ci sia il "ciclo rapido" occhio al consumo per ciclo di lavaggio: controlla l’etichetta energetica

 

l’UTILIZZO

La lavastoviglie è un elettrodomestico che si usa tutti i giorni o quasi. Per diminuire i consumi e risparmiare denaro basta quindi prendere l’abitudine ad usarla meglio, tutti i giorni.

Ecco i consigli dell’ENEA:

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I CONSUMI

Abbiamo già visto che acquistando un apparecchio di recente concezione possiamo risparmiare notevolmente sui consumi di acqua, elettricità e detersivo.

Ma quanto?

Le lavastoviglie tradizionali per 10-12 coperti consumano, per il ciclo più lungo, circa 2.5 kWh; i modelli nuovi, invece, tra 1.4 e 1.8 kWh.

I consumi risultano ridotti drasticamente quando si utilizzano i cicli cosiddetti "rapidi" (circa 0.7 kWh), in quanto diminuiscono i tempi di lavaggio e, di conseguenza, i consumi di elettricità.

Per un lavaggio completo i modelli più vecchi hanno bisogno di circa 40 g di detersivo, quelli più moderni solo di 20 g.

Con una tabella mettiamo a confronto modelli a basso consumo, tecnologicamente più avanzati, con modelli tradizionali, ancora presenti sul mercato, evidenziando i consumi ed i costi (min. e max.) di energia elettrica e di detersivo per ciclo e per un anno di utilizzo con 7 cicli di lavaggio alla settimana.

Alcune lavastoviglie possono essere alimentate direttamente con l’acqua calda: questa soluzione è particolarmente conveniente se è possibile, ad esempio, collegare l’apparecchio direttamente ad uno scaldacqua a gas non troppo lontano; in questo modo si risparmia energia elettrica,e i tempi di lavaggio diminuiscono.

Inoltre ogni macchina lavastoviglie è fornita di un impianto di decalcificazione, costituito da un dispositivo detto "addolcitore" che riduce la durezza dell’acqua evitando la formazione del calcare che, depositandosi sulle resistenze e sulle parti meccaniche, provoca un aumento dei consumi e un cattivo funzionamento della macchina. Per mantenere l’addolcitore sempre efficiente è necessario mettere regolarmente sale nell’apposito contenitore.

Più alta è la durezza dell’acqua utilizzata e più frequente la lavastoviglie segnalerà la richiesta di aggiunta di sale. È da notare che un lavaggio effettuato senza decalcificazione dà risultati meno soddisfacenti e le stoviglie appaiono opache. È importante quindi conoscere il grado di durezza dell’acqua.

Per dare maggiore diffusione e completezza relativamente ai dati di durezza per i singoli comuni italiani, Assocasa ha predisposto un sito Web in Internet all’indirizzo assocasa.federchimica.it dove è possibile trovare il dato della durezza per circa 6,000 comuni italiani.

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Disporre le stoviglie correttamente nella macchina, avendo cura di asportare i residui più grossi delle pietanze per evitare il pericolo di intasamento del filtro con conseguente riduzione dell’efficacia del lavaggio.

Lavastoviglie Consumi e costi per ciclo Costo totale anno

ENERGIA DETERSIVO DETERSIVO

kWh Euro g Euro + ENERGIA

MODELLI 1.4 0,25 20 0,05 111,00

A BASSO

CONSUMO 1.8 0.32 30 0.07 147.00

MODELLI 2.5 0.45 40 0.10 202.00

TRADIZIONALI 3 0.54 50 0.12 244.00

• I consumi si riferiscono al ciclo di lavaggio più lungo.

• Il costo totale annuo si riferisce a un utilizzo medio di 7 cicli alla settimana.

 

LA MANUTENZIONE

Bastano poche attenzioni per allungare la vita della lavastoviglie. Una buona manutenzione è il presupposto per tanti buoni lavaggi.

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Utilizzare il ciclo intensivo solo nei casi in cui sia veramente necessario, quando cioè le stoviglie sono particolarmente sporche: lava in tempi molto lunghi, a temperature elevate, e quindi con grande consumo di energia.

Usare il lavaggio rapido a freddo quando ci sono poche stoviglie da lavare. Questo ciclo consentirà di ultimare il carico a fine giornata, senza cattivi odori ed incrostazioni troppo dure sui piatti in attesa del lavaggio completo.

Adottare il programma "economico" per le stoviglie poco sporche. È un ciclo di lavaggio a temperatura più bassa che, a volte, non prevede la fase di asciugatura consumando così meno energia.

Utilizzare esclusivamente detersivi spefici per lavastoviglie e rispettare le dosi consigliate dalle case produttrici: una quantità maggiore di detersivo non lava di più, ma inquina di più!

Far funzionare la lavastoviglie solo a pieno carico: il consumo di elettricità e di detersivo è uguale sia con l’apparecchio pieno che vuoto.

Eliminare l’asciugatura con l’aria calda. La semplice circolazione dell’aria, aprendo lo sportello a fine lavaggio, è sufficiente ad asciugare le stoviglie e consente un risparmio di circa il 45% di energia, riducendo la durata del ciclo di almeno 15 minuti.

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INTENSIVO

ECONOMICO

RAPIDO FREDDO

Pulire sovente e con cura il filtro: le impurità e i depositi impediscono lo scarico dell’acqua e non consentono buoni risultati di lavaggio.

Usare con regolarità il sale apposito, o quello grosso da cucina, che serve a prevenire la formazione di incrostazioni calcaree, controllando che il contenitore sia sempre pieno.

Assicurarsi che i forellini dei bracci rotanti siano liberi: se sono ostruiti l’acqua non raggiunge efficacemente tutte le stoviglie.

Staccare i collegamenti elettrici e idrici in caso di lunghi periodi di inattività della lavastoviglie.

Leggere sempre molto attentamente il libretto di istruzioni allegato al nuovo apparecchio: contiene preziosi suggerimenti per un migliore utilizzo dell’elettrodomestico.

 

LA SICUREZZA, IL RISPARMIO, IL RISPETTO DELl’AMBIENTE

Al momento dell’acquisto degli apparecchi domestici è bene assicurarsi che ci sia il marchio di qualità IMQ o un altro marchio riconosciuto a livello europeo. Se c’è significa che l’apparecchio è prodotto in conformità con le norme di legge in materia di sicurezza. Ecco alcuni dei marchi tra i più diffusi:

Abbiamo anche parlato dell’etichetta energetica (vedi pagina 5) che possiamo trovare già applicata sulle lavastoviglie e che ci permette di scegliere gli apparecchi a più basso consumo di energia.

Infine l’Ecolabel (ecoetichetta): il marchio europeo che indica un prodotto più "compatibile con l’ambiente" e, quindi, generalmente, anche con un minor consumo di energia.

Ha per simbolo la margherita con le stelle come petali e la "E" di Europa al centro.

I costi energetici contenuti nell’opuscolo sono stati valutati assumendo i seguenti valori:

Elettricità 0.18 €/kWh

Detersivo lavastoviglie 2.50 €/kg

2

1

3 4 5 6 7 8 9

10 11 12 13 14 15 16 17

ITALIA

AUSTRIA

BELGIO

CANADA

CECOSLOVACCHIA

12345

DANIMARCA

FRANCIA

GERMANIA

GRAN BRETAGNA

IRLANDA

6789

10

NORVEGIA

PAESI BASSI

PORTOGALLO

SPAGNA

SVEZIA

11

12

13

14

15

SVIZZERA

USA

16

17

ECO-LABEL

Alti consumi

Bassi consumi

Consumo di energia kWh/ciclo

(in base ai risultati di prove di cicli normali di lavaggio con acqua fredda)

Il consumo effettivo dipende dal modo in cui l’apparecchio viene usato

Efficacia di lavaggio

Coperti

Consumo di acqua l/ciclo

Rumorosità

[dB(A) re 1 pW]

A: alta G: bassa

Gli opuscoli illustrativi contengono

una scheda particolareggiata

Norma EN 50242

Direttiva 97/17/CE relativa all’etichettatura delle lavastoviglie

A B C D E F G

Efficacia di asciugatura

A: alta G: bassa

A B C D E F G

yz

yx

xy

Lavastoviglie

X.YZ

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ETICHETTA

ENERGETICA

l’ENEpubblica altri opuscoli sulle scelte più convenienti che tutti noi possiamo adottare per risparmiare energia e proteggere l’ambiente.

Potete richiedere gratuitamente gli opuscoli che vi interessano a:

ENEA - Unità RES RELPROM

Lungotevere Thaon di Revel, 76 - 000191 Roma

Fax 0636272288


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PERCHÉ QUESTO OPUSCOLO

Come si sceglie un frigorifero? E un congelatore?

Qual è il modo migliore per utilizzarli?

Quanto consumano?

Di quale manutenzione hanno bisogno?

Sono domande semplici, che ci troviamo ad affrontare spesso, sia al momento dell’acquisto, che nel loro uso quotidiano e, soprattutto, quando dobbiamo pagare qualche riparazione troppo costosa.

Le risposte possono essere altrettanto semplici.

IL FRIGORIFERO E IL CONGELATORE: ISTRUZIONI PER l’USO

Frigorifero e congelatore possono funzionare meglio: non c’è bisogno di fare sacrifici o rinunce, basta adottare qualche piccolo accorgimento, in modo da consumare meno energia, risparmiando denaro.

È sufficiente leggere con attenzione questo opuscolo che l’ENEA ha realizzato affinché sia uno strumento di facile consultazione, con consigli pratici e semplici suggerimenti.

• l’acquisto

• l’installazione

• l’utilizzo

• la manutenzione

del frigorifero e del congelatore vengono trattati con l’intento di evidenziare quello che bisogna sapere nella vita di tutti i giorni, a contatto diretto con questa "macchina della casa".

Pensare al futuro significa anche ridurre i consumi irrazionali sin da oggi.

Possiamo farlo in molti modi, ogni giorno, con un pizzico di intelligenza.

I diversi argomenti sono trattati anche attraverso tabelle che danno la possibilità di valutare consumi e costi di esercizio del frigorifero e del congelatore.

Completano l’opuscolo alcune informazioni sui marchi che assicurano la sicurezza, l’efficienza energetica e il rispetto per l’ambiente.

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Stelle Congelatore Conservare Temperatura Durata alimenti surgelati conservazione freschi

**** si si -18°C fino a 1 anno*

*** no si -18°C fino a 1 anno*

** no si -12°C fino a 1 mese

* no si - 6°C fino a 1 settimana

l’ACQUISTO

1, 2, 3 o addirittura 4 porte 3 o 4 stelle? cantina, chiller, no-frost…

Acquistare un frigorifero può rivelarsi più difficile del previsto per la vasta gamma di soluzioni sia funzionali che estetiche presenti oggi sul mercato.

Facciamo un pò di chiarezza su alcune delle caratteristiche da considerare al momento di scegliere.

Innanzitutto ricordiamo, con una tabella, il significato del numero di stelle che troviamo sugli scomparti a temperatura più bassa:

I frigoriferi monoporta (più precisamente frigoriferi con o senza scomparti per le basse temperature) sono adatti soprattutto a chi preferisce acquistare giorno per giorno gli alimenti freschi ed hanno generalmente - ma non sempre - dimensioni ridotte; spesso hanno una piccola cella, o un vano separato (anche a quattro stelle) per conservare alimenti surgelati.

I frigocongelatori a due porte sono dotati di un vano frigorifero e di un vano congelatore (generalmente a quattro stelle) entrambi di discrete dimensioni. Sono molto pratici in quanto consentono anche di congelare cibi freschi.

Alcuni modelli hanno motori separati e quindi la possibilità di utilizzare solo una parte del frigorifero, con un buon risparmio di energia.

I frigocongelatori con più di due porte danno la possibilità di scegliere tra diversi climi quello più adatto ai cibi che si intendono conservare.

* Vedere la data consigliata sulla confezione.

 

Gli scomparti a temperature diverse e differenziati livelli di umidità consentono, infatti, di ritardare notevolmente la degradazione degli alimenti freschi:

• il vano frigorifero mantiene un costante grado di umidità ed è destinato a cibi di rapido consumo e bottiglie;

• il congelatore a quattro stelle, permette di congelare alimenti freschi e di conservare quelli surgelati;

• il "chiller", costituisce l’ambiente ideale per conservare pesce e carne. In questo caso, infatti, gli alimenti non congelano ma il processo di deperimento viene notevolmente rallentato così che carne e pesce si mantengono freschi fino a 10 giorni.

• A questi scomparti se ne aggiunge un quarto, generalmente a raffreddamento indiretto in cui il cibo è conservato a temperatura "cantina" per proteggere con la giusta umidità frutta e verdura dalla disidratazione, mantenendo così inalterati freschezza e contenuto vitaminico.

Nonostante la loro complessità, questi modelli permettono di risparmiare energia in quanto, con l’apertura delle singole porte, la perdita di freddo è ridotta al minimo. Inoltre, il clima all’interno dei singoli scomparti è controllato elettronicamente in modo che la temperatura rimane costante, indipendentemente da quella esterna. Esistono anche apparecchi a sbrinamento automatico, che eliminano la brina dalle pareti fredde senza necessità di intervento.

Oltre a questi esistono i cosiddetti frigocongelatori "no-frost" (senza brina), i quali sono dotati di un sistema che integra il normale raffreddamento statico, in cui l’aria fredda scende lentamente verso il basso dal generatore del freddo, con una speciale ventilazione forzata: le cirolazione uniforme di aria fredda all’interno del vano evita la formazione della brina o umidità sulla superficie degli alimenti, integrando lo sbrinamento automatico. I cibi si mantengono "freschi" più a lungo rispetto ai frigoriferi tradizionali.

Nei vani congelatori "no-frost" la surgelazione è molto più rapida rispetto al congelatore tradizionale e poiché i cristalli che si formano nella struttura degli alimenti sono più piccoli, la consistenza, gli odori ed i sapori degli alimenti si mantengono inalterati. Il consumo degli apparecchi no frost è generalmente più elevato rispetto a quello dei frigoriferi a freddo statico, ma si tratta comunque di apparecchi con prestazioni diverse, per quanto riguarda il modo di conservare gli alimenti.

Inoltre lo strato di ghiaccio che spesso ricopre le pareti die frigoriferi a freddo statico ne aumenta, di fatto, i consumi. Per questo, il maggior consumo dei no-frost, dovuto all’azione della ventola, è compensato dal fatto che non formandosi ghiaccio sulle pareti le prestazioni dell’apparecchio rimangono costanti.

I frigoriferi "ecologici" che cominciano ad essere presenti sul mercato, sono, nelle intenzioni dei costruttori, apparecchi costruiti in modo da risparmiare energia e con materiali e tecnologie che rispettano l’ambiente.

Alcuni modelli sono forniti, sulle pareti, di un doppio isolamento; in questo modo disperdono meno il freddo.

5 4

SISTEMA NO-FROST

QUATTRO SCOMPARTI

QUATTRO CLIMI

CONGELATORE

-18°C

FRIGORIFERO

+5°C

CHILLER

+3°C

CANTINA

+8°C +14°C

 

l’interno dei congelatori verticali o "ad armadio" è organizzato in pratici cassetti ed i cibi risultano facilmente accessibili, è spesso presente un tasto per il cosiddetto "congelamento rapido", a temperatura più bassa. Questa funzione da utilizzare quando si introducono nell’apparecchio grandi quantità di alimenti freschi, va disinserita quando il congelamento è completato.

I congelatori verticali occupano meno spazio di quelli orizzontali ma generalmente, a parità di volume, hanno un costo superiore.

I congelatori orizzontali, o a "pozzo", si aprono verso l’alto e, generalmente non hanno divisioni interne tranne, in alcuni modelli, un vano per il congelamento rapido. La loro semplicità permette di risparmiare al momento dell’acquisto ma, di contro, la ricerca dei cibi risulta meno agevole.

Indipendentemente dal tipo di congelatore, uno dei fattori che incide maggiormente sui consumi è l’isolamento delle pareti. I modelli più recenti sono dotati di un superisolamento, cioè di un forte spessore di poliuretano (9-10 cm) alle pareti.

Anche se questo strato isolante va a diminuire leggermente lo spazio utile interno, è sempre conveniente scegliere un modello più isolato che uno meno isolato.

Basterà porre maggiore attenzione al confezionamento e al posizionamento dei pacchetti con gli alimenti. Inoltre, in caso di black-out della corrente elettrica, gli apparecchi molto isolati hanno una maggiore autonomia di conservazione (fino a 72 ore).

Anche le abitudini d’uso incidono molto sui consumi di energia elettrica. Aprire lo sportello di un congelatore significa, nella maggior parte dei casi, far ripartire il compressore dell’apparecchio, e quindi consumare energia. Ovviamente più si tiene aperto lo sportello, più si consuma.

Nei congelatori a pozzo ciò avviene meno di frequente che in quelli ad armadio: nei primi, infatti, l’aria calda, che è più leggera di quella fredda si accumula verso l’alto del congelatore formando uno strato protettivo che impedisce al freddo, stratificato in basso, di disperdersi quando si apre lo sportello.

Oggi poi abbiamo una possibilità in più di scegliere quei modelli che ci consentono di ridurre i consumi: infatti, da qualche tempo sui frigoriferi, congelatori e frigocongelatori è applicata una etichetta colorata con frecce e altri simboli, l’etichetta energetica, la quale permette di conoscere caratteristiche e consumi dei frigoriferi, valutando fin dal momento dell’acquistoil consumo annuo di ciascun modello.

Per avere informazioni più dettagliate, consultate l’opuscolo ENEA "Etichetta energetica di frigoriferi e congelatori" che può essere richiesto ai Centri di Consulenza Energetica Integrata (CCEI), i cui indirizzi sono riportati in fondo all’opuscolo, oppure scrivere a: ENEA - Unità RES RELPROM, Lungotevere Thaon di Revel, 76 - 000191 Roma, fax 06 36272288.

7

Spie luminose, segnalazioni acustiche in caso di mancanza di corrente, sistemi elettronici che indicano la non corretta chiusura di una porta ed altri accorgimenti per un razionale e completo sfruttamento dello spazio, sono utili optionals per un elettrodomestico che, però, va scelto valutando correttamente le proprie esigenze e cercando, soprattutto, di evitare inutili sprechi di energia.

Un elemento fondamentale per questa scelta è la "capacità" del frigorifero, cioè lo spazio interno effettivamente utilizzabile. A questo proposito può essere utile la seguente tabella che, in linea di massima, stabilisce un rapporto tra il numero delle persone e la capacità dell’apparecchio.

Dunque, anche un apparecchio di piccole dimensioni può essere sufficiente, purché lo spazio interno sia versatile, realizzato razionalmente e pratico.

In ogni caso, un frigorifero di media capacità (220-280 litri) dotato di un congelatore da 50 litri, consuma mediamente 450 kWh all’anno sia pieno di alimenti che vuoto, ed i consumi annuali subiscono un aumento di 80-90 kWh per ogni 100 litri di capacità in più.

Inoltre, il frigorifero rimane sempre acceso e, di conseguenza, una piccola differenza di consumo tra un apparecchio ed un altro diventa, in un anno, una discreta somma sulla bolletta elettrica.

Al momento di acquistare un frigorifero nuovo, occorre quindi fare molta attenzione e paragonare fra loro le prestazioni dei diversi modelli.

La congelazione domestica permette, spesso, di economizzare tempo e denaro. Bisogna però ricordare che è necessario affidarsi ad apparecchi sicuri, in grado di garantire un gelo profondo e costante, indipendentemente dal clima e dalla stagione.

Si può scegliere tra congelatori verticali ed orizzontali, in base alle diverse esigenze funzionali e di spazio.

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Nucleo familiare Capacità media consigliata

1 persona 100-150 litri

2-4 persone 220-280 litri

più di 4 persone 300 litri ed oltre

 

l’UTILIZZO

Alcune piccole attenzioni aiutano ad utilizzare meglio i frigoriferi ed i congelatori.

Ecco i consigli dell’ENEA:

Posizionare gli apparecchi possibilmente nel punto più fresco della cucina, lontano dai fornelli, dal termosifone e dalla finestra. Per il congelatore, una buona collocazione può essere la cantina o il garage.

Lasciare uno spazio di almeno 10 cm tra la parete e il retro dell’apparecchio e, se questo è inserito nei mobili della cucina, assicuratevi che vi sia spazio sia sopra che sotto per una buona ventilazione.

La regolazione del termostato deve avvenire secondo la temperatura ambiente: dunque varierà secondo le stagioni, seguendo anche le eventuali indicazioni del costruttore, ma evitando di raffreddare troppo (posizioni eccessivamente fredde sono inutili per la conservazione dei cibi, mentre i consumi energetici aumentano del 10/15%).

9

I CONSUMI

Abbiamo visto come una scelta "fredda" al momento dell’acquisto è il modo migliore per evitare sprechi, ma poi, quando l’apparecchio è già in casa, ogni volta che lo apriamo, è un po’ come aprire il portafoglio. Sembra esagerato, ma è così: gli sprechi nei consumi di energia elettrica derivano in gran parte dalla dispersione degli sportelli aperti.

Bisogna quindi evitare di aprirli troppo spesso e troppo a lungo.

Vediamo indicativamente quanto consumano i diversi modelli, precisando che i valori delle tabelle si riferiscono ai consumi a porte chiuse, e che questi possono anche raddoppiare in funzione del numero e della durata delle aperture.

8

Frigoriferi Capacità Consumo Costo totale media annuo

litri kWh 24 ore kWh anno Euro

Monoporta 150-480 0.6-1.9 220-695 40.00-125.00 ***

Due porte 160-420 0.7-2.0 260-730 47.00-131.00 ****

Più di due porte 270-330 1.3-1.7 474-620 85.00-112.00 ****

Congelatori Capacità Consumo Costo totale media annuo

litri kWh 24 ore kWh anno Euro

Verticali 55-335 0.7-1.6 255-585 46.00-105.00

Verticali 80-310 1.8-8.4 657-2520 118.00-454.00 no-frost

Orizzontali 105-560 0.7-2.3 255-840 46.00-151.00

Frigoriferi Capacità Consumo Costo totale no-frost media annuo

litri kWh 24 ore kWh anno Euro

Due porte 230-470 1.1-6.2 402-2263 72.00-407.00 ****

cm 10

Costo di 1 kWh = € 0.18.

 

LA MANUTENZIONE

Bastano poche attenzioni per allungare la vita dei frigoriferi e dei congelatori, mantenendoli in perfetta forma.

11

Posizionare gli alimenti secondo le loro esigenze di conservazione ricordando che, generalmente, la zona più fredda del frigorifero è in basso, sopra i cassetti della verdura.

Evitare di riempire eccessivamente il frigorifero e, specialmente se non è no-frost, cercare di lasciare un pò di spazio a ridosso delle pareti interne per favorire la circolazione dell’aria.

Non introdurre mai cibi caldi nel frigorifero o nel congelatore perché contribuiscono alla formazione di ghiaccio sulle pareti.

Fare attenzione quando si apre il frigorifero, in modo da prelevare o mettere dentro velocemente i cibi: per fare prima, basta prendere l’abitudine di tenerli in ordine, sempre negli stessi scomparti, o in contenitori separati o in sacchetti con etichetta.

Riportare la manopola del congelatore in posizione di "conservazione" dopo aver surgelato i cibi alla temperatura più fredda.

10

Controllare che le guarnizioni di gomma delle porte siano sempre in buono stato; nel caso siano scollate o deteriorate è bene sostituirle.

Pulire ogni tanto il condensatore (serpentina) posto sul retro dell’apparecchio, dopo aver staccato l’alimentazione elettrica: lo strato di polvere che si forma fa aumentare i consumi in quanto non permette un buon raffreddamento.

Sbrinare l’apparecchio non appena lo strato di ghiaccio supera i 5 mm di spessore. La brina sottrae infatti freddo all’apparecchio in quanto forma uno strato isolante, facendo aumentare i consumi di energia e riducendo, inoltre, lo spazio utilizzabile.

Leggere sempre molto attentamente il libretto di istruzioni allegato al nuovo apparecchio, contiene preziosi suggerimenti per un migliore utilizzo.

 

LA SICUREZZA, IL RISPARMIO, IL RISPETTO DELl’AMBIENTE

Al momento dell’acquisto degli apparecchi domestici è bene assicurarsi che ci sia il marchio di qualità IMQ o un altro marchio riconosciuto a livello europeo. Se c’è significa che 1’apparecchio è prodotto in conformità con le norme di legge in materia di sicurezza. Ecco alcuni dei marchi tra i più diffusi:

Dell’etichetta energetica abbiamo già parlato a pagina 7.

Un altro marchio significativo per l’utente attento è l’Ecolabel (ecoetichetta): un marchio europeo che indica un prodotto "compatibile con l’ambiente" e quindi, generalmente, anche con un minor consumo di energia. Ha per simbolo la margherita con le stelle come petali e la "E" di Europa al centro.

2

1

3 4 5 6 7 8 9

10 11 12 13 14 15 16 17

ITALIA

AUSTRIA

BELGIO

CANADA

CECOSLOVACCHIA

1234

5

DANIMARCA

FRANCIA

GERMANIA

GRAN BRETAGNA

IRLANDA

6789

10

NORVEGIA

PAESI BASSI

PORTOGALLO

SPAGNA

SVEZIA

11

12

13

14

15

SVIZZERA

USA

16

17

ECOLABEL

12

ETICHETTA

ENERGETICA

l’ENEA pubblica altri opuscoli sulle scelte più convenienti che tutti noi possiamo adottare per risparmiare energia e proteggere l’ambiente.

Potete richiedere gratuitamente gli opuscoli che vi interessano a:

ENEA - Unità RES RELPROM

Lungotevere Thaon di Revel, 76 - 000191 Roma

Fax 0636272288

 


Qualificazione degli elettrodomestici

Servizi offerti

Presso il Centro Ricerche di Ispra (Laboratori certificati ISO 9002) vengono svolte attività di servizio, oltre che sperimentali e di ricerca, su apparecchi del freddo e di illuminazione per il settore civile e terziario. In particolare, i laboratori consentono:

• la determinazione del profilo energetico di sistemi di illuminazione e componenti in condizioni di lavoro;
• la determinazione dell’influenza delle caratteristiche dell’ambiente sull’illuminamento;
• l’analisi dei sistemi di regolazione del flusso luminoso;
• la verifica sperimentale di software illuminotecnico;

• la determinazione delle prestazioni di elettrodomestici del freddo;
• la determinazione del consumo energetico di elettrodomestici del freddo secondo normativa;
• la determinazione dell’influenza dell’ambiente e delle abitudini degli utenti sulle prestazioni di elettrodomestici del freddo;
• studi sperimentali su prototipi innovativi di elettrodomestici del freddo;
• la determinazione dell’efficienza dei componenti di elettrodomestici del freddo.

Utenti

I principali utenti delle attività di qualificazione sono prevalentemente enti pubblici nazionali ed internazionali, enti locali e industria. Queste attività, svolte sia direttamente che per loro conto, sono finalizzate a:

• fornire supporto tecnico qualificato;
• collaborare alla valutazione delle prestazioni energetico-ambientali dei nuovi prodotti;
• qualificare apparecchiature;
• effettuare attività di vigilanza e di controllo sulla rispondenza degli apparecchi domestici in commercio alla normativa energetico-ambientale vigente.

Attrezzature, laboratori e impianti

All’attività di qualificazione di elettrodomestici sono dedicati due laboratori che operano in regime di qualità certificato ISO 9002:

CORVO, laboratorio di prova per le verifiche energetico - ambientali di sistemi di illuminazione;
ICELAB, laboratorio di prova per le verifiche energetico - ambientali di elettrodomestici del freddo.

Il laboratorio di illuminotecnica CORVO dispone di:

• cella di prova (con dimensioni 4,5 x 4,5 x 3,2 m), dotata di sistema di movimentazione elettromeccanico del sensore di misura sugli assi x-y, che simula un comune locale per uso civile o terziario;

• banco di misura di grandezze elettriche;

• strumentazione portatile per monitoraggi in campo.

Il laboratorio di prova per gli elettrodomestici del freddo ICELAB è dotato di due camere climatiche (CC1 e CC2), con il controllo di temperatura, umidità relativa, velocità dell’aria, con i seguenti range di funzionamento:

• CC1: temperatura 10÷48 °C, umidità relativa 30÷90%

• CC2: temperatura 0÷70 °C, umidità relativa 30÷90%.

Ogni camera climatica può ospitare 3 apparecchi in prova.


I CONDIZIONATORI DELl’ARIA: raffrescatori e pompe di calore Considerati fino a qualche anno fa un bene di lusso, i condizionatori dell’aria sono sempre più diffusi e forse tra qualche anno saranno presenti in tutte le nostre case al pari dei termosifoni. Ma al miglioramento del confort è associato un aumento dei consumi di energia. Un’energia che bisogna risparmiare sia per rispettare gli impegni di Kyoto sulla riduzione delle emissioni di gas serra, sia per ridurre la dipendenza economica dai paesi produttori di petrolio.

Per ridurre al minimo il tempo di accensione del condizionatore bisogna isolare termicamente l’edificio dall’ambiente esterno. Quindi, rispettando la normativa vigente, in fase di costruzione o di ristrutturazione dell’edificio è importante istallare materiali isolanti sulle pareti e sul tetto e dotare le finestre di doppi vetri Per raffrescare l’edificio è anche importante favorire la ventilazione naturale. Posizionando adeguatamente porte e finestre si riesce a creare un movimento d’aria tra i locali o tra i piani dell’edificio che genera una gradevo- Come possiamo risparmiare energia senza rinunciare al confort di avere una casa fresca durante le calde giornate estive?

C U R I O S I T À

e di tapparelle.

Quanto consuma Quanto consuma un condizionatore un condizionatore dell’aria? dell’aria?

Un condizionatore in grado di rinfrescare una stanza di circa 20m , in funzione per 6 ore al giorno per quattro mesi all’anno, consuma circa 560kWh ed emette circa 340kg di CO2 .

La presenza di vegetazione intorno alla casa fornisce ombra e regola la temperatura, quindi dove è possibile mettiamo alberi e pergolati, e piante rampicanti sulle pareti esposte al sole.

Si riducono, in questo modo, fino al 50% i consumi di energia per il raffrescamento estivo e di conseguenza, senza rinunciare al confort di avere una casa fresca, si avrà una bolletta elettrica più leggera e si contribuirà alla salvaguardia dell’ambiente.

Spesso questi accorgimenti bastano a garantire una temperatura adeguata ma se decidiamo di dotare la nostra abitazione di un condizionatore dell’aria acquistiamo un apparecchio ad alta efficienza energetica, un condizionatore classe A consuma oltre il 30% di energia in meno di uno classe C.

Inoltre, molto importante ai fini dei consumi energetici è il corretto dimensionamento dell’impianto.

Ricordiamo che un impianto sotto o sovradimensionato porta o a non avere abbastanza fresco in casa o ad avere un consumo di energia maggiore del previsto.

Quindi prima dell’acquisto rivolgiamoci ad un tecnico specializzato, magari lo stesso che poi eseguirà l’installazione. le sensazione di benessere.

ii I N F O R M A Z I O N I

Il certificato energetico degli edifici

Risparmiare energia nelle abitazioni è diventato un obbligo di legge. Infatti, con il Decreto Legislativo n.192/2005 anche l’Italia ha recepito la Direttiva Europea 2002/91/CE che rende obbligatorio dal gennaio 2006 il rilascio del “certificato energetico” per tutte le nuove costruzioni e le ristrutturazioni di edifici superiori a 1.000m2.

Il certificato è simile all’etichetta energetica degli elettrodomestici, dà informazioni sull’effettivo consumo energetico dell’edificio, tenendo conto dell’isolamento termico, del sistema di riscaldamento, del sistema di condizionamento d’aria, della ventilazione naturale, del riscaldamento passivo, dell’illuminazione, nonché delle emissioni di CO2.

2 I CONDIZIONATORI DELl’ARIA: raffrescatori e pompe di calore

I condizionatori dell’aria si dividono in due grandi famiglie:

> pompe di calore

> raffrescatori

Le pompe di calore sono quegli apparecchi in grado sia di riscaldare che di raffrescare un ambiente.

Mentre i raffrescatori, come dice la parola stessa, sono apparecchi che raffrescano il locale dove vengono installati. Entrambi vengono comunemente chiamati “condizionatori”.

I condizionatori si differenziano anche per il principio di funzionamento:

> ad assorbimento

> a compressione

Attualmente i condizionatori ad assorbimento, di cui non tratteremo, si trovano in commercio solo di media e grande taglia, adatti cioè a condizionare l’aria di locali di grandi dimensioni come ristoranti, fabbriche e centri commerciali.

Mentre i condizionatori a compressione sono quelli che più comunemente troviamo in commercio e che installiamo nelle nostre case.

ii Come funziona un condizionatore a compressione

I N F O R M A Z I O N I

Il principio di funzionamento di un condizionatore è lo stesso di quell’elettrodomestico che si trova in tutte le nostre case: il frigorifero.

Sfruttando le proprietà che hanno particolari gas si riesce ad asportare calore da un ambiente, la cella frigorifera o la nostra camera da letto, per cederlo ad un altro ambiente; nel caso del frigorifero il calore è ceduto alla cucina e nel caso del condizionatore all’ambiente esterno.

Il condizionatore è costituito da due parti collegate tra loro da tubi di rame, dove circola un fluido refrigerante, e da cavi elettrici. La parte che “cede il freddo” è costituita da uno scambiatore di calore, l’evaporatore, e da un ventilatore. La parte che “genera il freddo” è costituita da un compressore, uno scambiatore di calore, il condensatore, e un ventilatore.

Il compressore (A) comprime il fluido refrigerante a circa 20bar (che è una pressione dieci volte superiore a quella dei pneumatici delle automobili) e gli fa raggiungere la temperatura di circa 80°C. A questa temperatura il gas arriva al condensatore esterno (B) e cede parte del suo calore all’aria aiutato dal ventilatore. Il gas, quindi, si raffredda e diventa liquido e viene costretto a passare attraverso un piccolo foro (C). Attraversato questo foro il liquido ritorna in parte allo stato gassoso e si raffredda scendendo a circa 5°C. Il gas passa poi all’evaporatore (D) posto all’interno dell’ambiente e aiutato dal suo ventilatore cede il freddo all’aria. A questo punto il gas tornerà al compressore pronto a iniziare un nuovo ciclo.

3 I CONDIZIONATORI: MOBILI E FISSI

In commercio troviamo una vasta gamma di condizionatori d’aria. Possono essere mobili o fissi, e per entrambi troviamo la versione monoblocco o split. Ma entriamo nel dettaglio.

I CONDIZIONATORI MOBILI

I condizionatori mobili e quindi “portatili” sono sicuramente i più pratici: anche se costano più dei fissi, non hanno bisogno di essere installati da personale specializzato, non richiedono interventi di muratura e soprattutto possono essere utilizzati dove se ne sente l’esigenza, spostandoli da una stanza all’altra o addirittura da un appartamento all’altro.

Nella scelta dei condizionatori portatili ci si può orientare su due tipi diversi di apparecchi, i monoblocco e gli split.

I monoblocco sono costituiti da una sola unità che racchiude il circuito frigorifero, il compressore e la ventola. (figura A)

Ne esistono di due tipi: rispettivamente con uno o con due tubi flessibili di circa 10cm di diametro, che servono a trasportare l’aria e che possono essere posizionati tra i battenti socchiusi di una finestra.

I primi hanno il grande inconveniente di utilizzare l’aria della stessa stanza condizionata per operare il raffrescamento. Così facendo si attira altra aria calda dalle stanze circostanti con il risultato di non riuscire a raggiungere un livello di confort accettabile.

I secondi invece, utilizzando l’aria esterna per il raffreddamento ottengono prestazioni notevolmente migliori. I condizionatori portatili sono montati su ruote, sono quindi facilmente trasportabili da un locale all’altro, e per farli funzionare è sufficiente attaccarli alla presa di corrente. Riescono a refrigerare locali di piccole dimensioni e hanno lo svantaggio di essere rumorosi in quanto il motore si trova all’interno del locale.

Gli split hanno invece l’unità interna montata su ruote e un’unità esterna che deve essere sistemata all’esterno del locale, sul balcone o sotto la finestra fissata con cinghie elastiche. (figura B)

Anche questi modelli non necessitano di alcuna installazione da parte di tecnici specializzati perché il collegamento tra le due unità è costituito da un tubo flessibile di circa 5cm di diametro che contiene i tubi per il gas e i collegamenti elettrici. Questo tubo può essere fatto passare tra i battenti socchiusi di una finestra. Sono più silenziosi dei monoblocco in quanto uno dei ventilatori è sistemato all’esterno.

A meno che non vengano praticati fori sul vetro o sulla parete, sia i monoblocco che gli split hanno lo svantaggio di aver bisogno di una finestra sempre socchiusa per consentire il passaggio dei tubi, e in questo modo un po’ di aria calda e un po’ di umidità esterni entrano nell’ambiente climatizzato. Ma restano comunque un’ottima soluzione per chi non vuole fare lavori di muratura.

I CONDIZIONATORI FISSI

Sono apparecchi che vengono fissati a parete. Possono essere monoblocco se costituiti da una sola unità (figura C) o split se costituiti da due parti, una esterna e una interna all’abitazione. (figura D)

Sono più efficienti, meno rumorosi e meno costosi di quelli mobili.

l’installazione deve essere effettuata da personale specializzato in quanto sono dotati di tubazioni che devono essere collegate a regola d’arte per evitare perdite di liquido refrigerante.

Cavi elettrici e tubazioni vengono fatti passare attraverso la parete.

l’unità interna può essere del tipo:

> a parete (figura E)

> a cassetta nella versione installabile a soffitto o a pavimento (figure F1 e F2)

> a canalizzazione (figura G)

Ne esistono anche del tipo multi-split, in cui una sola unità esterna può alimentare due o tre elementi interni. (figura H)

In commercio troviamo split di potenza uguale o maggiore dei monoblocco, ed è per questo che nei locali piuttosto ampi generalmente vengono installati i modelli split.

Alcuni condizionatori d’aria hanno una doppia funzione: azionando un semplice interruttore invertono il ciclo di funzionamento e d’inverno possono riscaldare il locale dove vengono installati.

La pompa di calore riesce a trasformare il calore a bassa temperatura contenuto dell’ambiente esterno in calore ad alta temperatura da cedere ai locali da riscaldare.

Il calore può essere ceduto all’ambiente attraverso:

C U R I O S I T À

Risparmio energetico

Una pompa di calore consuma il 67% in meno di energica elettrica rispetto ad un radiatore elettrico tradizionale.

Naturalmente se fatta funzionare in condizioni ottimali, 7°C di temperatura esterna e 20°C di temperatura interna.

> Ventilconvettori, armadietti che contengono tubazioni nelle quali circola l’acqua riscaldata dalla pompa di calore, e ventilatori che inviano l’aria riscaldata nel locale.

> Serpentine inserite nel pavimento, nelle quali circola l’acqua riscaldata dalla pompa di calore.

> Canalizzazioni, che trasferiscono direttamente il calore prodotto dalla pompa di calore ai diversi locali mediante aria in circolazione forzata.

La sorgente fredda

Il mezzo esterno da cui la pompa di calore estrae calore è detto “sorgente fredda”.

Le principali sorgenti fredde sono:

> Aria: esterna al locale dove è installata la pompa di calore oppure estratta dal locale stesso.

> Acqua: di falda, di fiume, di lago quando questa è presente in prossimità dei locali da riscaldare e a profondità ridotta, o accumulata in serbatoi e riscaldata dal sole.

> Terreno nel quale vengono inserite delle apposite tubazioni per lo scambio termico.

I N F O R M A Z I O N I

Il pozzo caldo

l’aria o l’acqua da riscaldare sono detti “pozzo caldo”.

La pompa di calore cede al pozzo caldo sia il calore prelevato dalla sorgente fredda che l’energia fornita per far funzionare la macchina.

ii Come funziona una pompa di calore

Nell’aria, nell’acqua e nel suolo sono immagazzinate enormi quantità di energia, che si rinnovano continuamente grazie al calore terrestre, alla radiazione solare e alle precipitazioni atmosferiche. Con l’aiuto di un compressore, la pompa di calore può portare questa energia a una temperatura tale da renderla utilizzabile a scopo di riscaldamento.

La pompa di calore è costituita da un circuito chiuso, costituito da un compressore, un condensatore, una valvola di espansione e un evaporatore, nel quale circola un fluido frigorigeno come R-134a, R125, R-507, NH3, CO2, ecc.

Il ciclo di funzionamento è esattamente il contrario di quello di un frigorifero.

Con la compressione (A) il fluido aumenta di pressione e temperatura. Il fluido così riscaldato attraversa uno scambiatore di calore (il condensatore) (B). È in questa fase che il fluido cede calore al pozzo caldo passando dallo stato vapore a quello liquido. Il fluido liquefatto e raffreddato attraversa una valvola di espansione (C) da cui ne esce ad una pressione e temperatura molto più bassa. A questo punto il fluido che si trova a temperature molto basse è in grado di assorbire il calore dalla sorgente fredda. Questo avviene nell’evaporatore (D) dove il fluido assorbendo calore passa dallo stato liquido a quello vapore.

A questo punto il fluido è pronto a ricominciare il ciclo passando nel compressore.

APPLICAZIONI DELLA POMPA DI CALORE

La pompa di calore può essere utilizzata sia per climatizzare gli ambienti che per riscaldare l’acqua sanitaria.

Climatizzazione degli ambienti

l’uso della pompa di calore per climatizzare gli ambienti sia nel settore residenziale che nel terziario è ormai largamente diffuso. Essa viene utilizzata in alternativa ai sistemi convenzionali composti da un impianto refrigerante ed uno di riscaldamento.

Riscaldamento dell’acqua sanitaria

La pompa di calore può essere utilizzata anche per riscaldare l’acqua sanitaria. In questo caso sono però necessari serbatoi di accumulo più grandi di quelli impiegati nei scaldacqua elettrici o a gas in quanto la temperatura dell’acqua prodotta non supera i 55°C.

LE DIVERSE POMPE DI CALORE

Le pompe di calore si distinguono in base alla sorgente fredda e al pozzo caldo che utilizzano. Le più diffuse sono quelle Aria-acqua ma ne esistono anche del tipo:

> Aria-aria

> Acqua-acqua

> Terra-acqua

l’aria come sorgente fredda ha il vantaggio di essere disponibile ovunque; tuttavia la potenza resa dalla pompa di calore diminuisce al diminuire della temperatura della sorgente. Ricordiamo che al di sotto dei 2°C il rendimento della pompa di calore è minimo.

Più vantaggioso è l’impiego, come sorgente fredda, dell’aria interna al locale da riscaldare in quanto si trova ad una temperatura più alta di quella esterna.

Inoltre, essendo aria viziata deve essere comunque rinnovata.

ARIA-ACQUA ACQUA-ACQUA

l’acqua come sorgente fredda garantisce le prestazioni della pompa di calore senza risentire delle condizioni climatiche esterne; tuttavia richiede un costo addizionale per le tubazioni.

Il terreno come sorgente fredda ha il vantaggio di subire minori sbalzi di temperatura rispetto all’aria.

Le tubazioni, se posizionate orizzontalmente, vanno interrate ad una profondità minima da 1m a 1,5m per non risentire troppo delle variazioni di temperatura dell’aria esterna, ed è necessaria una ampia estensione di terreno, da 2 a 3 volte superiore alla superficie dei locali da riscaldare.

Se invece le tubazioni vengono posizionate in modo verticale, bisogna scendere a profondità di decine di metri. In entrambi i casi si tratta però di una soluzione costosa.

TERRA-ACQUA I N F O R M A Z I O N I

ii Agevolazioni fiscali e DIA

I privati che decidono di installare una pompa di calore possono avvalersi di alcune agevolazioni fiscali concesse dallo Stato. In particolare della “detrazione IRPEF del 36%” e dell’IVA agevolata al 10% sulla manodopera e sul pari importo dei beni significativi.

Prima di installare un condizionatore del tipo split, che prevede il montaggio di una parte esterna al locale da condizionare è obbligatorio presentare la DIA (Denuncia di

Questo documento preparato con l’aiuto di un tecnico iscritto all’albo (geometra, ingetende procedere ad una ristrutturazione (anche parziale come è quella di installare una Il Comune ha tempo un mese per inviare una visita ispettiva di controllo e quindi per pro- Inizio Attività) al Comune di appartenenza.

gnere, architetto) rappresenta l’atto formale con cui si comunica al Comune che si inpompa di calore).

nunciarsi in merito.

Vale comunque la regola del silenzio assenso e se dopo un mese nessuno contesta ciò che si è comunicato attraverso la DIA, si può procedere ai lavori senza ulteriori preoccupazioni.

LE DIVERSE TAGLIE DELLA POMPA DI CALORE

Anche le pompe di calore esistono nei modelli monoblocco e nei modelli split e multisplit. Se ne trovano di piccola potenza (fino a circa 2kW), media (da 10 a 20kW) e grande potenza (oltre 20kW) in modo da soddisfare ogni tipo di richiesta. Le prime vengono installate in stanze singole, le seconde riescono a servire più locali, e le ultime sono grossi impianti adatti a servire più appartamenti, uffici o esercizi commerciali.

EFFICIENZA DELLA POMPA DI CALORE

l’efficienza di una pompa di calore, nel funzionamento a freddo è misurata dall’Indice di Efficienza Elettrica EER (Energy Efficiency Ratio), mentre nel funzionamento a caldo è misurata dal Coefficiente di Resa COP (Coefficient Of Performance) che è il rapporto tra l’energia prodotta (calore ceduto all’ambiente da riscaldare) e l’energia elettrica consumata per far funzionare la macchina.

Sia l’EER che il COP sono mediamente prossimi al valore 3. Questo significa che per un kWh di energia elettrica consumato, la pompa di calore cederà 3kWh d’energia termica all’ambiente da riscaldare; uno di questi è fornito dall’energia elettrica consumata e gli altri due sono prelevati dall’ambiente esterno. Tenendo conto che l’energia prelevata dall’ambiente esterno è gratuita, e che l’energia elettrica è prodotta, mediamente, con un rendimento del 36%, possiamo dire che il rendimento complessivo della pompa di calore è di circa il 110%. Questo valore è sensibilmente più alto dei migliori impianti a caldaia tradizionale che hanno rendimenti intorno al 90%.

l’EER e il COP saranno tanto maggiori quanto minore è la differenza di temperatura tra l’ambiente da riscaldare e la sorgente di calore. Essi hanno valori prossimi a 3 quando viene utilizzata aria esterna a temperature non inferiori ai 7°C. Al di sotto dei 2°C le prestazioni della pompa di calore decadono significativamente.

5 LA TECNOLOGIA INVERTER

l’inverter è un dispositivo elettronico di cui sono dotati alcuni condizionatori.

Questo dispositivo permette di modulare la potenza erogata dalla macchina in maniera proporzionale alla effettiva richiesta di ¡°freddo¡± o di ¡°caldo¡±.

Quando nell’ambiente si è raggiunta la temperatura impostata, entra in funzione l’inverter che anzich¨¦ spegnere la macchina ne riduce la potenza diminuendo il numero di giri del compressore.

In questo modo vengono eliminati i continui ¡°attacca e stacca¡± del motore riuscendo a mantenere costante la temperatura dell’ambiente che così varierà solo di circa 0,5°C rispetto a quella impostata, contro i 2°C dei classici condizionatori on/off.

Rispetto a un normale condizionatore, che supponiamo in funzione per otto ore al giorno, il condizionatore dotato di inverter consuma circa il 30% di energia elettrica in meno.

In alcuni condizionatori dotati di tecnologia inverter troviamo le sigle DC, PAM, e PWM che stanno a significare:

DC Direct Current

Il climatizzatore funziona completamente a corrente continua. Questo fa sì che l’unità interna sia pi¨´ silenziosa ed efficiente.

PAM Pulse Amplitude Modulation

¨¨ una funzione che fa sì che la variazione della potenza avvenga velocemente. Consente di raggiungere la temperatura impostata rapidamente.

PWM Pulse With Modulation

¨¨ una funzione che interviene dopo la PAM e mantiene la temperatura impostata facendo funzionare il compressore alla minima velocità possibile e in maniera costante.

QUANDO SCEGLIERE LA POMPA DI CALORE

Nella scelta della pompa di calore occorre considerare le caratteristiche climatiche del luogo dove deve essere installata. Queste hanno importanza soprattutto qualora la sorgente fredda sia l’aria esterna; infatti, in zone in cui l’inverno è molto freddo non conviene installare una pompa di calore in quanto, a causa della formazione di brina sull’evaporatore, il rendimento sarebbe veramente troppo basso.

Inoltre, conviene installare una pompa di calore quando il locale da climatizzare è sufficientemente piccolo (con un’area fino a circa 50m2) da non richiedere il cambio del contratto di fornitura elettrica.

LA POMPA DI CALORE

6 ALTRE FUNZIONI DEI CONDIZIONATORI

I condizionatori non solo rinfrescano, ma anche deumidificano e purificano l’ambiente.

LA DEUMIDIFICAZIONE

Come è noto la sensazione di disagio che proviamo in una calda giornata estiva è dovuta soprattutto al tasso di umidità che limita la traspirazione della pelle.

Il condizionatore svolge anche un’azione di deumidificazione dell’aria.

Infatti, quando l’aria passa attraverso lo scambiatore per raffreddarsi, l’umidità in essa contenuta si deposita sotto forma di goccioline di condensa.

Queste goccioline cadono nella vaschetta dello scarico della condensa e l’acqua così raccolta viene allontanata dal locale attraverso un tubo, mentre l’aria esce dallo scambiatore ben asciutta.

LA PURIFICAZIONE

I moderni condizionatori sono accessoriati di filtri in grado di purificare l’aria da smog, polline e polvere. Naturalmente bisogna pulirli spesso e sostituirli periodicamente poiché durante il funzionamento si intasano anche di spore, batteri e muffe che possono provocare allergie e altre conseguenze. I modelli più recenti hanno filtri anche con un’azione antibatterica.

La quantità d’aria che un apparecchio può trattare è espressa in metricubi di aria per ora (m3/h).

Questo consente di calcolare quante volte l’aria presente in una data stanza viene filtrata e deumidificata.

Ad esempio, se un apparecchio che ha come portata d’aria 360m3/h viene posizionato in una stanza da 12m3, l’aria, in un ora, passa 30 volte attraverso l’apparecchio.

Se invece, il condizionatore ha la portata di 240m3/h, l’aria passerà 20 volte in un’ora.

Le macchine più efficienti sono ovviamente quelle nelle quali l’aria viene filtrata il maggior numero di volte nel giro di un’ora.

C U R I O S I T

Durante le calde giornate estive il caldo si fa sentire maggiormente quando è accompagnato da alti livelli di umidità dell’aria. C’è una differenza tra la temperatura reale e quella apparente.

Ad un esempio: se la temperatura reale è di 33°C e il tasso di umidità è al 60%, noi percepiamo una temperatura di 38°C.

7 LA POTENZA DI UN CONDIZIONATORE DELl’ARIA

La potenza refrigerante di un condizionatore viene espressa in Btu/h (British thermal unit per hour). Il Btu/h indica la capacità di un apparecchio di cedere o assorbire il calore in un’ora. Questo è il dato fondamentale da valutare al momento dell’acquisto.

Più un condizionatore è potente, più è efficace. Ma ai fini della resa sono importanti anche l’ampiezza dei locali, la superficie finestrata e l’esposizione.

Una macchina sottodimensionata può rivelarsi poco conveniente perché per raggiungere la temperatura desiderata starà continuamente in funzione con la conseguenza di consumi elettrici elevati e di un più rapido deterioramento.

Al contrario una macchina sovradimensionata è incapace di deumidificare l’ambiente perché raggiunge la temperatura impostata troppo velocemente senza eliminare tutta l’umidità, con il risultato di percepire quella sgradevole sensazione di freddo umido sulla pelle che fa spesso incorrere a raffreddori e mal di gola.

Per gli apparecchi monoblocco la potenza refrigerante è compresa in media tra 7.000 e 9.000Btu/h, mentre per i mono split si hanno modelli anche di 14.000Btu/h.

La potenza può essere espressa anche in altre unià, il Watt e la chilocaloria all’ora detta anche chilofrigoria all’ora = 3,4 Btu/h 1W 1 kcal/h = 4 Btu/h 1 kfrig/h = 4 Btu/h

CALCOLO DELLA POTENZA NECESSARIA

Il calcolo qui descritto è solo un esempio generico, ma indicativo del fabbisogno di “freddo” e di “caldo” dell’ambiente che avete deciso di climatizzare. Ricordate che ogni camera ha bisogno di un punto di emissione del freddo, proprio come fanno i termosifoni per il caldo. Inoltre, più ambienti volete climatizzare in uno stesso appartamento più avete bisogno di potenza rinfrescante totale e quindi più alta deve essere la potenza elettrica disponibile al contatore, che generalmente nelle nostre case è di 3kW.

Esempio di calcolo della potenza termica o frigorifera, espressa in W, necessaria per condizionare una stanza K x l1 x l2 x h = W l1 = primo lato della stanza espresso in metri (es. 3,5) l2 = secondo lato della stanza espresso in metri (es. 5,5) h = altezza della stanza espresso in metri (es. 2,7) K = costante h l2

Il fattore K per il freddo è uguale a 25 per il caldo è 35. Questi sono valori teorici, quindi se avete nell’ambiente un solaio o una parete isolata male, oppure una finestra molto grande, aumentate tale valore di una, due o tre unità.

Il risultato ottenuto, seppure abbastanza verosimile, è da considerarsi solamente indicativo. È solo l’installatore esperto che, dopo aver fatto un sopralluogo tecnico, può determinare l’effettivo fabbisogno frigorifero o termico di un ambiente e il miglior tipo di impianto da realizzare. l1 8 COME SCEGLIERE

Sul mercato troverete un’ampia varietà di marche e modelli disponibili.

Naturalmente vi consigliamo di affidarvi ad un installatore o venditore di fiducia che saprà certamente consigliarvi l’apparecchio che fa per voi.

Comunque i parametri e le caratteristiche che consentono di valutare la qualità di un climatizzatore sono:

> Le Classi di efficienza energetica a freddo e in pompa di calore Indicano il consumo elettrico dell’apparecchio. Sono riportate sull’etichetta energetica divenuta, per i condizionatori, obbligatoria dal 2004.

> EER Indice di efficienza elettrica.

> I marchi Più marchi di sicurezza e di qualità ha la macchina e il produttore che scegliete (Eurovent, ISO9001, ISO14001, CE, ecc.) e più tendenzialmente costa, ma per voi 9 è una garanzia di qualità.

> La capacità di raffreddamento È espressa in Btu/h o in kW. Più questi valori sono alti, più l’impianto è potente.

> Il consumo energetico Ad una maggiore capacità di raffreddamento corrisponde un maggiore consumo energetico. Indicativamente l’utilizzo di uno split fisso porta ad un consumo annuo di circa 560 kWh.

> La rumorosità I climatizzatori portatili sono più rumorosi di quelli fissi.

> I fluidi refrigeranti Fate attenzione a non acquistare apparecchi che tra qualche anno saranno fuori legge. Devono contenere solo R134, R407C e R410A.

> La tecnologia inverter Quando l’ambiente raggiunge la temperatura programmata gli apparecchi dotati di questa funzione non si spengono, ma continuano a funzionare per tenerla stabile riducendo al minimo la potenza del motore. Lo scopo è risparmiare l’energia elettrica necessaria alla riaccensione ed evitare variazioni di temperatura nell’ambiente.

> Il timer e termostato digitali Permettono di programmare l’accensione e lo spegnimento dell’apparecchio anche in orari in cui non siete presenti.

I CONSUMI

Quando decidiamo di climatizzare il nostro appartamento dobbiamo tener conto dei consumi degli apparecchi e fare in modo di avere la potenza elettrica di cui necessitano.

REGISTERED

In molte abitazioni la potenza elettrica disponibile è di circa 3kW. Mediamente per condizionare una camera da letto occorre un apparecchio di circa 0,9kW di potenza. Se vogliamo raffrescare due ambienti il consumo salirà al doppio: circa 1,8kW. Rimane quindi ancora potenza per l’asciuga capelli, il forno, il ferro da stiro, ecc. Ma se se ne vuole installare un terzo, il contatore scatterà continuamente e bisognerà provvedere a far aumentare la potenza elettrica disponibile nella nostra abitazione fino a 4,5kW o più. Il condizionatore inverter limita in parte questo problema. All’inizio assorbe anch’esso i 0,9kW ma poi una volta raggiunta la temperatura riesce a mantenerla riducendo la potenza del motore a valori molto inferiori.

Un corretto dimensionamento dell’impianto, la scelta di apparecchi di classe energetica elevata, una corretta installazione lontano da ostacoli e fonti di calore e una adeguata manutenzione sono le accortezze necessarie per ridurre al minimo i consumi di energia.

Ricordiamo che anche con questi apparecchi è possibile risparmiare energia.

9 DOVE E COME POSIZIONARE IL CONDIZIONATORE

> Come abbiamo già detto ogni stanza ha bisogno del suo apparecchio.

Non è corretto installare un condizionatore potente nel corridoio nella speranza che rinfreschi tutte le camere. l’unico risultato sarà quello di prendere colpi di freddo ogni volta che andrete da una stanza all’altra passando per il corridoio, perché sarà l’unico locale ad essere rinfrescato.

Per sfruttare al massimo le potenzialità dell’apparecchio che avete acquistato è necessario posizionarlo in modo adeguato.

C U R I O S I T

Risparmio economico e beneficio ambientale

l’acquisto di un condizionatore di classe energetica alta, comporta sì una maggiore spesa iniziale, ma anche in un risparmio sulla bolletta elettrica e una riduzione delle emissioni di CO2 .

Per esempio, l’acquisto di un condizionatore di efficienza energetica classe A rispetto a uno di classe C permette di risparmiare circa il 30% annuo sui consumi di elettricità e quindi di ridurre del 30% anche le emissioni di CO2.

Nella tabella, rportiamo per classe di efficienza energetica i consumi di energia elettrica di un condizionatore split da circa 6 kW, capace di raffreddare 2 o 3 stanze per un totale di 40 m2 , utilizzato per 8 ore al giorno nei tre mesi estivi. I minori consumi di energia elettrica di un modello classe A rispetto a un modello classe B fanno recuperare il maggior costo iniziale in circa tre anni.

> Non esponete l’apparecchio ai raggi diretti del sole. Posizionatelo in modo tale da non essere investito in modo diretto dai raggi del sole che penetrano dalle finestre.

> Al fine di evitare la “fuga” del fresco evitate di lasciare porte e finestre aperte nei locali climatizzati.

> l’aria fredda tende ad accumularsi nella parte bassa dell’ambiente, per cui dove è possibile posizionate il condizionatore nella parte alta della parete.

> Non posizionate l’apparecchio dietro divani o tende poiché costituiscono una barriera alla diffusione dell’aria.

QUALCHE CONSIGLIO

> Non raffreddate troppo l’ambiente: subire numerosi e forti sbalzi di temperatura non fa bene alla salutare.

> Spegnete il climatizzatore della stanza da letto prima andare a dormire. Durante la notte la temperatura si alzerà leggermente seguendo le esigenze fisiologiche di benessere.

> Fate una corretta manutenzione dell’impianto. Ricordatevi che nei filtri si annidano facilmente muffe e batteri dannosi per la salute. Quindi la loro pulizia deve essere fatta regolarmente, almeno ogni due settimane. E comunque è importantissimo eseguire questa operazione ad inizio stagione prima della prima accensione.

Generalmente i filtri sono facilmente raggiungibili. Rimuoveteli, lavateli con del detersivo, lasciateli asciugare e quindi rimetteteli al loro posto. Quando vi accorgete che si stanno deteriorando sostituiteli. Una corretta manutenzione dei filtri farà funzionare sempre al meglio la macchina e vi farà godere di un’aria sempre pulita.

Chiedete di quale manutenzione periodica ha bisogno il climatizzatore che acquistate, e se non siete in grado di eseguirla da voi chiedete un servizio di manutenzione programmata a pagamento.

Ricordiamo che il gas circola in un circuito chiuso quindi, in assenza di perdite, l’impianto non va mai ricaricato.

Per garantire l’assenza di perdite dal circuito del gas refrigerante è necessaria una corretta e attenta installazione dei tubi che collegano la parte interna con l’unità esterna nei modelli split.

10 I CONDIZIONATORI E l’AMBIENTE

Come per ogni elettrodomestico, anche il funzionamento di un condizionatore dell’aria ha ricadute sull’ambiente. In particolare, l’utilizzo di un condizionatore contribuisce a danneggiare lo strato dell’ozono e ad aumentare l’effetto serra del pianeta.

A danneggiare lo strato di ozono stratosferico sono alcune sostanze utilizzate come fluidi refrigeranti, in particolare i clorofluorocarburi (CFC) e gli idroclorofluorocarburi (HCFC o R22). Per ovviare a questo inconveniente questi fluidi sono stati sostituiti con liquidi sintetici di nuova concezione, come R407C e R410A.

C U R I O S I T

Lo strato d’ozono Lo strato d’ozono

E la concentrazione naturale di particelle di ozono nella stratosfera terrestre (la parte più alta dell’atmosfera). Si parla di strato poiché questa concentrazione si estende dai 15.000 ai 35.000 metri di altezza dal suolo. La sua presenza è vitale per la vita sul nostro pianeta poiché ha il ruolo di “filtro” dei raggi ultravioletti, i quali altrimenti provocherebbero il surriscaldamento della superficie terrestre.

Il buco dell’ozono

È la riduzione dello strato d’ozono dovuta all’immissione nella stratosfera di grandi quantità di sostanze che “bruciano” le particelle di ozono. Questa azione distruttiva impedisce l’azione di filtro propria dell’ozono stesso.

l’effetto serra l’effetto serra

l’effetto serra è quel fenomeno naturale che garantisce che sulla superficie della Terra la temperatura mantenga i valori ottimali per l’evoluzione della vita.

La terra assorbe i raggi del sole e li riemette verso l’alto sotto forma di energia termica.

Una parte di questa energia termica viene assorbita dalle molecole di vapore acqueo ed anidride carbonica, che intrappolano in questo modo, come i vetri di una serra, il calore proveniente dal sole. Senza l’effetto serra la Terra sarebbe molto più fredda (avrebbe una temperatura media di circa 30°C inferiore a quella attuale che è di 15°C).

La quantità di anidride carbonica ottimale è garantita dalla presenza di piante verdi, in particolare dalle grandi foreste, e attraverso l’assorbimento da parte degli oceani.

l’uomo con le sue attività ha alterato questo equilibrio. Gli impianti di produzione di energia e la deforestazione incontrollata provocano un amento di anidride carbonica in atmosfera e quindi un conseguente aumento del naturale effetto serra. l’aumento dell’effetto serra porta ad un riscaldamento del pianeta e a possibili mutamenti climatici, con effetti quali la desertificazione, lo scioglimento dei ghiacciai e l’aumento del livello de mare.

Esistono anche altri gas in grado di aumentare il naturale effetto serra del pianeta, il metano (CH4 ), il protossido di azoto (N2 O), i clorofluorocarburi (CFC) e gli halons provenienti da alcune produzioni industriali, dagli allevamenti, dalle coltivazioni, dalle discariche, ecc.

Dall’epoca della rivoluzione industriale, il contenuto di anidride carbonica nell’atmosfera è del 30% più elevato, il metano del 145%.

Le normative dell’UE hanno vietato a partire dal gennaio 2004 la produzione di apparecchi che impiegano il freon R22 come refrigerante, e a partire dal 2010 la loro commercializzazione.

Non fatevi quindi attrarre da offerte speciali applicate a prodotti che nel giro di pochi anni saranno fuori legge.

La prima limitazione per i fluidi da impiegare nei condizionatori risale al 1995: allora furono abbandonati i clorofluorocarburi (CFC) dotati di alto potere di distruzione dell’ozono, e sostituiti dai HCFC (R22). Essendo però anche questi gas dannosi per l’ambiente sono stati studiati nuovi fluidi refrigeranti, gas sintetici di produzione industriale come R407C e l’uso dei condizionatori contribuisce all’aumento dell’effetto serra per due motivi: il primo è che funzionano alimentati con energia elettrica.

Una larga diffusione di questi apparecchi richiede un aumento della produzione di energia elettrica che come è noto viene prodotta principalmente a partire da fonti fossili, quindi, con produzione di gas ad effetto serra. Consideriamo che ogni apparecchio in funzione emette circa 17kg di CO2 l’anno per ogni metro quadrato raffreddato.

Il secondo motivo è che per il loro principio di funzionamento asportano calore dal locale da rinfrescare e lo cedono all’esterno aumentando la sua temperatura, con il risultato che “riscaldano l’atmosfera”. Consideriamo che la temperatura dell’aria in uscita dall’evaporatore oscilla tra i 13°C e i 15°C, mentre la temperatura espulsa all’esterno raggiunge i 45°C. R410A.

11 EFFETTI SULLA SALUTE

Se c’è un luogo comune da sfatare, è quello secondo cui “l’aria condizionata fa male alla salute”.

Per non rischiare raffreddori o torcicollo, i climatizzatori vanno usati correttamente.

Bisogna soprattutto evitare un divario eccessivo tra il caldo fuori e il fresco al chiuso.

In estate una temperatura di 27°C con un grado di umidità relativa compreso tra il 40 e il 60% è ideale. Questa condizione è perfettamente raggiungibile con i nuovi modelli di condizionatori.

Comunque, è consigliabile che la differenza fra la temperatura esterna e quella interna non superi i 5-7°C, oltre si rischia.

Inoltre i moderni climatizzatori sono accessoriati di filtri in grado di purificare l’aria da smog, polline, polvere e quanto altro.

Risparmiare energia e proteggere l’ambiente.

Glossario Energia

….

Acquirente Unico (AU): Società per azioni, senza fini di lucro costituita dal Gestore della Rete di Trasmissione Nazionale (GRTN), le cui attività sono esercitate in osservanza delle direttive impartite dal Ministero dell’Industria, del Commercio e dell’Artigianato. Il suo compito principale è quello di garantire la disponibilità d'energia elettrica, in condizioni di continuità, sicurezza ed efficienza del servizio, a tutti i clienti vincolati, ovverosia quei clienti che non hanno la possibilità di accedere al mercato libero e scegliere liberamente il proprio fornitore d'energia elettrica.

Alta Tensione (AT): Tensione nominale tra le fasi superiore a 35 kV e uguale o inferiore a 150 kV.

Altissima tensione(AAT): Tensione nominale tra le fasi superiore a 150 kV.

Autoproduttori: Persone fisiche o giuridiche che producono energia elettrica e la utilizzano in misura non inferiore al 70% per la copertura del proprio fabbisogno.

Autorità per l’Energia Elettrica ed il Gas (AEEG): Organismo indipendente, istituito in Italia con la Legge del 14 novembre 1995 n. 481, con funzioni di regolazione e di controllo dei servizi pubblici nei settori dell’energia elettrica e del gas. Sito www.autorità.energia.it. Il Decreto Bersani ha inoltre attribuito a tale organismo compiti specifici, attinenti l’ambito del mercato libero, tra cui quello di fissare le condizioni tecnico-economiche di accesso alla rete di trasmissione nazionale, risolvendo le possibili controversie in materia di diritto di accesso alla rete.

Bassa tensione: Tensione nominale tra le fasi non superiore a 1 kV.

Bilanciamento: Attività diretta a mantenere l’equilibrio tra immissioni e prelievi di energia elettrica sulla rete.

Borsa dell’Energia: Mercato all’ingrosso basato su un meccanismo di asta. La Borsa ha la funzione di mantenere l’equilibrio istantaneo tra la domanda e l’offerta di energia elettrica, nel modo più efficiente, favorendo la competizione.

Certificati verdi (REC - Renewable Energy Certificates): Sono stati introdotti dal Decreto Ministeriale 11 novembre 1999 per incentivare il mercato dell’energia da fonti rinnovabili, rappresentano la "certificazione" che un certo quantitativo di energia elettrica è prodotto da fonte rinnovabile. Dal 2001 tutti i soggetti che importano o producono energia elettrica da fonti non rinnovabili dovranno immettere in rete anche una quota prodotta da fonti rinnovabili. La quota è inizialmente stabilita nel 2% della produzione (o importazione) di energia eccedente i 100 GWh/anno.

Ciclo combinato: in un impianto di produzione di energia elettrica si intende per ciclo combinato l’accoppiamento della tecnologia che utilizza la turbina a gas con quella della turbina a vapore.

CIP/6: l’acronimo che contraddistingue il Provvedimento del Comitato Interministeriale Prezzi n. 6 del 1992, che stabilisce i prezzi con i quali i privati potevano vendere energia elettrica prodotta da fonte rinnovabile. Il meccanismo del CIP/6 verrà a regime sostituito dal Sistema dei Certificati Verdi , previsto dal Decreto Bersani.

Cliente finale: La persona fisica o giuridica che acquista energia elettrica esclusivamente per uso proprio.

Cliente grossista: Persona fisica o giuridica che acquista e vende energia elettrica senza esercitare attività di produzione, trasmissione o distribuzione nei paesi dell’Unione Europea.

Cliente idoneo (Cliente eligibile): Persona fisica o giuridica che ha la capacità, di stipulare contratti di fornitura con qualsiasi produttore, distributore o grossista sia in Italia sia all’estero, in riferimento alle soglie di consumo fissate dal Decreto Bersani.

Cliente vincolato: Persona fisica o giuridica che, non rientrando nella categoria dei clienti idonei, può stipulare contratti di fornitura esclusivamente con il distributore che esercita il servizio nell’area territoriale dove è localizzata l’utenza.

Cogenerazione: Produzione combinata di energia elettrica e calore.

Commodity: Beni o materie prime dalle caratteristiche standard e ben identificate.

Comuni contigui: Le aree nelle quali devono ubicarsi i siti delle singole imprese che compongono una società consortile. Nella norma tali aree sono comuni con territori confinanti.

Consorzio: gruppo di imprese, anche operanti in settori diversi ma ubicate nel medesimo comune o in comuni contigui, che aggregate raggiungono le soglie necessarie per la qualifica di cliente idoneo. Dal 1 gennaio 2002 la soglia minima di consumo annuale per entrare in un consorzio è di 1 GWh, mentre la soglia minima complessiva che configura un consorzio è di 9 Gwh. Le piccole imprese, che da sole non potrebbero accedere alla qualifica di cliente idoneo, attraverso il consorzio possono beneficiare del mercato libero, e quindi di condizioni di fornitura più convenienti, derivanti dalla maggiore capacità del consorzio di negoziazione nei confronti dei fornitori alternativi e dal miglioramento del profilo di consumo complessivo.

Contratto bilaterale fornitura: Contratto di fornitura di energia elettrica e servizi tra un soggetto produttore/grossista e un cliente idoneo nell’ambito del mercato libero.

Ct: Costo unitario variabile, riconosciuto per l’energia elettrica prodotta da impianti termoelettrici, che utilizzano combustibili fossili commerciali, bimestralmente pubblicato dall’Autorità per l’Energia.

Curve di carico: Serie temporale dei consumi di energia elettrica del sito del cliente. La risoluzione può essere su base ora o base quarto d’ora.

Decreto Bersani: Decreto legislativo n. 79 del 16 marzo 1999, entrato in vigore il 1° aprile 1999 che ha recito nell’ordinamento nazionale la direttiva Comunitaria 96/92/CE recante norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica e la liberalizzazione del mercato dell’elettricità.

Dispacciamento: Attività diretta ad impartire disposizioni per l’utilizzazione e l’esercizio coordinato degli impianti di produzione, della rete di trasmissione nazionale e dei servizi ausiliari, affidata in via esclusiva al Gestore della Rete di Trasmissione Nazionale (GRTN).

Dispositivo di interconnessione: Apparecchiatura per collegare le reti elettriche (es. interruttori, sezionatori)

Distributore: Il soggetto che svolge il servizio di distribuzione di energia elettrica sulla base di concessioni rilasciate dal Ministero dell’Industria, del Commercio e dell’Artigianato.

Distribuzione: Il trasporto e la trasformazione di energia elettrica su reti di distribuzione in media e bassa tensione per la consegna ai clienti finali.

Fascia oraria: Arco di tempo in cui si preleva energia, ore di punta (F1), ore di alto carico (F2), ore di medio carico (F3) e ore vuote (F4). Nel caso delle forniture a grandi utenze allacciate in alta o media tensione, è possibile accedere ad un sistema, definito multiorario, che prevede tariffe diverse per le varie ore. La suddivisione nell’arco giornaliero e settimanale delle cosiddette fasce è differente per le forniture in media tensione da quelle per tensione superiore.

Fonti energetiche rinnovabili: Categoria di fonti energetiche in cui rientrano il sole, il vento, le maree, il moto ondoso, l’energia idraulica, le risorse geotermiche e la trasformazione di prodotti vegetali o dei rifiuti organici e inorganici.

Fornitura: Azione esercitata da ogni entità che venda energia elettrica ai clienti, utilizzando le linee di trasmissione e/o di distribuzione, di un’azienda elettrica di distribuzione.

GenCo (Generation Companies): Impianti di generazione per una potenza istallata complessiva di 15.000 MW, che il Gruppo Enel è obbligato a dismettere entro il 2002.

Gestore della Rete di Trasmissione Nazionale (GRTN): Società per Azioni, interamente posseduta dal Ministero del Tesoro che è responsabile, in regime di concessione esclusiva, delle attività di trasmissione e dispacciamento dell’energia elettrica, nonché della gestione unificata della rete di trasmissione nazionale, al fine di garantire la sicurezza del sistema elettrico nazionale e la parità di trattamento per tutti gli operatori elettrici, indipendentemente dalla proprietà della rete stessa.

Grossista (operatori grossisti): Persona fisica o giuridica che acquista e vende energia elettrica senza esercitare attività di produzione, trasmissione o distribuzione nei paesi dell’Unione Europea.

kilowattora (kWh): Unità di misura dell’energia elettrica data dal prodotto di una potenza [kW] per un tempo in ore [h].

Mercato libero: Ambito in cui operano in regime di concorrenza produttori e grossisti di energia elettrica sia nazionali che esteri per fornire energia elettrica ai clienti idonei. E’ da sottolineare che in previsione del progressivo abbassamento delle soglie di idoneità per l’accesso al mercato libero, previsto dal Decreto Bersani, si verificherà un conseguente allargamento delle sue dimensioni e degli operatori attivi al suo interno.

Mercato libero: Ambito in cui operano in regime di concorrenza produttori e grossisti di energia elettrica sia nazionali che esteri per fornire energia elettrica ai clienti idonei. E’ da sottolineare che in previsione del progressivo abbassamento delle soglie di idoneità per l’accesso al mercato libero, previsto dal Decreto Bersani, si verificherà un conseguente allargamento delle sue dimensioni e degli operatori attivi al suo interno.

Mercato vincolato: Ambito del mercato dell’energia elettrica per la fornitura ai clienti finali che, non rientrando nella categoria dei clienti idonei, possono stipulare contratti esclusivamente con il distributore che presta il servizio nell’area territoriale dove è localizzata la loro utenza. Il prezzo di acquisto dell’energia elettrica, in questo contesto, è unico a livello nazionale ed è regolamentato dall’Autorità per l’Energia Elettrica e il Gas.

Opzione tariffaria: Insieme delle componenti tariffarie definite dagli esercenti (distributori) per la remunerazione dei servizi di trasporto, acquisto e vendita e misura dell’energia elettrica.

Produttore: La persona fisica o giuridica che produce energia elettrica indipendentemente dalla proprietà dell’impianto di produzione.

Produzione: La generazione di energia elettrica, comunque essa venga prodotta (fonti fossili, fonti idriche, fonti rinnovabili, energia nucleare).

Punto di consegna: Il punto in cui l’energia elettrica vettoriata viene immessa in rete.

Punto di riconsegna: Il punto in cui l’energia elettrica vettoriata viene prelevata dalla rete.

Rete elettrica: Complesso di reti di trasmissione e distribuzione collegate mediante uno o più dispositivi di interconnessione.

Scambio: La modalità di riconciliazione tra energia elettrica immessa ed energia elettrica prelevata, nel caso in cui l’immissione e il prelievo non avvengono simultaneamente.

Sistema elettrico nazionale: Il complesso degli impianti di produzione, delle reti di distribuzione e trasmissione, nonchè dei servizi ausiliari e dei dispositivi di interconnessione e dispacciamento ubicati sul territorio nazionale.

Sito: Insieme dei punti di consegna e/o riconsegna che insistono su un'area, nella disponibilità di un unico soggetto (persona fisica o giuridica), che non ha soluzione di continuità, ad eccezione delle aree separate unicamente da strada, strada ferrata o corsi d'acqua, o comunque collegate da una linea elettrica nella esclusiva disponibilità del soggetto medesimo.

Soglia di idoneità: Parametro che individua l’idoneità di un soggetto sulla base del quantitativo annuo di consumi elettrici. Il livello minimo di tali consumi è fissato dal Decreto Bersani.

Tariffa: prezzo massimo unitario del servizio, al netto delle imposte, ai sensi della legge 14 novembre 1995, n. 481.

Trasmissione: L'attività di trasporto e trasformazione dell’energia elettrica sulla rete interconnessa ad altissima e alta tensione ai fini della consegna ai clienti, ai distributori e ai destinatari dell’energia autoprodotta.

Vettoriamento: l’utilizzo della Rete di Trasmissione Nazionale e delle reti di distribuzione per il trasporto dell’energia elettrica da un punto di prelievo.

Telefonia

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Telelavoro

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Guida al risparmio nella spesa

Alcuni consigli per il risparmio nelle spewse di ogni giorno…

Supermercato
procurarsi i dépliant con l’elenco dei prodotti venduti sottocosto e delle offerte;
chiedere e utilizzare le "carte fedeltà", che consentono di usufruire di più sconti;
una lista precisa della spesa evita l’acquisto di prodotti non necessari;
i prodotti posti meno in evidenza di solito costano meno. In molti supermercati è anche indicato il "primo prezzo" (il prodotto più conveniente della categoria);
nei reparti carni sono venduti tagli ricavati dal quarto anteriore bovino. Costano meno del quarto posteriore ma hanno le stesse proprietà nutritive;
salumi e formaggi confezionati costano assai più di quelli venduti a taglio;
leggere sempre il prezzo al chilo o a litro dei prodotti confezionati. Le confezioni più grandi sono generalmente quelle più convenienti;
i paramedicinali come alcol, cotone idrofilo, cerotti, siringhe, eccetera, costano meno nei supermercati che nelle farmacie.
Nei mercati rionali
a fine mattinata i prezzi scendono per timore dell’invenduto;
generalmente i “banchi degli ortolani” che vendono i propri ortofrutticoli nei mercati rionali hanno prezzi più bassi. Si riconoscono perché non devono rilasciare lo scontrino fiscale.
Mercati Generali
in determinati orari sono aperti anche agli utenti. Si risparmia molto;
è consigliabile organizzare piccoli gruppi di acquisto con amici e parenti. Frutta e verdure vengono vendute "a cassette".
Ortofrutta
gli ortofrutticoli di II^ categoria costano meno e hanno la stessa qualità di quelli di I^ categoria o extra, che dipende soltanto dall’aspetto esteriore. Anzi, gli ortaggi molto grandi possono essere stati trattati con sostanze che ne accrescono artificialmente il volume;
frutta e verduta di stagione costano meno;
considerare gli scarti. I fagiolini costano più della bieta o del cicorione, ma lo scarto è minore.
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si può risparmiare oltre il 30% acquistando prodotti non noti ma spesso di buona qualità.
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Segreteria

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Trasporti

I trasporti…. I TRASPORTI: VERSO UNA MOBILITA SOSTENIBILE

La crescente esigenza di mobilita di persone e merci e una caratteristica della societa moderna.

Ciò e dovuto non solo allo sviluppo economico, ma anche all’aumento del tempo libero, al decentramento delle attivita produttive e delle residenze, a modelli di comportamento che vedono l’autovettura privata simbolo di liberta e di affermazione individuale.

Questo ha portato in Italia, come anche in altri paesi industrializzati, ad un aumento del volume del traffico passeggeri che nel 2001 ha raggiunto gli 898 miliardi di passeggeri per chilometro e a un aumento dei consumi energetici. Tra il 1970 e il 2000 l’Italia ha quasi triplicato il consumo di energia nel settore trasporti, raggiungendo circa un terzo dei consumi energetici nazionali. Nel 2002 circolavano quasi 34 milioni di autoveicoli, equivalenti a 57 veicoli ogni cento abitanti e 106 veicoli ogni chilometro di strada.

l’attuale sistema della mobilita, basato sulla gomma e sul trasporto individuale di persone e di merci, e tra le principali cause dell’inquinamento acustico e atmosferico (i trasporti sono responsabili di circa il 28% delle emissioni nazionali di gas inquinanti), di spreco energetico, e della congestione del traffico che rendono sempre piu insostenibile la vita nelle nostre citta.

Sono anche aumentati i rischi per la salute conseguenti sia all’inquinamento acustico che a quello atmosferico.

Secondo il Ministero dell’ambiente oltre il 72% della popolazione del nostro paese e esposta a livelli di rumorosita superiori ai limiti massimi previsti. Nelle citta l’aumento di patologie polmonari oscilla tra il 9 e il 13%. E in aumento anche il numero di incidenti che coinvolgono pedoni, soprattutto bambini ed anziani, ciclisti e motociclisti. Ogni anno in Italia 6/7 mila persone muoiono per incidenti stradali e circa 200 mila rimangono ferite. Senza dimenticare i danni ai monumenti e l’occupazione di spazio pubblico da parte dei veicoli parcheggiati abusivamente.

Per migliorare la qualita della vita nelle nostre citta e per ridurre i rischi per la nostra salute bisogna intervenire. Non solo migliorando l’efficienza energetica dei mezzi di trasporto e promuovendo modi di trasporto a ridotto impatto ambientale, in modo da ridurre l’uso di combustibile e le emissioni di gas inquinanti, ma anche favorendo una “mobilita sostenibile”.

Diverse sono le iniziative governative che vanno in queste direzioni. Ricordiamo:

. Le disposizioni comunali di limitazione del traffico nelle citta, nei giorni in cui la concentrazione atmosferica di ossido di carbonio e benzene supera i livelli di attenzione (DM 23 ottobre 1998).

. Il sistema degli incentivi, concessi dal governo italiano, per favorire l’acquisto di auto a bas-

. Il recepimento delle direttive comunitarie euro 1,2,3,4 che stabiliscono i limiti di emissione

. I Decreti Ministeriali che impongono il controllo annuale delle emissioni dei gas di scarico

so consumo, a metano, a GPL e a trazione elettrica;

di gas nocivi per le auto di nuova immatricolazione.

degli autoveicoli in circolazione e che dettano le norme per la revisione dei veicoli a motore (DM del 5 febbraio 1996, del 30 dicembre 1997 e del 22 aprile 1998).

Altre iniziative mirano a potenziare il trasporto pubblico a rivalutare i percorsi pedonali e ciclabili in modo da disincentivare l’uso dell’auto privata. Tra queste:

. I Piani Urbani del Traffico (PUT) resi obbligatori per i comuni con piu di 30.000 abitanti che hanno l’intento di migliorare la circolazione e la sicurezza stradale, ridurre i consumi energetici e le emissioni acustiche e di gas inquinanti.

. I fondi che le amministrazioni locali potranno utilizzare per finanziare progetti pilota di razionalizzazione della mobilita urbana che utilizzino mezzi di trasporto pubblici elettrici e veicoli a due ruote (Decreto 27 marzo 1998 “Mobilita sostenibile nelle aree urbane”).

. l’istituzione della figura del Mobility Manager, responsabile della mobilita aziendale per ot-

. La promozione di forme di uso multiplo delle autovetture, che prevedono il pagamento di timizzare gli spostamenti casa-lavoro dei dipendenti.

una quota proporzionale al tempo d’uso e ai chilometri percorsi (taxi collettivi, car sharing, car pooling).

Ma il solo impegno politico non basta. È indispensabile il nostro contributo.

Cosa possiamo fare in questo caso?

• Approfittare naturalmente degli incentivi statali per l’acquisto di nuove macchine a basso consumo (si può passare da un consumo di 10 litri di benzina ogni 100 km a 5, con proporzionale riduzione di emissioni di CO2).

• Metterci in regola con le direttive governative sul controllo degli scarichi. Sebbene l’automobile sia per qualche spostamento insostituibile, possiamo sicuramente integrare il suo uso con mezzi collettivi di trasporto, quali gli autobus, la metropolitana e il treno.

• Non dimentichiamo i vantaggi di una salutare attività fisica. Una passeggiata giornaliera di 30 minuti a piedi o in bicicletta può ridurre fino al 50% il rischio di contrarre malattie cardiocircolatorie, fino al 50% il rischio di sviluppare diabete ed obesità e del 30% di sviluppare ipertensione. È interessante notare che in 30 minuti di camminata si percorrono circa 3 km di strada, che è la distanza entro cui rientrano il 30-40% dei nostri spostamenti giornalieri.

Quindi quando è possibile, facciamo una passeggiata e lasciamo in garage la macchina. Contribuiremo sicuramente a migliorare la qualità della vita nelle nostre città, con notevoli benefici anche per la salute e la sicurezza.

Ricordiamo che il costo annuo di un’auto di media cilindrata che percorre circa 10.000 km è di circa 2.600,00 Euro. Ma uno stile di guida più attento può contribuire, oltre a far diminuire gli incidenti, a ridurre questa spesa fino al 20%:

• superare limiti di velocità consigliati non è compatibile nè con la sicurezza nè con il consumo di carburante che può aumentare anche del 50%;

• la periodica regolazione di accensione e carburazione può far risparmiare fino al 10%;

• una leggera sgonfiatura dei pneumatici provoca un aumento del consumo di carburante del 2 o 3%;

• la disposizione dei carichi incide negativamente sui consumi;

• contrariamente a quello che si crede, è importante evitare di fare girare molto il motore da fermo per riscaldarlo.

I RIFIUTI: COSA SI PUÒ FARE?

I rifiuti possono essere una preziosa fonte di energia e di materie prime che potrebbero essere in gran parte riutilizzati, riducendo così i costi di smaltimento e il degrado dell’ambiente.

In Italia nel 2002 sono stati prodotti oltre 29 milioni di tonnellate di rifiuti solidi urbani, di cui il 50-60% direttamente dalle famiglie. Questo significa che una famiglia di 4 persone produce ogni giorno, in media, quasi 6 kg di rifiuti.

Il governo, con il “Decreto Ronchi” (Dlgs n. 22/97), ha introdotto la “gestione integrata” dei rifiuti, che mira ad ottimizzare il loro riutilizzo, riciclo, recupero e smaltimento. Il decreto intende incentivare il riciclaggio e il recupero energetico attraverso lo sviluppo della raccolta differenziata, il recupero degli imballaggi e il nuovo sistema di tariffa. È prevista, infatti, la sostituzione della “tassa per lo smaltimento rifiuti”, oggi calcolata in base ai metri quadri dell’abitazione, con una “tariffa” che tiene conto della quantità di rifiuti prodotta. Chi recupererà una parte dei rifiuti e contribuirà alla raccolta differenziata avrà diritto ad una riduzione proporzionale della tariffa.

Il contributo che noi utenti possiamo dare è quello di cercare di produrre una minore quantità di rifiuti, soprattutto di imballaggi.

Nel 2002, gli imballaggi consumati in Italia hanno abbondantemente superato 11 milioni di tonnellate, pari al 35% del totale dei rifiuti solidi urbani prodotti.

Conviene inoltre contribuire ad effettuare la raccolta differenziata.

La separazione dei rifiuti è la condizione essenziale per poter recuperare materiali di buona qualità, riutilizzabili e vendibili nel mercato del riciclaggio, e per far sì che i rifiuti destinati alla produzione di energia siano privi di materiali tossici e pericolosi. Nel 2002 solo il 19% dei rifiuti prodotti è stato raccolto in modo differenziato.

Non dimentichiamo che esistono anche rifiuti tossici e pericolosi per l’ambiente e per l’uomo: sono le pile elettriche, i medicinali scaduti e gli oli esausti.

Per legge devono essere raccolti negli appositi contenitori. Facciamolo sempre anche noi. Questi rifiuti, una volta raccolti, vengono resi innocui con speciali procedimenti chimici e fisici.

Autoveicoli

Autoveicoli….


Veicoli ibrido

Obiettivi

Il progetto specifico, che fa parte di un progetto più generale sull’accumulo elettrico che vede la partecipazione del Centro Ricerche Fiat e di alcune Università (Pisa, Roma 3 ed altre), è finalizzato allo sviluppo di un sistema di trazione denominato "Ibrido Triplo" — generatore + batteria + supercondensatore (SC) — per un autoveicolo per uso urbano, in grado di competere con veicoli alimentati con batterie al litio e a idruri metallici, di elevate prestazioni ma con alti costi.

Il progetto nasce dalla constatazione dell’interesse connesso alle potenzialità della tecnologia dei veicoli ibridi ai fini della riduzione dei consumi e delle emissioni, senza penalizzare le prestazioni e la guidabilità. Le sue applicazioni vanno dalla vettura per città al fuoristrada e all’autobus, dimostrandosi vantaggiosa tanto per i veicoli tradizionali quanto per quelli con sistemi di trazione alimentati con celle a combustibile.

Le batterie al piombo, tradizionalmente adoperate per l’accumulo elettrico, rimangono le più diffuse ed economiche, ma presentano problemi di durata ed affidabilità nelle condizioni di funzionamento tipiche dei veicoli ibridi, che comportano un numero elevato di cicli, transienti di carica e scarica, esposizione a possibili sovracariche derivanti dal recupero in frenata. Le condizioni operative delle batterie al piombo possono essere notevolmente migliorate inserendo in parallelo dei supercapacitori che costituiscono un buffer di potenza, migliorando sia i rendimenti energetici (miglior recupero in frenata grazie alla resistenza interna più bassa ad elevate potenze) che le prestazioni delle batterie in termini di durata.

Il componente da sviluppare è quindi costituito dal sistema di accumulo "misto", per il quale sono temi di ricerca e sviluppo: scelta della tecnologia di base, dimensionamento, gestione e controllo.

I laboratori interessati da questo progetto sono il Laboratorio prova sistemi d’accumulo e la Stazione prova sistemi di trazione, ubicati presso il Centro Ricerche Casaccia.

Fasi

• Progettazione, realizzazione e messa a punto di un prototipo, utile alla sperimentazione in laboratorio ed allo sviluppo delle strategie di controllo. Obiettivo di questa prima fase è la sperimentazione delle strategie di controllo individuate e la verifica della loro validità anche con l’invecchiamento della batteria.

• Progettazione, sulla base dei risultati ottenuti nella sperimentazione, di un sistema di accumulo (batterie e supercapacitori) da utilizzare in una vettura di serie scelta dal Centro Ricerche Fiat. Aspetto importante di tale fase sarà la valutazione delle prestazioni del nuovo sistema rispetto all’alternativa più costosa costituita dalle batterie al litio.

• Realizzazione e sperimentazione in campo del sistema.

Aspetti tecnologici e ricadute industriali

I componenti principali del prototipo sono:

• il generatore, costituito da uno stack di celle a combustibile da 5 kW o, in alternativa, da un motogeneratore di potenza analoga;

• l’interfaccia di potenza, che consente il controllo dei singoli elementi del generatore per sfruttarne in maniera ottimale le caratteristiche;

• le batterie;

• i supercondensatori;

• un motore elettrico da 30 kW.

Le ricadute industriali sono quelle relative ad un sistema che, una volta messo a punto, può costituire un componente utilizzabile per la realizzazione di sistemi di trazione ibrida più efficienti degli attuali, in particolare per la realizzazione di autovetture alimentate con celle a combustibile.


Sistema diagnostico/previsionale delle criticità indotte dal traffico urbano

Obiettivi

Scopo del progetto è la progettazione e messa a punto di un sistema integrato (denominato Merlino) costituito da sensori per la misura di parametri di traffico ed ambientali e strumenti informatici per la diagnostica e la previsione, in aree urbane, di situazioni critiche del traffico in un tempo sufficiente ad individuare soluzioni efficaci.

Fasi

Il progetto si articola nelle seguenti fasi:

• sviluppo di moduli s/w per l’integrazione di dati di misura del traffico, di parametri ambientali e meteo;

• sviluppo di modelli per la stima dello stato attuale del traffico sull’intera rete a partire dai dati di flusso misurati in alcune sezioni stradali;

• sviluppo di una serie di modelli predittivi per la stima dello stato del traffico a breve e medio termine, attraverso modelli di vita artificiale che si adattano alla evoluzione del traffico sulla rete cittadina, per il calcolo di consumi ed emissioni prodotti dal traffico (attuale e previsto) e la valutazione dell’evoluzione dello stato della qualità dell’aria;

• sviluppo di sistemi di valutazione previsionale di criticità in termini di congestione (su base oraria) ed ambientale (su base giornaliera) basati sull’analisi caotica delle fenomenologie del traffico;

• realizzazione di un ambiente s/w per la simulazione di interventi alternativi a breve e medio termine sulla domanda ed offerta di trasporto per migliorare le criticità dal punto di vista del traffico e delle emissioni di inquinanti;

• realizzazione di un "laboratorio virtuale" finalizzato alla messa a punto e aggiornamento in campo, mediante collegamento telematico con i sistemi di misura della città pilota, dei modelli di previsione e simulazione (traffico e ambiente).

Aspetti tecnologici e ricadute industriali

Verrà realizzato un sistema informatico che integra dati di misura, dati storici, dati descrittivi della rete urbana del traffico e della domanda ed offerta di trasporto in un data base relazionale, integrato con un GIS (Geographic Information System) per l’interfaccia con l’utente.

Per la valutazione dello stato attuale o dell’assetto futuro, il sistema si avvale di un insieme di modelli che estrapolano nello spazio e nel tempo i dati di traffico (flussi, velocità, densità) acquisiti in continuo dai sensori e dai sottosistemi posti in punti discreti della rete. Informazioni aggiuntive sono ottenute dalla descrizione fisico-funzionale della rete di trasporto e da valori storici dei flussi, dei livelli di inquinamento e delle condizioni meteo.

La struttura dei modelli di previsione è differenziata in relazione al periodo di riferimento. Per un tempo breve (fino ad 1 ora) si utilizzano le reti neurali evolutive, basate su tecniche di vita artificiale, che forniscono scenari che si adattano continuamente al variare della situazione. Per tempi più lunghi (fino a 4 giorni) intervengono i modelli di dinamica caotica che si basano sull’individuazione di attrattori ottenuti dalla composizione del flusso veicolare.

Ottenute le previsioni, le stesse vengono estese, con il supporto dei dati storici dell’area considerata, alla intera rete urbana. Quindi con opportuni codici, che calcolano consumi ed emissioni, e l’integrazione dei dati meteorologici, si ottiene la previsione locale della qualità dell’aria.

Le ricadute riguardano la pianificazione e gestione della mobilità urbana e sono indirizzate prevalentemente ai gestori del traffico ed ai decisori a livello locale. Il sistema di supporto s/w riguarda sia gli aspetti di gestione on line della mobilità e del traffico che la pianificazione di medio periodo.

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Vedi anche

Link Esterni

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I collegamenti sono ordinati alfabeticamente, hanno, quando presenti, due riferimenti. Il primo al portale generico…, il secondo specifico sui temi trattati.
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Riferimenti

Una lista di riferimenti a libri, riviste, pubblicazioni, studi, CD-Rom, DVD-Rom, … contenente i riferimenti sui temi trattati.
I riferimenti sono ordinati alfabeticamente….

  • “2007 Complete Guide to Hydrogen Energy and Fuel Cells: Automotive Designs, Production, Safety, Storage, Energy Department, DOD, and NASA Research (Three CD-ROM Set)”, U.S. Department of Energy (CD-ROM - Jun 12, 2006)
  • “Annual Report - International Atomic Energy Commission”, Intl Atomic Energy Agency/Iaea - Magazine Subscription - One issue / 12 months
  • “Basics of Energy Efficient Living: A Beginner’s Guide to Alternative Energy and Home Energy Savings”, Lonnie Wibberding (Paperback - Jul 21, 2006)
  • “Bp Amoco Statistical Review of World Energy”, Bp Oil Intl Ltd/Britannic Hse - Magazine Subscription - One issue / 12 months
  • “Clima rovente”, Ross Gelspan, Baldini e Castaldi
  • “Consumer Guide to Home Energy Savings: All New Listings of the Most Efficient Products You Can Buy”, American Council for an Energy-Efficient Economy, Jennifer Thorne, John Morrill, and Alex Wilson (Paperback - Nov 2003)
  • “Fattore 4. Come ridurre l’impatto ambientale moltiplicando per quattro l’efficienza della produzione”, Weizsacker Ernst U. von, Lovins Amory B., Hunter Lovins L., Edizioni Ambiente
  • “Futuro Sostenibile”, Wuppertal Institut, Editrice Missionaria
  • “Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana”, varie edizioni; vari anni; vari numeri
  • “Il cambiamento climatico”, Alessandro Lanza, Il Mulino
  • “Il clima”, Antonio Navarra e Andrea Pinchera, La Terza
  • “l’Impronta Ecologica”, M. Wackernagel, W. Rees, Edizioni ambiente, Milano
  • “l’incertezza del clima”, Robert Kandal, Einaudi
  • “Optimizing lighting, thermal performance, and energy production of building facades by using automated blinds and PV cells -- Dissertation”, Hussain Hendi, Alzoubi (Paperback - Aug 17, 2006)
  • “Per un libro verde sullo Sviluppo Sostenibile”, a cura di A. Federico, Enea, Roma 1998
  • “Residential Energy: Cost Savings and Comfort for Existing Buildings”, John T Krigger and Chris Dorsi (Paperback - May 2004)
  • “Saving Lives & Saving Money”, Newt Gingrich with Dana Pavey & Anne Woodbury (Paperback - May 2003)
  • “Sviluppo Sostenibile”, Alessandro Lanza, Il Mulino
  • “SVILUPPO SOSTENIBILE”, ENEA - Ente per le Nuove tecnologie e l’Ambiente
    • RISPARMIO ENERGETICO CON L'ILLUMUNAZIONE
    • RISPARMIO ENERGETICO CON LA LAVATRICE
    • RISPARMIO ENERGETICO CON LA LAVASTOVIGLIE
    • RISPARMIO ENERGETICO CON IL FRIGORIFERO E IL CONGELATORE
    • RISPARMIO ENERGETICO CON GLI IMPIANTI DI RISCALDAMENTO
    • NOI PER LO SVILUPPO SOSTENIBILE
    • L'ENERGIA EOLICA
    • CLIMA E CAMBIAMENTI CLIMATICI
    • L'ENERGIA FOTOVOLTAICA
    • IDROGENO ENERGIA DEL FUTURO
    • L'ETICHETTA ENERGETICA
    • I CONDIZIONATORI DELL'ARIA raffrescatori e pompe di caloreCLIMA E CAMBIAMENTI CLIMATICI
  • “The Economics of Energy and the Production Process: An Evolutionary Approach (New Horizons in Institutional and Evolutionary Economics)”, Guido Buenstorf (Hardcover - April 2004)
  • “The Insider’s Guide to Saving Money”, Michael Ellenbogen (Paperback - Aug 16, 2005)
  • “Verso un’Europa Sostenibile”, Amici della Terra, Maggioli Editore
Note
  1. La vita media economica individua il numero di ore di funzionamento dopo il quale, in un determinato lotto di lampade, considerando 8 accensioni/spegnimenti durante le 24 ore, il 70% delle lampade presenta un decadimento del flusso luminoso o cessa di funzionare.
  2. Il lumen e l’unità di misura della luce emessa da una lampada è il lumen.
  3. Per informazioni o chiarimenti scrivi a: pjoef@tiscali.it o info@salehiconsulting.it